Flash e dichiarazioni sparse dal “congresso” della Association of Magazine Media, che si è appena concluso a San Francisco.
L’audience complessiva dei magazine è aumentata dal 2010 del 4 per cento (le persone che leggono i periodici, anche senza acquistarli) e il numero di marchi che hanno fatto pubblicità è cresciuto del 57 per cento sull’insieme delle piattaforme dei magazine (carta, online, tablet) dal 2010.
Si è insistito soprattutto sulla necessità di valorizzare, rafforzare, potenziare i brand. L’attenzione è andata sugli asset digitali (tablet, mobile, online, social… ) e su come queste piattaforme giocheranno una parte centrale nella crescita e sullo stato di salute dei magazine nel prossimo futuro.
Da novembre la rivista People proporrà una nuova app che consente ai lettori di accedere a contenuti speciali sulle loro star e celebrity preferite, aprendo un nuovo canale alla pubblicità.
Si fa un uso poco corretto di Twitter. I migliori periodici non fanno monologhi ma rispondono ai lettori con re-tweet e reply. «A follower is a subscriber».
Mediamente, il following su Twitter di un periodico corrisponde al 14 per cento della sua diffusione.
Twitter amplia il significato di giornalismo. Il momento in cui lo staff editoriale inizia a parlare con i lettori è un momento di verità, dove gli utenti si sentono accolti e ascoltati dal brand.
Che cos’è un periodico? è stato chiesto a Pamela Maffei McCarthy, deputy editor del New Yorker. «C’è un aspetto centrale che rimane presente in tutte le testate e in tutti i tempi. E’ una “critical mass” di scrittura e immagini, spesso su uno specifico soggetto, che ha una voce precisa. C’è stato un tempo in cui abbiamo messo assemblato tutto questo in un unico luogo e in un unico atto. Ma ora ci sono molti modi ed è 24 ore al giorno per 7 giorni. Era nostro dovere accogliere i lettori nel nostro mondo, ora è il nostro universo dove molte cose diverse avvengono».
L’originale: “There is a core that goes across all titles and all times,” she said. “It’s a critical mass of writing and pictures, very often subject specific, with a voice. There was a time we assembled it all in one place and in one time. But now there are a dozen ways and it’s 24/7. We used to welcome readers to our world, now it’s to our universe where all sorts of things are going on.”
La fonte: «FOLIO is the only magazine that serves the entire magazine publishing industry. Whether you’re on the front lines of editorial, sales, design, production, marketing, or emedia, our magazine keeps you up to date on the latest trends and news in the magazine publishing industry. From case studies, to interviews and articles, FOLIO magazine will provide you with the latest information and news regarding the audience development industry».
Folio Mag: il futuro dei periodici va costruito dai periodici

Se il Giornalista Deve Essere un Brand
Se ne parla sempre più spesso: il giornalista deve diventare un brand. Costruire un’immagine pubblica, prendere posizione, condividere pensieri, conversare con il pubblico in modo trasparente. Non è una possibilità, sta diventando un obbligo. Perché attraverso il contatto diretto con i lettori/utenti passa l’identità del giornale. Va bene così?
TERRA DI CONQUISTA La questione viene posta sempre più spesso: se il giornalista debba essere un brand.
Vuol dire che i social media creano lo spazio per un contatto diretto tra giornalisti e audience.
Lo spazio della trasparenza.
I giornalisti sono interessati ad occuparlo, perché accarezzano il sogno di diventare dei punti di riferimento.
I giornali sono ugualmente interessati, perché attraverso la conversazione dei giornalisti con il pubblico passa la costruzione del brand della testata (o dell’editore).
Il brand, il marchio: noi siamo la rivista e i giornalisti che le celebrity le trattano così (irriverente: pensate a Vanity Fair); noi siamo la rivista e i giornalisti che la politica l’affrontano in questo modo (sfidandola: pensate al Fatto Quotidiano). Io sono il giornalista che di cucina parla così. Io sono il giornale che di moda scrive in questo modo…
PERSONALIZZAZIONE La conversazione, nei social, diventa personale. E questo tono si riversa, in vari modi, sul lavoro giornalistico.
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