Il Punto: le strategie di un grande editore americano per rispondere alla crisi dei giornali di carta.
Meredith press office: espansione in Italia e Turchia
Il Punto: le strategie di un grande editore americano per rispondere alla crisi dei giornali di carta.
Meredith press office: espansione in Italia e Turchia
Chi segue questo blog lo sa: la crisi dei giornali è legata a un pauroso calo della pubblicità. Con i rovesci nell’economia reale e l’esplosione dei media digitali, ai quotidiani e alle riviste della carta stampata arrivano solo le briciole dei grandi investimenti in comunicazione di aziende e grandi società.
Ma l’inizio del 2013 sembra promettente negli Stati Uniti. Nel periodo da gennaio ad aprile 2013 la raccolta è scesa, ma solo dello 0,9%, secondo i dati di Media Industry Newsletter, con un indubbio miglioramento rispetto al calo del 5.6% dello stesso periodo del 2012.
I marchi globali del lusso e i brand della bellezza e cosmesi hanno ripreso a investire nel mercato americano mentre l’Europa rimane avvolta nell’incertezza e l’Asia, terreno di forte crescita negli ultimi anni, potrebbe essere alla vigilia di un ridimensionamento. Negli Usa anche la pubblicità delle auto sembra regalare qualche soddisfazione agli editori.
Certo, non bisogna dimenticare che la schiarita arriva dopo che l’industria dei periodici americani ha perso più di un quarto delle pagine pubblicitarie nel 2009.
Nell’articolo riportato qui sotto in link ci sono dati sulle pagine pubblicitarie nelle testate americane di Condé Nast e Hearst Magazines. Alcuni periodici hanno aumentato in aprile 2013 la raccolta di oltre il 6 % (con i mensili si conosce già ora il dato).
Le considerazioni contenute nel post «Magazines have finally killed blogs – but in a way you never expected», «I periodici hanno ucciso i blog ma in un modo che non vi sareste aspettati», s’inseriscono con naturalezza nelle riflessioni di questo sito sulle carattersitiche che rendono i periodici unici, e le arricchiscono.
Lo spunto è la notizia che Google ha eliminato l’RSS Reader, uno strumento che potete vedere anche nella parte bassa di questa pagina, e in quasi tutti i siti web, un servizio che consente di ricevere nelle proprie e-mail una sintesi delle notizie e dei post usciti in uno o più siti e blog. E’ come un bollettino che viene inviato a casa vostra.
Ecco la nuova app del New York Magazine che, a detta degli esperti, sarà/sarebbe il nuovo standard per le versioni digitali di settimanali e mensili.
Il New York, concorrente del New Yorker, mette da parte la copia replica del giornale di carta e presenta, il primo aprile, la nuova app interattiva per iPad.
L’aplicazione ha questa particolarità: permette di ricevere aggiornamenti sulle notizie del giorno, oltre naturalmente agli articoli del settimanale.
Una soluzione grafica, una barra che divide lo schermo, dà al lettore la possibilità di passare dal contenuto del periodico alle notizie dell’ultimo minuto.
Date un’occhiata agli articoli.
Il Punto: come saranno le versioni digitali dei periodici.
Appleinsider.com: la nuova app di New York Magazine
Adweek: la nuova app di New York Magazine
Adesso sarà interessante scoprire quali investimenti Rcs Mediagroup vuole fare nel digitale nei prossimi tre anni. Difficilmente avverrà nei periodici, almeno non nelle dieci testate che la società ha messo in vendita e che, in alternativa, dice di voler chiudere. Sarà al Corriere e alla Gazzetta.
Il primo editore italiano della carta stampata, proprietario del Corriere e di decine tra settimanali e mensili, ha approvato il piano 2013-2015. Ma dai risultati preliminari del 2012 emerge che i ricavi sono in calo (1 miliardo 597 milioni di euro contro 1 miliardo 860 milioni del 2011) a causa della riduzione della pubblicità e delle copie vendute. Per tutti i dati guardate i link in fondo a questo post oppure leggete i mille articoli usciti sul web. A me basta aggiungere che l’Ebitda, quel che guadagna l’azienda (detto in modo grossolano), è sceso da 142 a 1,3 milioni. Insomma, nell’anno più difficile per la carta stampata si è guadagnato poco o nulla.
Ma quel che importa ai colleghi dei settimanali e dei periodici è che il Gruppo non ha sciolto le riserve sulla trattativa per la vendita di 10 testate che rimangono dunque in bilico tra l’ipotesi della cessione e della chiusura.
L’azienda dichiara, visto «l’aggravarsi della situazione di sfavorevole congiuntura generale e la profonda trasformazione dell’editoria che si riflettono significativamente sui risultati del gruppo», di voler implementare il piano approvato a dicembre.
Il piano punta a sviluppare le entrate da attività digitali, che dovrebbero passare dall’attuale 9% ad oltre il 21%. Gli investimenti totali nel triennio equivalgono a circa 160 milioni.
Il Punto: le incognite sul futuro del maggior gruppo editoriale (giornalistico) del Paese.
Corriere: Rcs, la situazione di bilancio, gli investimenti, i tagli
L’avrete vista la notizia, ieri era ovunque su internet. Flipboard, l’app per mettere insieme le notizie viste nella Rete e ricavarne una rivista unica e originale, conforme ai propri interessi, da sfogliare al computer, ha presentato un aggiornamento chiamato Flipboard 2.0. Lo slogan è: crea e condividi il tuo giornale.
Potete leggere in mille articoli che cosa consente di fare la nuova versione della app usata da 50 milioni di persone in ogni parte del mondo. Ho messo in link l’articolo de La Stampa.
Tanto per dare un’idea: è più facile navigare su internet e selezionare gli articoli e le foto da inserire nella propria raccolta, si possono inserire titoli, aggiungere video e musica, commentare gli articoli raccolti e creare link con il sito di origine. Ma, soprattutto, sarà facile condividere in Rete il proprio giornale, la propria rivista. Per giocare a fare l’editore.
Non male, vero?
Ma ogni volta che uso Flipboard ricavo due impressioni contrastanti.
«Il Red Bulletin è un bel print e web magazine». Inizia così l’articolo del Washington Post sul branded journalism, un’etichetta che indica la miriade di pubblicazioni sfornate da Red Bull, Coca Cola, Boeing, General Electric, Pepsi, American Express, Burberry e decine di altri brand e aziende. Giornali, e non foglietti promozionali, dalla prima all’ultima pagina.
Il Red Bulletin ha una bella “apertura” (l’articolo di copertina) sul batterista dei Roots, gruppo hip hop di culto, e articoli saporiti ed esclusivi.
Naturalmente lo scopo della pubblicazione è di rendere più popolare il marchio e di farlo apparire vicino, per spirito e passioni, a quello dei clienti reali o potenziali.
Ma è giornalismo?
La domanda riflette una mentalità europea. Nell’articolo del Washington Post si riponde in tutt’altro modo. Dando un saggio di pragmatismo americano, l’esperto sentito per l’articolo, l’acting director del Project for Excellence in Journalism, dice che la cosa fondamentale è la trasparenza. Chiarire chi produce i contenuti del giornale, quali possono essere i suoi interessi, chi lo finanzia. Dopodiché il lettore è libero di decidere se gli articoli sono di suo gradimento.
In fondo, conclude l’intervistato, «everyone is a media company now», oggi siamo tutti delle media company. Senza distinzione tra riviste e riviste delle aziende.
Nei vari passaggi dell’articolo si dicono un paio di cose da annotare, in vista dei cambiamenti che avverranno anche in Italia.
La prima è che i compensi per gli articoli dei freelance sui giornali delle marche variano notevolmente, e si va da 150 dollari per un post di 500 batture a 3 dollari a parola per gli articoli che hanno la qualità delle riviste. Un compenso, quest’ultimo, paragonabile a quel che pagano i giornali tradizionali (da 50 centesimi a 2 dollari a parola, a seconda della reputazione dello scrivente).
L’altra cosa riguarda le redazioni dei giornali brandizzati. La Verizon (compagnia americana che fornisce banda larga, servizi wire less e apparecchi mobile) ha messo in piedi una rivista con uno staff di 75 giornalisti a tempo pieno. Paragonabile, per organico, a quella di un quotidiano di medie dimensioni.
Ma il dubbio rimane.
Il Punto: se il futuro dei giornalisti sia quello di lavorare nei giornali delle grandi società e aziende. Ma come giornalisti, non come pr.
Washington Post: Red Bullettin
Futuro dei Periodici: branded journalism, ovvero il giornalismo della Coca Cola
Leggo su Italia Oggi che il gruppo Guido Veneziani, entrato da undici anni nel mercato dei periodici, chiude il 2012 con un fatturato di 180 milioni di euro e un utile di circa 11 milioni.
Un risultato di riguardo, se si considera la giovane età della casa editrice. Confrontate con altri editori, con i big Rcs Mediagroup e Mondadori, per dire.
Vanno bene i settimanali e i mensili, battuta d’arresto invece per la tv, nata un anno fa.
Veneziani pubblica, tra gli altri: Vero, Vero Tv, Stop, Vera.
Il Punto: gli editori, un tempo piccoli, che stanno cambiando il panorama dei periodici.
Italia Oggi: Guido Veneziani nel 2012
Riprendo la riflessione iniziata lunedì con un post gemello. Lo spunto è offerto dal rapporto del Project for Excellence in Journalism del Pew Research Center di Washington DC intitolato: The State of the News Media 2013.
Maria Rodale, terza generazione degli editori che pubblicano Men’s Health e riviste sulla salute e il benessere, uno dei maggiori gruppi americani, dove si pretende che i giornalisti consumino solo prodotti biologici tra le pareti delle redazioni e che partecipino a lezioni di yoga per i dipendenti, ha parlato di e-commerce mentre si trovava in Australia per incontrare i partner locali. Iniziando da una provocazione: c’è un nuovo trend, piuttosto radicale, che si sta diffondendo tra gli editori di periodici, il trend del ritorno alla carta.
Significa che la transizione al digitale non sarà rapida come si pronosticava fino a pochissimo tempo fa.
Lo consiglia anche la situazione della pubblicità. «Le agenzie pubblicitarie» ha spiegato Maria Rodale «si sono tutte buttate sul digitale ma i risultati sono stati deludenti rispetto alle attese. Gli user digiali non sembrano così interessati alla pubblicità come quando sono coinvolti in un’esperienza di lettura del giornale di carta».
Al tempo stesso, la signora Rodale ha indicato nell’e-commerce la strada per compensare nel digitale il calo dei ricavi pubblicitari. Un motivo che spinge in questa direzione è l’alto livello di fiducia che i lettori hanno verso i periodici di loro scelta e, di conseguenza, verso la pubblicità e le esperienze di acquisto proposte dalle riviste. I periodici sono uno dei pochi media in cui la pubblicità non viene percepita come una fastidiosa distrazione ma come un’esperienza positiva. E i quotidiani hanno dimostrato che si possono vendere ai lettori pacchetti vacanze, assicurazioni, vino, libri. Lo fanno con successo gli editori tedeschi Burda e Axel Springer oltre agli americani di Condé Nast con il recente investimento di 20 milioni di dollari nel sito di e-commerce Farfetch.
«Gli algebristi, gente sempre utile al pubblico» scriveva Voltaire. Viene da pensarlo leggendo alcuni virgolettati sui dati presentati in questi giorni dall’Osservatorio New Media & New Internet del Politecnico di Milano. Ma dalla nuvola di numeri, percentuali e sigle in Inglese per definire come cambia il mondo della comunicazione, emergono notizie che s’inseriscono nel flusso di riflessione ad alta voce di questo blog.
Ho capito che:
1) Il mondo digitale, sia quello più consolidato dei siti web (Old Internet) sia quello nuovo legato agli smartphone, ai tablet e alle smart tv (le televisioni che si collegano alla rete: ne sono state vendute in Italia 2,5 milioni), il cosiddetto New Internet, il mondo digitale, si diceva, continua a crescere e a far soldi. Togliendo però spazio e risorse ai media consolidati: televisione, radio, carta stampata, calati in cinque anni del 25%.
Scrivo questo post pensando a un giornalista italiano decisamente conosciuto che un giorno, ai tempi delle mie prime esperienze in redazione, mi ha fatto questa domanda, un po’ retorica: sai dirmi qual è il limite più grande alla libertà dei giornalisti? Vista l’aria che tirava, veniva spontaneo rispondere che l’ostacolo maggiore è la mancanza di democrazia. «No, il limite più grande sono i soldi. Se non hai le risorse economiche per andare là dove avvengono i fatti, Palermo, Tunisi, New York, non sei un giornalista che possa fare bene il suo lavoro».
Ma da dove provengono le risorse per la maggior parte dei giornali? (Segue noitizia).
È il problema più grande per il futuro dei giornali, la vera incognita sulla strada del passaggio al digitale dei quotidiani e delle riviste di tutto il mondo. Oltre alle difficoltà di convincere i lettori a pagare per i contenuti giornalistici digitali, dopo anni di informazione gratuita nel web attraverso gli aggregatori di notizie come Google News, la strada viene sbarrata dalla difficoltà di raccogliere la pubblicità.
Il Pew Research Center spiega che le cinque maggiori compagnie presenti nel mondo digitale, nessuna delle quali è un editore, vale a dire Google, Yahoo, Facebook, Microsoft e AOL, incassano nel 2012 il 64% delle inserzioni pubblicitarie del web. La stessa percentuale del 2011. Gli editori hanno un ruolo minore, anzi, marginale. Uno scenario che verrà confermato nell’anno in corso.
La app per iPhone e iPad è interattiva. Il lettore può chiedere consigli a, tra gli altri, Nick Sullivan, fashion director, David Wondrich, columnist dei drink, Rodney Cutler, proprietario dei saloni omonimi, per il taglio dei capelli.
L’app gratuita ha un sistema a domanda e risposta che, attraverso una tecnologia di riconoscimento vocale, simula una conversazione usando domande e risposte pre-registrate.
«Come hai i capelli? Lunghi.
Che forma ha il tuo volto? Tonda.
Vai dal tuo barbiere di fiducia e falli tagliare».
Sullo schermo, accanto all’esperto che parla a busto americano, compare in piccolo la faccia del lettore, come in una telefonata con Skype.
Il Punto: come il digitale cambia il mestiere di giornalista. Le riviste americane sono più avanti di tutti. Hearst e Condé Nast, editori con tante o alcune testate di tendenza, sono gli apripista.
L’articolo di Bloomber descrive il fenomeno, gli effetti e le possibili contromisure: parlo del mobile blinder, la “distrazione da cellulare”, di cui qualche tempo fa si è occupato questo blog.
Hearst, che vende il 15 per cento delle copie nei supermercati americani, sta programmando di aggiungere punti di esposizione e vendita delle testate in angoli dei negozi diversi dalla cassa. Come ha fatto Coca Cola, su consiglio della società di consulenza Leo Burnett/Arc Worldwide.
Mentre la casa madre italiana si prepara a gestire la crisi delle riviste con prepensionamenti e incentivazioni a lasciare il posto, in Francia Mondadori delinea un piano di rilancio delle proprie testate. Ma la mente è unica: da questa settimana Ernesto Mauri, direttore generale di Mondadori France, è amministratore delegato di tutto il Gruppo.
Riporto l’articolo di e-marketing.fr.
Si spiega come in autunno sia stata ritoccata la formula di Grazia France, lanciato tre anni fa.
Mondadori sta per riportare in edicola ad aprile la rivista Vital, che apparteneva all’editore Ediexcel. Uscirà con formula bimestrale sotto l’ombrello di un’altra testata della casa, Top Santé (350 mila copie), e avrà una tiratura di 100 mila copie al prezzo di 2,80 euro.
I giornalisti di RCS Mediagroup si sono già fatti un’idea su chi sia; agli altri può essere utile leggere un breve ritratto di Alfredo Bernardini De Pace, 63 anni, uno dei possibili acquirenti delle dieci riviste messe in vendita da Rizzoli. Sono giornali che tutti gli italiani conoscono, come: A – Anna, Brava Casa, Astra, Max, Ok Salute, l’Europeo, Visto, Novella2000, Yacht&Sail.
Alfredo Bernardini De Pace, fratello dell’avvocato celebre e molto mediatico Annamaria, guida Prs, concessionaria di pubblicità con 20 anni di storia che nel 2009 fatturava, a detta di chi la presiede, 60 milioni di euro “nettissimi”. Pare che l’imprenditore sia in pole position nella gara per aggiudicarsi i dieci giornali anche in virtù delle precedenti operazioni portate a termine con il Gruppo editoriale milanese. C’è familiarità.
Nel 2007, infatti, Bernardini De Pace ha acquistato la rete Cnr, con le varie emittenti radiofoniche collegate, mentre nel luglio 2009 ha comprato Agr, acronimo che significa: agenzia giornalistica RCS.
Vi consiglio di leggere il gustoso ritratto fatto, nell’articolo qui sotto, da Prima on line.
Il Punto: cambia la mappa degli editori di giornali, quel che è poco appetibile e remunerativo per i grandi gruppi editoriali può consentire a società di medie e piccole dimensioni di fare un salto in avanti. Comunque, di incassare una dote.
Primaonline: Bernardini De Pace, hombre con dos pares de cojones
Lettera43: Bernardini De Pace in corsa per Rcs
Quando si dice Mondadori, si dice il principale editore italiano di periodici. Ma se i conti del 2012 si chiudono in rosso è per una serie di ragioni legate non solo alle riviste. Il fatturato consolidato di 1.400 milioni di euro, in discesa del 6 per cento, con un netto finale di 12 milioni, è infatti gravato da svalutazioni per 194 milioni di euro.
Molte difficoltà, tuttavia, sono concentrate a Segrate, dove sorge il famoso palazzo dell’architetto brasiliano Oscar Niemeyer, sede e simbolo di Mondadori Italia (la casa editrice è infatti presente anche in Francia). E si prevede un 2013 altrettanto complicato.
Leggendo i conti del Sole 24 Ore viene da fare un’amara riflessione sullo sviluppo digitale dei giornali. Parto dal primo quotidiano economico italiano, ma temo che la mia considerazione abbia un valore generale.
Domanda: come si possono far crescere i ricavi digitali di un importante giornale, fino a vederli diventare il 31 per cento del fatturato, come al Sole 24 Ore nel 2012?
Risposta: basta guadagnar meno con le altre attività (pubblicità, copie cartacee, altri asset del Gruppo) e il peso del digitale aumenta nel mix complessivo.
Se il resto va male, la piccola quota di attività digitali diventa rilevante.
Infatti il Sole, “primo quotidiano digitale in Italia” (46.190 copie giornaliere), registra davvero una crescita rilevante delle copie digitali vendute, tanto da superare la concorrenza del Corriere della Sera e di Repubblica, ma chiude il 2012 con un rosso di bilancio di 45,8 milioni di euro. Colpa, in particolare, del crollo del 16 per cento dei ricavi pubblicitari (ma ci sono altre voci, come azioni straordinarie e oneri di ristrutturazione).
Con una punta di ironia potremmo dire che c’è una somiglianza con il New York Times secondo quanto messo in luce dal superesperto Ken Doctor nel sito di Nieman Lab. Anche nel caso del terzo quotidiano più venduto degli Stati Uniti si sono visti negli anni un calo vertiginoso della pubblicità e la tenuta dei ricavi da diffusioni. Fino alla presa d’atto collettiva, negli Usa, che i quotidiani, tutti i quotidiani, devono archiviare il vecchio modello che prevedeva un rapporto tra entrate pubblicitarie ed entrate da copie di 80 a 20. Si torna alla centralità del lettore (e ci si deve accontentare di fare meno ricavi). Ma il New York Times ha trovato un equilibrio economico. Il Sole24, invece, è in difficoltà. Per mille ragioni. Non il solo.
Sole 24 Ore: il Sole primo quotidiano per ricavi digitali
Per la serie: quando si crede in un’immediata transizione al digitale dei giornali.
Ieri il Rapporto 2013 sullo Stato dei News Media del Project for Excellence in Journalism dell’autorevole Pew Research Center (Washington DC) ha aggiornato un dato che da tempo gira nelle redazioni.
Per ogni dollaro guadagnato con il digitale, gli editori di quotidiani e riviste perdono 16 dollari nella carta stampata.
Questo numero, questo rapporto, continua a peggiorare. Lo scorso autunno era di 13 a uno. Nel Rapporto 2012 del Pew Research Center era di dieci a uno. Nel 2010 era di sette a uno.
Il significato? Il calo dei ricavi nella carta non viene compensato dalla crescita digitale, che è troppo lenta. O, girando la medaglia, la crisi della carta, complice la crisi economica (oltre alle difficoltà dei giornali tradizionali di fronte al boom dei nuovi media), è cosí rapida da non consentire un recupero nel digitale. Oppure, ed è un’opzione da unire alle prime due, il digitale, pur crescendo, non garantisce più gli stessi livelli di ricavi della carta, visto, tra l’altro, lo scarso valore della pubblicità su siti web e app.
Il Punto: non c’è una via d’uscita dalla crisi unica e valida per tutti. Il digitale è uno degli ingredienti, ma il prodotto di carta rimane, per il momento, centrale.
Pew Research Center: Rapporto 2013 sullo Stato dei News Media
Torno al Rapporto 2013 sullo Stato dei News Media Americani del Pew Research Center, Project for Excellence in Journalism.
Quotidiani, tv, web, periodici. A questi ultimi dedico, vista la natura del mio blog, un approfondimento.
L’analisi che riguarda i magazine nel loro insieme dice che:
1) Le copie vendute, sommando carta e digitale, sono stabili nel 2012. Merito anche, si scrive, della diffusione di tablet e smartphone su cui gli americani leggono articoli di magazine. Gli abbonamenti pagati corrispondono per quantità a quelli del 2011. Sono invece calate dell’8 per cento le copie delle riviste vendute in edicola.
Il Pew Research Center ha rilasciato questo pomeriggio il Rapporto 2013 sullo Stato dei media americani.
Merita una lettura attenta e meditata, come sempre.
Leggete l’Overview.
Qual è lo stato del giornalismo americano? Periodici, quotidiani, siti web, sviluppo digitale, radio, televisione. Lunedí 18 marzo l’autorevole Pew Research Center rilascerà un importante rapporto, messo a punto dal Project for Excellence in Journalism, intitolato State of The News Media 2013, relativo a quel che è accaduto nell’anno passato.
Qualcuno di voi sa di certo di cosa si tratta: è più completo e approfondito studio sui media degli Stati Uniti. In questo post trovate il link dove scaricare, da una certa ora di domani, il nuovo Rapporto. Ho inserito il link allo studio uscito un anno fa, riguardante il 2011.
Frasi famose.
“Magazines have their own language and we need to return to the origins of that language,” added Mr. Andrés Rodríguez. “It’s also about walking into a bar and sending a very clear message by the way you’re holding the magazine under your arm – and that’s an experience that anything digital will never give you.”
“I periodici hanno un loro specifico linguaggio e noi editori dobbiamo ritornare al linguaggio delle origini”.
Lo dice Andrés Rodríguez, 47 anni, l’editore e fondatore di SpainMedia, un ex giornalista che, mettendosi in proprio, ha lanciato questo mese (il 6 marzo) l’edizione in lingua spagnola, e per la Spagna, di Forbes, il mensile americano dedicato al mondo degli affari.
Parla di questa avventura il corrispondente da Madrid del New York Times, che traccia un ritratto di imprenditore controcorrente, fiducioso di veder tornare l’età d’oro dei giornali periodici e della pubblicità sulla carta stampata, nonostante il Paese in cui vive e lavora sia stato travolto da una crisi che finora ha portato alla chiusura di decine di testate e alla perdita del posto di lavoro per almeno 8 mila giornalisti.
Il Punto: i periodici, come si è detto più volte su questo blog, non sono una semplice raccolta di news. Si distinguono innanzitutto per la voce, il linguaggio.
autoX, rivista che in India è arrivata al 75esimo numero, annuncia di voler avvalersi delle competenze di un partner italiano, l’Editoriale Domus, già presente, come ho scoperto esplorando in questi giorni il sito della società, in 20 differenti aree linguistiche del mondo (con Domus, Quattroruote, Cucchiaio d’argento).
Di Quattroruote, l’editore indiano sottolinea l’autorevolezza di settore e con enfasi motivata dice che la testata è numero uno in Europa anche per l’accuratezza e affidabilità dei test sulle auto.
Attestati di qualità che valgono per altri brand italiani.
Non c’è solo la brutta storia di Recoletos.
Il Punto: gli editori italiani cercano di portare all’estero i propri brand, alla ricerca di altri ricavi (per ora simbolici).
1) Il mensile, pubblicato anche in Italia, con modelle ammiccanti in copertina, è al diciassettesimo posto nella classifica delle riviste più vendute negli Usa. E la seconda per copie digitali. Sottolineo: la seconda per copie digitali. Maxim è il più popolare periodico maschile. Le copie vendute nella seconda metà del 2012 sono state 2,54 milioni al mese, con un più 1,4 per cento. Di cui 259 mila digitali, con un meno 8,9 per cento.
Per chi, come me, non conosce il pianeta dei propri figli, ecco i risultati di una nuova ricerca del Pew Research Center sui teenager, l’uso degli smartphone, l’accesso a internet e la diffusione del mobile negli Stati Uniti.
Questa una sintesi dei soli dati:
Quasi tutti gli adolescenti usano internet e il 93 per cento accede al computer da casa.
Il 74 per cento dei teenager accede a internet in modo occasionale con smartphone e tablet, e uno su quattro accede su internet principalmente attraverso apparecchio mobile.
Il78 per cento possiede un cellulare, il 47 per cento usa lo smartphone.
Il 23 per cento dei giovani ha un tablet, quasi quanto gli adulti americani.
Sondaggio sull’efficacia della pubblicità nelle edizioni per tablet dei periodici americani. Per la prima volta uno studio rivela un’alta partecipazione dei lettori, che cliccano sulle inserzioni, aprono siti, scaricano applicazioni. Un risultato che dovrebbe fare piacere ai giornalisti: come sappiamo, ci sono testate che ricevono metà o due terzi dei ricavi dalla pubblicità.
La ricerca è stata fatta da Starch Digital su piú di 13 mila inserzioni pubblicitarie nelle edizioni per tablet delle riviste nella seconda metà del 2012. Circa 9.500 pubblicità avevano elementi di interattività. Metà dei lettori che hanno letto o notato queste inserzioni hanno poi interagito con le stesse. L’interesse maggiore è stato riscosso dalla comunicazione riguardante auto, moto, scooter.
Il Punto: trovare fonti di ricavo, e un modello di business, per i periodici del futuro.
Un video che ha due punti di interesse. Il primo: si parla dei contenuti giornalistici pensati per i tablet e di come questi apparecchi vengano utilizzati dai lettori (la sera, sul divano, per rilassarsi). Il secondo motivo d’interesse è che parla Mario Garcia, Ceo e fondatore di Garcia Media, società e studio professionale di grafica e ideazione di giornali e siti che ha collaborato con 500 editori di tutto il mondo, e ha riconcepito giornali conosciuti da tutti, come The Wall Street Journal, The Miami Herald, Die Zeit, e quotidiani locali, tra cui, in Italia, Il Secolo XIX. Insomma, il più importante designer di giornali al mondo.
Parla anche Sara Quinn di Poynter. Le interviste sono state realizzate la scorsa settimana a una conferenza di Poynter Institute che si è tenuta ad Austin, in Texas.
Dice Garcia: «Il tablet viene usato nei momenti della giornata in cui ci si vuole rilassare. Consente una lettura in profondità, concentrata. Lo smartphone viene utilizzato per letture più veloci, nei momenti da riempire».
«Con i tablet cambierà il modo di raccontare storie e fatti. E il modo di fare pubblicità».
«Assisteremo alla creazione di mini-quotidiani e mini-periodici da leggere sugli smartphone».
Il Punto: come cambia il consumo di notizie e di giornali con il passaggio al digitale.
Irrilevanti le copie digitali dei settimanali italiani vendute nel gennaio 2013. Per la prima volta è stata fatta una rilevazione ufficiale (dati di Ads)e il risultato mostra che: 1) per i periodici le copie digitali replica non hanno ancora alcun peso reale (ma è da capire il dato di Sorrisi Tv; i giornali che precedono in classifica la guida tv sono in abbinamento con un quotidiano); 2) i quotidiani sono più avanti delle riviste nella transizione al digitale. Non stupisce: “vendono” news.
Settimanali digitali
(copie + vendite multiple + vendite abbinate)
D LA REPUBBLICA DELLE DONNE 46.184
IO DONNA 45.918
VENERDI’ DI REPUBBLICA (IL) 45.788
SPORT WEEK 15.518
SORRISI E CANZONI TV 10.300
TU STYLE 5.030
ESPRESSO (L’) 2.713
TOPOLINO 1.311
GRAZIA 1.202
NOVELLA 2000 876
A – ANNA 812
PANORAMA 806
AUTOSPRINT 762
MOTOSPRINT 681
VISTO 653
CHI 501
OGGI 467
DONNA MODERNA 343
MONDO (IL) 311
FAMIGLIA CRISTIANA 164
CENTONOVE 0
CIOE’ 0
CONFIDENZE 0
DIPIU’ TV 0
DIVA E DONNA 0
DOLOMITEN MAGAZIN 0
F 0
FF-SUDTIROLER WOCHENMAGAZIN 0
GENTE 0
GIOIA 0
Ads Gennaio 2013
totale vendite digitali
Quotidiani digitali
(copie + vendite multiple + vendite abbinate)
SOLE 24 ORE (IL) 46.190
REPUBBLICA (LA) 45.996
CORRIERE DELLA SERA 45.616
GAZZETTA SPORT-LUNEDI (LA) 15.549
GAZZETTA SPORT (LA) 15.541
FATTO QUOTIDIANO (IL)
Il Punto: quanto i settimanali possano fare affidamento, per ora, sul digitale.
L’articolo di Ad Week descrive i video delle due riviste.
GQ presenta alcune serie decicate, naturalmente, al pubblico maschile. The Ten spiega quali sono i 10 oggetti cui non possono rinunciare uomini di successo come lo chef Rocco DiSpirito o personaggi della finanza. Jogging with James è sulla preparazione di una maratona. Car Collectors sono video sui gioielli a quattro ruote delle celebrity.
Glamour è orientato invece sulla moda, la cosmesi, il sesso (i pensieri segreti dei maschi).
La qualità, si spiega nel pezzo, non è quella incerta dei video realizzati da giornalisti della carta stampata senza esperienza televisiva, ma assolutamente patinata e professionale. Degna di Condé Nast.
I video garantiscono margini (guadagno) più alti nella pubblicità, per questa ragione le media company sono interessate ad arricchire i siti delle testate giornalistiche di clip e brevi filmati concepiti per il web. Si prevede che la raccolta pubblicitaria associata a questa formula aumenti dagli attuali 4,1 a 8 miliardi di dollari entro il 2016, stando a quanto afferma la società di ricerca eMarketer.
Il Punto: i video saranno una delle forze trainanti, e un’importante fonte di ricavo, per i giornali che svilupperanno una dimensione digitale, che siano quotidiani o, come in questo caso, periodici.
Nello studio di Fieg, la federazione degli editori italiani di giornali, intitolato La Stampa in Italia 2010-2011, ho trovato una tabella che rimane attuale, anche se risale a qualche mese fa.
Risponde alla domanda: di quanto sono in ritardo gli editori italiani nello sviluppo di una dimensione digitale per i giornali?
Mentre alla domanda su quale sia l’editore italiano più avanti nel processo, è facile rispondere: Rcs Mediagroup. Ma c’è anche il Gruppo l’Espresso.
Noto che compare in quarta posizione l’editore tedesco, dalle dimensioni internazionali, Axel Springer, di cui questo blog si è occupato anche di recente. Ma la prima è Naspers (broadcaster sudafricano dalle dimensioni globali: è presente anche in Cina), seconda Schibsted (conglometrato norvegese), terza la britannica Pearson….
Trovate l’originale nella pagina studi della Fieg.
Per me è stata una grande scoperta: pur lavorando da una vita nei periodici (anche a un certo livello, via), non sospettavo, prima di dare vita a questo blog maieutico, che il principale punto di forza dei magazine fosse la pubblicità. Le riviste donano alle inserzioni una forza e capacità di penetrazione che non si trova su altri media.
Ma la cosa stupefacente, come dice una ricerca uscita in questi giorni, è che la fiducia nel messaggio pubblicitario sui periodici è rimasta inalterata nonostante la crisi della carta stampata.
Lo studio, condotto dall’istituto di ricerca finlandese VTT (istituto universitario, molto serio), su commissione di Print Power (organizzazione europea collegata agli editori che ha lo scopo di promuovere, sì, promuovere il mezzo carta stampata), coinvolgendo 700 consumatori di 13 Paesi europei, giunge a queste conclusioni:
il 63% degli intervistati si fida della comunicazione pubblicitaria su quotidiani e riviste;
il 41% si fida della pubblicità in tv;
il 25% si fida della pubblicità su Internet.
Date un’occhiata, ci sono altri aspetti interessanti sui profili sociali, demografici, economici dei lettori.
Il Punto: nell’era digitale la carta stampata conserva punti di forza non toccati.
Print Power: fiducia nella pubblicità
Frasi celebri.
Things have changed. “Magazines are still a great experience; they just haven’t been a great business,” said Michael Wolf, CEO of Activate, a consultancy that works with Condé Nast.
Le cose son cambiate. “I periodici hanno ancora un senso; è solo che non sono più un grande affare”, dice Michael Wolf, Ceo di Activate, società di consulenza che lavora per Condé Nast.
(A proposito del significato della vicenda Time Inc., il maggiore editore americano di riviste, che tre giorni fa ha deciso di scorporare le attività editoriali dalla società principale, Time Warner (centrata sul cinema e la tv), per farne una compagnia autonoma che corre da sola a Wall Street).
Leggendo le notizie sulla crisi degli editori italiani di periodici, zeppe di chiusure di testate, vendite di riviste, tagli alle redazioni, esuberi, riorganizzazioni, ristrutturazioni, mi è tornato in mente uno studio della School of Journalism della prestigiosa Columbia University di New York, uscito qualche mese fa, di cui questo blog si era occupato in occasione della pubblicazione.Titolo: Post-Industrial Journalism – Adapting to the Present.
Me lo sono riguardato (lo trovate in link alla fine del post).
Come prevedibile ho trovato indicazioni e parole che oggi, alla luce di quel che è accaduto nel frattempo in Italia, acquistano un significato maggiore. Il classico esempio di maturazione del lettore.
M’interessa soprattutto un paragrafo nell’introduzione intitolato: Restructuring Is a Forced Move (ristrutturare è una mossa obbligata).
I cambiamenti negativi che hanno investito i print media (la carta stampata) portano, per gli autori dello studio, a due conclusioni: la produzione di news deve diventare meno costosa e la riduzione dei costi deve essere accompagnata da una ristrutturazione dei modelli organizzativi e dei processi.
C’è una parola che è come uno squillo di campanella: sveglia! È là dove si dice che la riduzione dei costi dovrebbe essere strategica.
Vuol dire che i risparmi e i sacrifici (eufemismo: posti di lavoro persi) almeno centretanno l’obiettivo di rimettere in carreggiata gli editori in difficoltà solo se il ridimensionamento sarà accompagnato da un’efficace ridefinizione del lavoro nei giornali. Altrimenti, appunto, non si farà di più con meno ma: meno con meno.
Riporto alcuni passaggi.
We do not believe the continued erosion of traditional ad revenue will be made up on other platforms over the next three to five years. For the vast majority of news organizations, the next phase of their existence will resemble the last one–cost reduction as a forced move, albeit in a less urgent (and, we hope, more strategic) way, one that takes into account new news techniques and organizational models.
(Traduzione libera e selettiva) Per i prossimi 3, 5 anni i media digitali non compenseranno le perdite della stampa. Bisogna pertanto prepararsi ad altre ristrutturazioni. Ma che almeno siano strategiche.
Post-industrial journalism assumes that the existing institutions are going to lose revenue and market share, and that if they hope to retain or even increase their relevance, they will have to take advantage of new working methods and processes afforded by digital media.
Calano i ricavi e gli editori dovranno compensare la situazione adottando nuovi metodi di lavoro e rivedendo i processi (con le modalità rese possibili dai media digitali).
This restructuring will mean rethinking every organizational aspect of news production–increased openness to partnerships; increased reliance on publicly available data; increased use of individuals, crowds and machines to produce raw material; even increased reliance on machines to produce some of the output.
These kinds of changes will be wrenching, as they will affect both the daily routine and self-conception of everyone involved in creating and distributing news. But without them, the reduction in the money available for the production of journalism will mean that the future holds nothing but doing less with less. No solution to the present crisis will preserve the old models.
Saranno cambiamenti che incidono pesantemente sulla quotidianità di chi lavora e l’identità professionale; ma senza di essi la mancanza di risorse economiche si risolverà inevitabilmente nel far meno con meno. Nessuna soluzione per questa crisi potrà conservare i vecchi modelli.
Il Punto: le ristrutturazioni, se dobbiamo subirle, siano almeno utili a ridare una prospettiva ai giornali e a chi ci lavora.
Columbia School of Journalism: post-industrial journalism – Adapting to the present
Un Paese che guarda con ottimismo al futuro dei periodici? L’India. Riprendo alcune considerazioni uscite tre settimane fa dal Congresso dei Magazine del subcontinente.
Prima ragione di ottimismo. Ci son voluti 7 anni perché in India venissero venduti 20 milioni di smartphone. Lo stesso risultato con i tablet è stato raggiunto in 20 mesi.
Seconda ragione. I lettori indiani spendono in media 45 minuti alla settimana sulle riviste in versione cartacea. Per quelle in formato digitale, lette sul tablet, il tempo speso sale a 160 minuti.
Da questo nasce l’ottimismo verso l’immediato futuro dei periodici. Questo Paese è un gigante con Ganesh in una mano e il tablet nell’altra. E si dimostra che ci sono aree del mondo in cui lo sviluppo dell’industria dei media passa direttamente allo stadio del digitale.
Si fa un paragone con l’Italia. In India solo il 4 per cento della pubblicità trova spazio sui magazine. Negli Usa è il 17%, in Germania il 18%, in Francia il 15%, in Italia l’11%.
Anche da questo si arriva alla conclusione che l’editoria dei periodici non possa che far meglio in futuro.
Riprendo un articolo online del Prague Post. Registra un calo drammatico nelle vendite delle principali riviste.
Nel 2012 molti titoli hanno perso un terzo dei lettori. Il calo medio nelle edicole è stato dell’11,8% secondo i dati raccolti ed elaborati dall’Audit Bureau of Circulation della Repubblica Ceca.
Se un anno fa, nel pieno della crisi di copie vendute e pubblicità, ci avessero detto che a inizio 2013 i periodici avrebbero perso il 25% della pubblicità rispetto al magro inizio del 2012, ci saremmo messi le mani tra i capelli. Già allora, infatti, si perdeva il 13,7% a fatturato e il 12,4% a spazio..
Ma siamo così abituati a veder le cose andare sempre peggio, come una fila di pezzi del Domino che cadono, da non provare quasi più emozioni: i numeri hanno perso senso, come una parola ripetuta all’infinito.
Avrete letto i dati sulla raccolta pubblicitaria nella stampa a gennaio 2013, diffusi ieri dall’Osservatorio Stampa Fcp – Gennaio 2013 e ripresi da primaonline.
Il fatturato pubblicitario del mezzo stampa in generale registra un calo del -24,9%.
I quotidiani a pagamento registrano -24,0% a fatturato e -12,6% a spazio.
I periodici, nel loro complesso, segnano un calo a fatturato del -25,2% e a spazio -20,1%.
I settimanali registrano un andamento negativo sia a fatturato -20,4% che a spazio -7,5%.
I mensili hanno indici negativi sia a fatturato -31,1% che a spazio -30,4%.
Il Punto: la crisi nella stampa sembra diventare se possibile ancor più pesante. Una volta di più è andata delusa l’aspettativa di una ripresa.
Perché Time Warner si separa dai giornali che sono all’origine della sua storia di successi? Me lo chiedevo mentre stavo scrivendo, ieri mattina, la prima versione di questo post. Mi sono fermato.
Perché dare una notizia che già altri 200 blog e siti d’informazione stavano mettendo in link, traducevano e in sostanza copiavano dai siti dei giornali americani? Perché lasciarsi scivolare nella pozza delle notizie diventate commodity, tutte uguali, in definitiva irrilevanti?
Anziché riportare un fatto che di lì a poche ore sarebbe stato noto a chi s’interessa di media, sarebbe stato molto più utile, innanzitutto a me stesso, trovare una chiave di lettura. Una fiammella per gettare un po’ di luce su quel che sta succedendo nel mondo dei periodici.
Penso che la spiegazione più coerente dell’intera vicenda, e interessante per noi italiani, sia quella di Daniel Gross, penna di Newsweek e The Daily Beast.
Una notizia, che riprendo da Forbes, gravida di conseguenze per gli editori. Guardate la tabella.
A inizio 2013 le page view su tablet hanno superato, a livello globale, quelle su smartphone. Vuol dire che si consumano più contenuti con le tavolette che con i telefonini intelligenti. Le conseguenze sono rilevanti per gli editori, perché i contenuti visti su tablet sono in media diversi da quelli per smartphone (sto semplificando). L’iPad, solo per citare l’apparecchio più famoso, è più indicato per la lettura di giornali e riviste. Sul cellulare, per quanto grande sia lo schermo, attività di questo tipo sono meno confortevoli.
Il Punto: notizie favorevoli alla sopravvivenza dei magazine.
Forbes: i tablet superano gli smartphone.
L’editore tedesco Axel Springer, di cui abbiamo parlato più volte, ha comunicato ieri che i ricavi dalle attività digitali del gruppo hanno superato per la prima volta quelli della carta stampata. Springer è il principale editore di quotidiani in Germania ed è una multinazionale presente in numerosi Paesei europei (e non) tra cui Francia, Belgio, Polonia.
I ricavi del 2012 sono stati pari a 3 miliardi 310 milioni di euro, in crescita del 3,9%. Ma l’utile, dopo le tasse, è sceso del 4,7%, per cui l’editore guadagna “appena” 275,8 milioni di euro. La previsione di un dividendo più basso dell’atteso ha fatto scendere ieri in Borsa le azioni di Axel Springer del 6,7%. Eppure…
Eppure il gruppo dovrebbe gioire. Perché il calo dell’utile è legato agli investimenti nelle pubblicazioni e attività digitali, una transizione intrapresa a tappe forzate. Con una forza e convinzione che fanno riflettere sull’immobilismo e i ritardi degli editori italiani.
Dagli assett digitali, cresciuti del 22% in un anno, provengono ricavi per 1,17 miliardi di euro.
Dichiarano i vertici di Axel Springer:
“Although our print media will continue to make an important contribution to the success of our business for a long time, our goal is clear: we want to become the leading digital media group.”
Bisogna cambiare e rinfrescare il modo di scrivere gli articoli dei nostri giornali se non si vuole apparire vecchi e superati nell’era digitale.
L’esempio potrebbe venire dai blog e dai periodici, per inaugurare una stagione che si ispiri al movimento del New Journalism degli anni Sessanta e Settanta, quello predicato dallo scrittore americano Tom Wolfe (autore del Falò delle vanità).
Ne parla il sito Lsdi (Libertà di stampa, diritto d’informazione) che ha tradotto articolo di Frederic Filloux pubblicato, tra gli altri, da The Guardian: potete leggere qui oppure qui, in originale. Riporto una sintesi della traduzione di Lsdi. Interessante soprattutto il passaggio sui periodici. Naturalmente l’autore (Filloux) ha in mente il giornalismo anglosassone quello, lo sappiamo, ossessionato dall’andamento oggettivo del racconto, dalla secchezza da agenzia stampa delle frasi, dalle citazioni esatte e un po’ noiose (non parlo del Sun, naturalmente). Da un punto di vista italiano, abituati come siamo al giornalismo narrato di La Repubblica, la lezione anglosassone conserva un certo fascino.
The Need for a Digital “New Journalism”
di Frederic Filloux
Ho trovato una breve riflessione sull’utilità dei periodici. Riguarda la pubblicità.
So che oggi il mondo cade a pezzi e la pubblicità scende in picchiata soprattutto nei print media. Ma, come altre volte ho avuto l’opportunità di leggere e riferire, quasi sfidando il senso comune, le riviste sono considerate molto efficaci come veicolo pubblicitario. Guardate qui per scoprire perché. Il boom dei media digitali ha messo in discussione questa verità. Anzi, il fioccare di portali e siti web, con la velocità di produzione e distribuzione, ha fatto dimenticare il valore stesso delle inserzioni sui magazine.
Ma nell’era dei social media inizia a farsi strada qualche ripensamento.
La pubblicità su Twitter perde rapidamente efficacia. Guardate la tabella qui sotto ripresa di Minonline.com. In pochi minuti gli utenti del social media dimenticano le inserzioni viste. l'”impressione” dura poche ore, a volte pochi minuti.
Certo, Facebook aziona meccanismi di moltiplicazione, vendono creati contenuti dall’effetto “virale”, condivisi migliaia di volte. Ma la durata dell’effetto rimane insoddisfacente. Bisogna programmare campagne su campagne, martellare il lettore.
Per questo c’è chi torna alla carica sbandierando le qualità della pubblicità sulle riviste di carta (o digitali). L’impatto sul lettore è più lento, la penetrazione avviene nell’arco di una settimana o di un mese. Ma dura di più. Lascia un’impressione più forte. Si accumula nel tempo. La stessa pagina viene guardata più volte e da più persone.
I periodici riportano a terra la comunicazione, la ràdicano al suolo, diventano strumento complementare allo sfrecciare di portali, siti, social media.
Il Punto: ragioni di utilità dei giornali.
Parola di Sue Brooks, Director of Video Transformation della Associated Press. Per anni l’agenzia di stampa internazionale ha fornito, oltre ai lanci scritti, materiale video grezzo (feed) e servizi chiusi alle televisioni di mezzo mondo. Ora alimenta i siti dei giornali. Ma gli editori della carta stampata sbaglierebbero a voler imitare lo stile e i contenuti dei broadcaster. I buoni tg non mancano e la copia dell’originale sarebbe imperfetta. Pretenziosa. Il quotidiano e i periodici devono trovare una strada tutta loro, aderente al brand, cioè alla propria “voce”. Solo così un video visto sullo schermo di piccole dimensioni di uno smartphone o di un tablet ha senso. Nell’intervista c’è un passaggio sulla rapidità, una delle cinque qualità delle Lezioni americane di Italo Calvino (il quale, nell’opera citata, faceva l’esempio di un romanzo di una riga sola).
Il Punto: gli editori di giornali sono diventati media company che sfornano prodotti giornalistici di carta, video, contenuti digitali. E devono imparare come farlo.
Wan Ifra: l’utilità dei video nei siti dei giornali
Mashable racconta, per voce del giornalista Max Blau di Creative Loafing, quattro esempi di (relativo) successo nello sviluppo digitale di quattro testate, tre delle quali universalmente note: The Economist, The Wall Street Journal, The Atlantic (la quarta è 29th Street Publishing, ma sento odore di comunicazione promozionale).
Perché?
La scommessa per molti editori nel 2013, si spiega, è di far crescere il numero di propri lettori digital.
Come?
The Wall Street Journal punta su aggiornamenti al minuto delle news, produzione di video, politica dei prezzi semplice e chiara.
The Economist vuole essere presente sul maggior numero possibile di piattaforme ed edicole digitali, offre contenuti premium non scontati, il prezzo dell’abbonamento è lo stesso per carta e digitale (i lettori pagano i contenuti, non il media).
The Atlantic vuole raddoppiare i lettori nel digitale per il 2014, ha lanciato un’app per iPhone e sta riflettendo sulla possibilità di introdurre nel proprio sito il paywall, l’accesso a pagamento.
Il Punto: strategie dei giornali per aumentare il numero dei lettori nel digitale.
Il digitale è il futuro dell’editoria, si dice. E subito si pensa a siti web e tablet.
Ma l’unico digitale buono, capace di generare nel breve periodo ricavi veri per gli editori, è legato all’e-commerce. Alla vendita di prodotti online. Questa sembra essere la regola per tutti gli editori che hanno successo in questo campo, sia che si parli di editori americani, i più entusiasti per tablet e contenuti giornalistici da diffondere nel digitale, sia tra gli editori tedeschi, quelli più attratti dalla possibilità di far soldi vendendo servizi e prodotti online. Tra i primi, Burda e Axel Springer.
The Atlantic, come ho avuto occasione di raccontare, è uno dei più antichi e prestigiosi periodici americani d’informazione e cultura, divenuto una case history di come una testata in difficoltà possa reinventarsi nell’epoca della transizione al digitale. Da fine gennaio è al centro di un vivace dibattito generato dalla protesta dei lettori del giornale per la pubblicazione di un articolo elogiativo di Scientology, un pezzo sponsorizzato, pagato, che celebra una serie di inaugurazioni di sedi, sparse nel mondo, della nuova organizzazione religiosa.