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Scrivere per una redazione rimasta senza giornalisti

Il contrastato rapporto tra giornalisti che scrivono e giornalisti del desk. Se ne parla negli Stati Uniti dove i tagli hanno ridotto all’osso le redazioni. Ma dinamiche simili si vedono in Italia. Dove il confronto è inesistente

Sono idee che mi vengono in mente leggendo un articolo pubblicato dal Poynter Institute, una scuola di giornalismo degli Stati Uniti (molto più di una scuola, in realtà).

Il confronto sul rapporto tra chi scrive i pezzi e chi fa editing nel nostro Paese è inesistente perché avviene su un altro piano, quello delle tutele per i precari. Uno degli argomenti scottanti nei giorni in cui sembra vicino il nuovo contratto dei giornalisti.

Invece se ne può discutere da molteplici punti di vista. Collaboratori versus redattori, scriventi versus desk (soprattutto nei quotidiani), esecuzione versus concepimento del pezzo, confronto con la realtà versus confronto con i risultati di mercato.

del Poynter Institute, un esperto di formazione, si chiede come sia possibile costruire un rapporto migliore tra chi scrive e chi fa desk.

Date un’occhiata. Mi limito a riportare gli aspetti  positivi di un rapporto sano, professionale, non mortificante. Non di potere ma di collaborazione. Di rispetto.

Clark spiega che il coaching sugli scriventi si distingue dal mero correggere i pezzi.

Ecco le differenze, che io ho riassunto introducendo la definizione di “penna rossa”.

Il coach c’è dall’inizio alla fine / La penna rossa si fa viva quando bisogna chiudere la pagina

Il coach forma lo scrivente / La penna rossa corregge lo scrivente

Il coach fa crescere lo scrivente / La penna rossa mette il pezzo in pagina

Il coach crea fiducia / La penna rossa mortifica chi scrive

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Direttori Si Nasce O Si Diventa?

Direttori di giornali: perché serve fare formazione, individuare i talenti, dare strumenti per guidare le redazioni. Più che mai nel passaggio al digitale

Fioccano le riflessioni sul ruolo dei direttori nei giornali dopo la doppia e contemporanea defenestrazione del direttore del New York Times, Jill Abramson, e di Le Monde, Natalie Nougayrède.

A questo blog non interessa il caso specifico, bensì riprendere alcuni spunti usciti in questi giorni che propongono un taglio diverso dal solito, di cui non si discute mai: cosa fa di un bravo giornalista un bravo direttore.

Riprendo un post di Carl Sessions Stepp, ex reporter e docente di giornalismo all’Università del Maryland, autore di un manuale della professione (tradizione pragmatica anglosassone) intitolato: Editing for Today’s Newroom. E’ uscito nel 1989. Vi si legge:

Too many editors are forced to learn on the job, relying on hunch and guesswork, rather than proper preparation….This tends to produce excellent drill sergeants, but not necessarily the best long-term managers

Troppi direttori sono forzati a imparare sul posto di lavoro, contando sull’intuizione e andando per tentativi, piuttosto che facendo tesoro di un’adeguata preparazione…

Il pezzo è interessante, tutto dalla parte dei direttori e delle sfide che devono affrontare ogni giorno.

Pochi sono venuti su con il sogno di guidare una redazione, la maggior parte non ha una formazione ad hoc.

Ma gestire persone richiede skill diversi da quelli del reporter rompighiaccio.

Da leggere questa citazione:

Most of us are not trained to be executives….One day I looked around and I was metropolitan editor. I had never been in charge of anything except a part-time secretary in Japan and all of a sudden I was in charge of hundreds and hundreds of people

La maggior parte di noi non è stata preparata per fare il manager. Un giorno mi sono guardato intorno e ho scoperto di essere un direttore di prima grandezza. Non avevo mai comandato nessuno tranne una segretaria part-time in Giappone e improvvisamente mi sono trovato alla guida di centinaia e centinaia di persone

Lo ha scritto “A.M.” Rosenthal, storico direttore del New York Times.

 

Futuro dei Periodici

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Giornalisti e Cambiamento Dopo lo Scandalo del New York Times

Le redazioni sono passate attraverso una tempesta. Riduzioni di posti, aumento di lavoro, trasferimento all’esterno di compiti. E c’è l’incertezza del futuro: il pericolo di altri tagli, il passaggio al digitale. In più: la svalutazione di quel che si sa fare. Una situazione da gestire nei giornali

Un problema che serpeggia nei giornali, di cui si è occupato il sito di Nieman Lab.

Probabilmente è il problema numero uno.

Se ne parla perché l’Innovation Report del New York Times denuncia la mancanza di guida nelle redazioni.

Nel post di Nieman Lab leggo:

A significant portion of your newsroom is hiding from you. They’re not openly resisting the push toward “digital first,” or even disagreeing with it. They simply don’t know how to proactively step out of their comfort zone.

Una parte significativa della redazione si nasconde da te. Loro non resistono consapevolmente alla spinta verso la trasformazione digitale (del digital-first) e forse non sono neppure contrari. Essi semplicemente non sanno come venir fuori in modo propositivo dalla loro confort-zone.

Vari i punti toccati da Nieman Lab (invito a leggere il post in inglese). Tra questi, la necessità di riconoscere i meriti di chi rende al massimo, la gestione del cambiamento nell’incertezza, la diversità di genere (nel giornalismo c’è una netta maggioranza maschile).

Infine:

The best way to bring newsroom staff out of hiding is to engage them in a very personal dialogue about how your organization’s needs and priorities mesh with their own performance and career path.

Il modo migliore per evitare che i redattori si “nascondano” è di coinvolgerli in un confronto molto personale sui bisogni e le priorità della vostra organizzazione…

Ecco una trasformazione più profonda del digitale (perché intacca i meccanismi del potere, opachi per natura).

Futuro dei Periodici

 

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