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5 Giornali che Cambiano

E’ ancora valido (vedi gennaio 2014)

Un viaggio nei giornali che cambiano. Attraverso le parole di un grande designer di media. Per capire in quale direzione devono andare quotidiani e periodici. Cogliendo il meglio di una stagione tra le più eccitanti (e rischiose) del giornalismo

The Wall Street Journal (Usa), El Tiempo (Colombia), Die Zeit (Germania), Aftenposten (Norvegia), Paris Match (Francia).

Mario Garcia ha ridisegnato centinaia di giornali ma questi sono i progetti che meglio illustrano la sfida del cambiamento.
Garcia lo ha spiegato a una lezione a studenti universitari di giornalismo: come promuovere il cambiamento e trarne vantaggio. Garcia, americano di origini cubane, è il più famoso designer al mondo di giornali e media. Maestro nella carta stampata, 41 anni di lavoro, centinaia di progetti alle spalle per i principali quotidiani (Italia inclusa), ora crede nella strategia del digital first, il ripensamento dei giornali a partire dall’edizione per smartphone e tablet. E ha scritto un manuale, il suo primo ebook, sulla grafica dei giornali digitali.

Ascoltarlo è come fare un tuffo in quel che c’è di più entusiasmante, creativo, coinvolgente del giornalismo, quello che ne fa uno dei mestieri più belli.

Il cambiamento è ora l’imperativo a causa della … disperazione. Ma il cambiamento va fatto per trarne beneficio, non per amore del cambiamento.

Sintetizzo alcuni passaggi, partendo dai 5 progetti.

L’introduzione del colore sul Wall street Journal, sfidando una tradizione considerata intoccabile.La redazione era contraria: il colore sul wsj? «Perderemo la credibilità»…

La ridefinizione della formula del quotidiano El Tiempo di Bogotà: eliminate le sezioni (politica, economia, esteri) e introdotta una scansione più intuitiva e naturale: Cosa sapere, Cosa fare, Cosa imparare. Il concetto è filtrato ovunque nell’editoria, viene applicato anche dai newsmagazine italiani.

L’approccio digital first in un grande quotidiano norvegese, disegnato partendo dal mobile. Deve essere letto sugli smartphone e sui tablet, poi si passa alla carta. Non il processo inverso, di adattamento del prodotto di grande formato ai piccoli schermi. La lezione è che il lavoro giornalistico non è più un lavoro per «solo numbers» (numeri primi), ma collettivo. Si parte da un’idea (un tweet) e su questo si costruiscono testo scritto, parte grafica, video, tutto il resto.

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Le Categorie Di Video Più Visti Online

Vale la pena di fare video per il web? Quale tipo di video viene guardato fino in fondo nell’online? A che punto conviene mettere la pubblicità? E gli utenti torneranno a vedere altri video e altra pubblicità sul sito?

Prova a rispondere la start-up britannica Coull, che ha studiato oltre 12 milioni di video nel web in 60 paesi (lo racconta, tra gli altri, il sito theMediaBriefing.com).

Con un obiettivo: scoprire quale tipo di video viene visto fino alla fine.

Un’analisi costruita su un indice specifico, il completion rate (quanti utenti rimangono fino al completamento).

Quale categoria prevale tra notizie “serie”, video di automobili, how to do, animali, blog, viaggi, celebrity… ?

Ecco la tabella che riassume i risultati:

Video Completion Rate

Bisogna precisare che nei risultati ci sono differenze tra Paese e Paese. E rimangono dubbi da chiarire su un tipo di misurazione che mette a confronto, probabilmente, video dalla durata diversa.

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Come cambia la lettura dei giornali: NRC Q in Olanda

Cambia la lettura dei giornali. Notizie brevi la mattina, aggiornamenti nel pomeriggio, pezzi lunghi la sera. E i social media. Come mostra un video

Un’idea su come cambia la lettura dei giornali è nel video promozionale dell’olandese NRC Q, un quotidiano economico che ha sviluppato un’offerta di informazione per smartphone, tablet, pc.

Risponde ai bisogni di un pubblico indaffarato, benestante, sempre connesso.

 

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L’Età Dell’Oro Del Giornalismo: 5 Riflessioni

The golden age: l’età dell’oro del giornalismo. Un’espressione che ritorna spesso nelle riflessioni sui destini dell’informazione e della stampa nell’era digitale. Esiste un futuro? E per quanti giornalisti?

Una nuova età dell’oro dei media? Scritto per The Atlantic da un executive editor della Harvard Business Review, l’articolo risponde alla domanda: il giornalismo tornerà ad essere un’industria articolata e ricca come era fino a pochi anni fa? Un excursus storico vede le varie età del giornalismo in rapporto al modello economico che le guidava.

Una nuova età dell’oro (digitale) per i magazine? Sul sito del quotidiano canadese National Post si risponde alla domanda se la cultura digitale abbia migliorato i periodici. Si citano gli esempi di The New Yorker, The Atlantic, Bloomberg Businessweek. E New Republic.

Siamo in una nuova età dell’oro del giornalismo? Tom Engelhardt vede pro e contro dell’età digitale per lettori e qualità del giornalismo.

Questa non è l’età dell’oro della stampa, si legge sulla Columbia Journalism Review. E vengono riportati i dati sull’industria, indicatori tutti in calo. Ma si osserva che, dal punto di vista dei contenuti, la sensibilità dei magazine ha vinto la sua battaglia: l’informazione su Internet ha assunto come tono di fondo quello dei periodici piuttosto che quello dei quotidiani.

L’età dell’oro dei settimanali in Australia. Una rievocazione della età d’oro dei giornali patinati tra la fine degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta. Quando un settimanale poteva avere 3 milioni e mezzo di lettori.

Futuro dei Periodici

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La Percentuale Di Lettori Digitali Nei giornali Francesi

Quanti lettori digitali hanno i giornali? Quanti di questi lettori sfogliano anche il prodotto di carta? E quanti guardano solo il sito del brand? Uno studio sulla Francia. Utile all’Italia

Misurare l’apporto del digitale per i giornali: ora in Francia è possibile, come spiega questo articolo di CB News.

Si può sapere quanti lettori accedono ai contenuti di un giornale esclusivamente con Internet, quanti solo su carta, e in che misura i lettorati si sovrappongono. Nel digitale, si può distinguere tra accesso da computer o da mobile (tablet, smartphone).

In media, nei brand giornalistici il 57% dei lettori si affida unicamente al prodotto di carta, il 22% solo a Internet, il 4% solo al mobile. Il restante 17% legge su più supporti.

Ecco la classifica dei brand più letti nel Paese, sommando le varie piattaforme.

Al primo posto c’è Femme Actuelle: 16 milioni 625 mila lettori, di cui 13 milioni 996 mila su carta. Il digitale pesa per il 19%.

Lettori digitali nei giornali francesi

 

Interessante vedere le differenze tra tipologie di giornali.

Nei quotidiani i lettori esclusivamente print sono, in media, il 46%, mentre Internet è porta d’accesso per il 54%.

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24 Siti Che Cambiano il Giornalismo (Cronologia Interattiva)

Una cronologia interattiva e multimediale sui 24 siti d’informazione nativi digitali che hanno cambiato il giornalismo. Da Huffington Post a Policy Mic, da Slate.com a Project X: emergono le tendenze portate dal digitale nel mondo della stampa (Usa e non solo)

La timeline di Futuro dei Periodici s’intitola: 24 Siti che hanno cambiato il giornalismo. (Per vederla, è necessario andare al link: non è possibile “inserire” il file nei post di WordPress. La consultazione è lenta su tablet).

E’ stata realizzata da Futuro dei Periodici raccogliendo informazioni nella Rete e prendendo spunto da The State of the News Media 2014 del Journalism Project (Pew Research Center).

Vengono fuori cambiamenti e tendenze del giornalismo.

Il programma è della fondazione Knightlab.

Timeline: 24 siti web che hanno cambiato il giornalismo

 

 

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I 7 Vizi Capitali Dei Giornali Su Tablet

Come si trasferisce su tablet un giornale di successo? Discussione su copie replica, copie arricchite, interattività, multimedialità, vecchie star del cinema che cantano su iPad. E il vero problema che gli editori di periodici devono affrontare

La domanda è stata fatta da uno studente a Mario Garcia, designer di centinaia di giornali: come si “trasporta” un giornale sul tablet? E lui, geniale giornalista che quest’anno insegna alla Columbia University di New York, ha risposto tirando fuori la versione per iPad di Vanity Fair.
Finisce sotto la lente di ingrandimento un numero del giornale molto, molto riuscito: quello dedicato alla Notte degli Oscar.
La copertina, con tutti gli attori, è stata un fenomeno virale su Twitter. E la copia cartacea è un successo in edicola: oltre 400 pagine per un numero monstre che squaderna bellissime foto e raccoglie pubblicità da fare invidia a qualsiasi concorrente. Sfogli le pagine e respiri la grandezza della carta stampata.
Ma la “traduzione” per tablet delude Mario Garcia. Nonostante Condé Nast sia uno degli apripista nel digitale per la stampa periodica. Le critiche benevole di Garcia, quindi, non colpiscono un soggetto che si muove nella retroguardia, ma qualcuno che sicuramente merita il plauso di tutti. Qualcuno molto coraggioso e innovativo (su quest’aggettivo, vedi più sotto).
Garcia, però, sfoglia il giornale su iPad e il suo “dito curioso”, alla ricerca di interazione sullo schermo, di multimedialità, di pagine da aprire, rimane deluso: un “dito frustrato”.
Il designer individua setti vizi capitali. Valgono anche per i giornali di altri editori.
Ecco una sintesi, con il rinvio a leggere il post.
1) Il giornale di carta viene trasferito di peso sull’iPad.
2) L’unica differenza, rispetto all’edizione cartacea, è che nel digitale c’è la possibilità di condividere gli articoli su Facebook e in Rete. Non basta, per Mario Garcia.
3) e 4) Il dito del lettore viene sollecitato troppo poco. Solo una piccola parte delle immagini, per esempio, è cliccabile. Un prodotto statico.
5) Ci sono pochi video.
6) Ci sono molte occasioni mancate: avresti voluto toccare le foto di vecchie star di Hollywood, Marilyn Monroe per dire, e vederle prender vita, magari nelle scene dei loro film. Niente.
7) Anche la pubblicità è ferma all’immagine fissa.
La morale? Secondo Garcia i lettori vogliono ritrovare su tablet lo stesso prodotto uscito in edicola. I magazine sono godibilissimi su iPad. Al tempo stesso, però, la domanda di interattività e multimedialità deve venir soddisfatta in una qualche misura. Nessuno pretende effetti speciali, prove creative spesso sterili (vogliamo parlare del sopravvalutato Snow Fall?). Ma il dito merita soddisfazione.
«Keep the finger happy».
In altre parole, come dice il nuovo senior vice president del digital a Time Inc., il problema per gli editori, in questo momento, è trovare un giusto equilibrio tra “the need of scale with the necessity of innovation“: tra prodotti che fanno fatturato e lavoro sull’innovazione.
Futuro dei Periodici
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L’Editore Che Investe Sia Nella Carta Sia Nel Digitale – Prisma Media

Nuovi progetti, lancio di giornali e di allegati per i titoli esistenti, investimento nei video e nel digitale. In Francia Prisma Media va all’attacco

È l’editore di Geo, Capital, Voici, Télé Loisir: 25 titoli tra i più venduti in Francia. E da poco la versione transalpina dell’elitario Harvard Business Review (17.000 copie a 17,90 euro).

Ma Prisma Media, in questa intervista di Le Figaro al presidente Rolf Heinz (guida anche Gruner + Jahr International), dichiara soprattutto di credere ancora nei periodici, di voler investire nel corso dell’anno e di avere un piano di espansione in cui il digitale non si sostituisce ai giornali ma ne è un volano di diffusione.

(Una controffensiva mediatica per rispondere al colpaccio di una rivista della concorrenza, quel Closer che ha rivelato la relazione tra il presidente Hollande e l’attrice Julie Gayet?)

Per il 2014 si prepara il lancio di, almeno, una nuova testata, mentre sono 3 i progetti in cantiere.

Prisma ha acquisito una quota maggioritaria della più grande società di produzione di video in Francia (AdVideum).

Si costruisce un’offerta integrata, carta e digitale insieme, per le principali aree di interesse della società: economia, femminili, televisione e intrattenimento, scienze.

«La mia ambizione è di concepire un nuovo genere mediatico ibrido, consultabile sul tablet, che amplia la ricchezza del testo, delle foto, dei video, della community, del servizio, del gioco.

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Perché Il Digitale Ti Allunga La Vita: Fenomeno Multihomers

I giornali sono in declino. Ma le testate con una presenza digitale riescono ad attrarre più pubblicità. Come spiega uno studio dell’università di Toronto. Che aiuta a capire i cambiamenti nel mondo della pubblicità e di chi la gestisce. Anche in Italia

Sono notizie che sembrano la scoperta dell’acqua calda. Se invece ci rifletti sopra, con umiltà, porti a casa un pezzetto di conoscenza. Acquisisci una chiave di lettura che ti aiuta a capire perché una concessionaria italiana di pubblicità prende anche la raccolta sulle radio, le tv. O compra riviste che altrimenti chiuderebbero.

La ricerca dell’università di Toronto Scarborough (condotta sulla stampa tedesca, con la collaborazione di docenti europei dell’università di Zurigo) spiega fino in fondo le conseguenze, per la pubblicità, di avere a che fare con lettori che si cibano di contenuti su più piattaforme: la loro “dieta mediatica” (come dicono gli esperti) include la lettura del giornale di carta, navigazione e ricerca su Internet, social media, tablet e tanto smartphone. Si chiamano “multihomers” (ma in italiano la esse del plurale va cassata, giusto?).

L’attenzione del lettore/consumatore è parcellizzata. La comunicazione delle aziende, la pubblicità, non può più avvenire solo su un canale. La carta non basta, ma neppure il digitale da solo. Bisogna seguire il potenziale cliente nei suoi spostamenti e conquistare ovunque la sua attenzione. Non c’è dunque il “passaggio al digitale”, ma siamo su un terreno misto.

Torniamo ai multihomer. Tracciarli non è facile. I giornali che ci riescono, che selezionano un pubblico di lettori con interessi molto focalizzati e omogenei, e presenti su carta ma anche sulle estensioni in radio, tv e digitale, possono vendere a un prezzo più alto gli “spazi” pubblicitari. Possiedono qualcosa di grande valore.

Per questo è importante sviluppare una presenza a tutto tondo. Non solo perché si perdono lettori e copie dei giornali.

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Trend Nei Periodici 2013-2014 (Rapporto Fipp)

Per capire come stiano cambiando i rapporti di forza nel mondo dei media basta vedere le considerazioni sulla pubblicità contenute nel World Magazine Trends 2013/14 di Fipp, la federazione mondiale dei media magazine (si trova a Londra). Un rapporto di 444 pagine, descritto in un articolo dell’Huffington Post (della ricerca vengono rilasciati gratuitamente solo alcuni estratti).

Perché la pubblicità è presto detto: è la benzina con cui si alimentano i giornali, a corto di ricavi per la caduta nelle copie vendute.

Nel 2013 la pubblicità raccolta su Internet ha superato per la prima volta quella dei quotidiani: è un dato mondiale.

Nel 2015 la raccolta su Internet supererà quella di quotidiani e periodici insieme.

È utile specificare che entro il 2015 un quarto della pubblicità su Internet riguarderà il mobile: smartphone ma soprattutto tablet.

Non in tutto il mondo la carta stampata boccheggia. Regala ancora soddisfazioni nelle economie in forte crescita e in Africa e Medio Oriente. L’Europa, definita un mercato maturo, anzi “vecchio”, fatica a riprendersi dalla crisi.

Gli editori stanno investendo nel digitale e un quinto della pubblicità raccolta su Internet riguarda i siti e le pubblicazioni digitali.

Ma questa crescita non compensa le perdite della carta. Un problema ampiamente delineato e approfondito.

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In Uk la Pubblicità Torna ai Livelli Pre-Crisi

La pubblicità in Gran Bretagna è tornata a livelli di prima del 2007. Quando la crisi non era ancora esplosa. Ne beneficia anche la carta stampata. Che però deve fare innovazione

Sì, in Gran Bretagna c’è il boom della pubblicità. I dati del Rapporto This Year, Next Year UK di GroupM, società che si occupa di investimenti nei media, dicono che nel 2013 la spesa dovrebbe essere del 7%, il doppio di quanto previsto a maggio.

Complessivamente, la somma spesa dovrebbe raggiungere 13,9 miliardi di sterline, superando il picco raggiunto nel 2007, prima della crisi. Ben oltre quel che si registra in altri paesi europei. Nel 2014 si prevede che gli investimenti arrivino a 14,8 miliardi: +6%. Spettacolare ma non fenomenale, è il commento di GroupM, se si considera che il prodotto interno lordo della Gran Bretagna è cresciuto del 9% dal 2008.

Il digitale pesa ormai per il 44% sugli investimenti pubblicitari nel paese. E la carta stampata? Tra crescita della tv e del digitale, i giornali lottano per ridurre le perdite temute e contenere i danni sotto il 10%: perdite in investimenti pubblicitari a una sola cifra.

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La Formula di Axel Springer: Carta e Digitale Insieme

Basta alla divisione carta/digitale. Giornalismo di qualità. Contenuti a pagamento. Previsioni per i prossimi 5 anni. Tutto nell’intervista di Milano Finanza al Ceo di Axel Springer, la prima media company digitale europea

TROVATA LA STRADA Il sottotitolo di questo blog è: cronache da un mondo che non sa dove andare. Chiaramente se trovo qualcuno che sa dove andare, mi sento obbligato a dargli la prima pagina.

Da tempo nella mia prima pagina c’è l’editore tedesco Axel Springer, gigante dei periodici in Europa, proprietario in Germania dei maggiori quotidiani. E apripista del digitale.

Segnalo un’interessantissima intervista all’amministratore delegato del Gruppo uscita sabato su Milano Finanza. Bel colpo. La sostanza dell’articolo, intitolato «Il meglio deve venire», è già stata esposta con anticipo e in modo ampio in queste pagine: Axel fa il 40% dei ricavi con il digitale. È dunque il primo ad aver trovato una strada nel digitale che porti a risultati economici di rilievo. E ad avere individuato il tanto inseguito modello economico del digitale: un equilibrio tra costi sostenuti e ricavi.

Ma c’è dell’altro. A livello di definizioni, linguaggio, formule: scolpiscono concetti. E allora faccio una sintesi dei passaggi di maggior rilievo per un giornalista italiano.

SIATE CANNIBALI

1) La strategia di digitalizzazione della società è stata adottata con largo anticipo sulla concorrenza: già dal 2002. Nel 2004 solo il 4% dei ricavi proveniva dal digitale. Il Ceo di Axel Springer spiega che le aziende che non entrano con decisione nel digitale per timore di cannibalizzare il proprio business hanno perso in partenza: qualcuno lo farà al loro posto. Cannibalizzare significa che il digitale ruba lettori alla carta, mettendo in crisi il sistema.

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Come si Diventa il Primo Editore Digitale Europeo

Axel Springer, società tedesca che pubblica giornali, è il primo grande editore europeo nei digital media. Rimangono al primo posto i contenuti giornalistici a pagamento. Ma il peso della stampa viene circoscritto. E cresce in modo spettacolare il digitale. Che solo in parte è sinonimo di giornalismo. Un percorso che altre società potrebbero seguire

CRESCITA DIGITALE Una transizione da studiare bene. Aiuta a immaginare il futuro delle nostre case editrici di periodici e quotidiani. Axel Springer, editore tedesco presente in molti paesi europei, sembra avere trovato la strada per uscire dalla crisi. È tra le società con la più alta quota di fatturato che proviene dal digitale: a fine settembre, su 100 euro incassati, 40 euro venivano generati dai media digitali. Che contribuiscono al 46% degli utili.

LA LINEA In questi mesi la società sta cambiando forma e politica degli investimenti. La strategia consiste nello sviluppo di contenuti giornalistici a pagamento, nelle acquisizioni di attività digitali non giornalistiche, nella riduzione del peso della stampa, là dove non è più fondamentale per il Gruppo. Come avvenuto a luglio con la cessione dei quotidiani regionali, delle guide tv, dei femminili a un altro editore tedesco.

NUOVA IDENTITÀ Con il tempo cambia il mix delle attività. Il digitale, nei primi 9 mesi del 2013, ha dato ricavi per 959 milioni di euro. I quotidiani del Gruppo per 781 milioni di euro. I periodici per 331 milioni di euro. Il digitale cresce del 6,6%, i quotidiani calano del 6,6%, i periodici scendono del 2,4%.

Ma cosa vuol dire digitale? Come cambia la natura di un editore? E lo è ancora?

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Time Non È una Rivista: Cos’è un Periodico nel Web

Cos’è il sito di un periodico? E cosa diventa una rivista che abbandona la carta e passa al digitale? A quali condizione può ancora dirsi un magazine? Me lo chiedo il giorno dopo il lancio del nuovo e bel sito dell’Espresso.

LO SPUNTO Due frasi mi hanno colpito in questi giorni.

Il nuovo boss di Time Inc, alla guida del più grande impero editoriale di periodici negli Usa, ha detto: Time non è una rivista (sapete perché?*).

E il Ceo di un prestigioso magazine americano nato come prodotto digitale, Salon, ha ammesso: è stato un errore pensare di essere un magazine online.

LA DOMANDA Che spazio hanno i periodici nel digitale? Difficile dare una risposta dall’Italia, dove i periodici scontano un ritardo nel passaggio all’online.

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In Francia Aumentano i Lettori di Giornali

In Francia i giornali conservano il loro pubblico. Grazie a tablet e smartphone, che compensano il calo dei lettori della carta. A conferma che gli editori devono puntare su più canali. E alla difesa del brand

AUMENTANO I LETTORI Già, la Francia. Ma questa osservazione è stata fatta, su questo blog, a proposito del mercato americano e australiano. Si vendono meno copie dei giornali ma rimane stabile, o aumenta, il numero dei lettori. Insomma, il nome del giornale, il brand, rimane forte. Una buona premessa per il futuro. A differenza di quanto è avvenuto in Italia nei primi 6 mesi del 2013, quando abbiamo assistito a un forte calo delle copie e dei lettori (una tendenza che forse si sta invertendo).
Vediamo la notizia di questi giorni. E’ riportata da Le Monde. In un anno i lettori di giornali su mobile (tablet e smartphone, fondamentalmente) sono aumentati del 24% tra luglio 2012 e giugno 2013 (rispetto allo stesso periodo dell’anno prima). Lo dice Audipresse One (sondaggio su oltre 35 mila lettori). Di conseguenza i lettori dei giornali sono aumentati complessivamente dello 0,4%, sommando stampa e digitale.
MULTIREADING Il digitale ha tenuto stabile il lettorato. Anche se si assiste al fenomeno del multireading: il 54% di coloro che leggono su tablet, guardano anche i giornali di carta.
Si sottolinea la forza del mobile. Il numero di lettori su tavoletta è cresciuto in un anno di 2,5 volte. Circa 8,6 milioni di persone sono “attrezzate”: possiedono o si fanno prestare la tavoletta. Mentre i lettori su sito web sono cresciuti di appena il 3%.
DIFFUSIONI IN FRANCIA Bisogna però aggiungere che in Francia i periodici hanno perso in un anno solo lo 0,6% delle copie vendute. E dei lettori che pagano per leggere la copia in loro possesso (mentre i lettori di cui parlavamo sopra includono anche coloro che si fanno prestare il giornale o lo leggono gratis su internet).
lemonde
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Perché il Giornale Più Antico del Mondo Abbandona la Carta

Lloyd’d List, quotidiano marittimo con notizie sull’industria delle spedizioni, lascia la carta. Prosegue le pubblicazioni solo in versione digitale. E’ il giornale che da più tempo esce senza interruzioni: il primo numero è apparso a Londra nel 1734

PERCHÉ Lloyd’s List lascia la carta perché ha successo. Abbandona l’edizione tradizionale perché questa viene sfogliata da appena il 2% dei lettori. Gli altri utenti accedono alle informazioni quotidiane, aggiornate 24 ore su 24, attraverso internet e le piattaforme digitali.

DI COSA PARLA  Lloyd’s List, come potete leggere dal link diretto al comunicato del giornale alla fine di questo post, era nato come un bollettino affisso alle pareti di un coffe shop londinese. Contiene da sempre informazioni preziose per chi fa affari con la marina commerciale e nel mondo delle spedizioni. Le notizie del giornale possono condizionare decisioni importanti, contratti da siglare, Paesi verso cui indirizzare investimenti, praticabilità politica. Il giornalismo è nato così. Con la Borsa e Voltaire.

SUCCESSO DIGITALE Ma l’addio alla carta non è una battuta d’arresto. Da tempo la società sta investendo nel digitale. E questa pubblicazione di nicchia e specializzata, con oltre 16.000 abbonati in tutto il mondo, non si è sentita insidiata dalla copiosa offerta di informazione gratuita disponibile su internet.

In an online market littered with unreliable reports, unverified statements and unquestioned gossip, Lloyd’s List has committed itself to highest standards of journalistic integrity and accuracy.

In un mercato online inondato da notizie inaffidabili, affermazioni non verificate e gossip senza limiti, Lloyd’s List s’impegna a garantire i più alti standard d’integrità e accuratezza giornalistica.

lloyds list

 

L’ADDIO L’ultima copia del Lloyd’s List uscirà il 20 dicembre 2013, dopo quasi 289 anni di pubblicazioni senza interruzioni.

Telegraph: Lloyd’s List abbandona la carta.

Lloyd’s List: perché il giornale si affida solo al digitale.

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Cosa succederà ai periodici nei prossimi 5 anni (previsioni di PwC)

Rilettura approfondita del rapporto con le previsioni 2013-2017 sui media italiani. Faccio il punto sui periodici: spesa degli italiani, investimenti pubblicitari, cause del ridimensionamento, occasioni di sviluppo

LE RIVISTE RIMANGONO IMPORTANTI Ho capito questo, rileggendo il rapporto di PwC, società internazionale di consulenza. Che i periodici, quanto a capacità di farsi leggere dagli italiani e di raccogliere pubblicità, diventeranno un mondo ancora più piccolo di quanto non siano nel 2013. La spesa complessiva su questo media in Italia (copie in edicola, abbonamenti, annunci) passerà da circa 2 miliardi di euro a circa 1,5 miliardi nel 2017. Ma le riviste di carta, e le loro estensioni digitali, resteranno comunque una forma di intrattenimento e comunicazione rilevante per il giro d’affari complessivo, seppur ridimensionato rispetto al 2008. Inferiore a tv, gioco (lotterie e azzardo, anche online), quotidiani, libri, internet. Ma superiore a cinema, musica, radio.

PESERANNO MENO Il nostro paese è più di altri legato a questa formula giornalistica, come rivela il confronto con il resto dell’Europa (il settore media e intrattenimento italiano è il 9,2% del totale europeo; ma i periodici italiani sono il 9,7% del totale europeo). Le edicole sono piene di riviste. Ma, rispetto ad altre forme di intrattenimento, arretreranno di molto da qui al 2017. Più di tutte le altre (un calo del 5,8%, superiore a quello dei quotidiani. Gli altri settori, invece, cresceranno nei prossimi 5 anni, con eccezione di libri e musica: tv, internet, gioco, cinema etc etc).

Una delle ragioni, spiegano gli analisti di PwC, è il peso delle copie vendute in edicola: a causa della crisi, la gente ha speso meno e c’è stato il tracollo delle diffusioni. Gli abbonamenti, un canale poco rilevante in Italia, reggono invece meglio, perché la gente tende a rinnovare le sottoscrizioni. O comunque non prende decisioni di settimana in settimana, o di mese in mese, come per i prodotti in edicola. Lo si è visto negli Usa, dove le copie vendute in abbonamento sono 9 su 10, e difatti non si è registrato un crollo delle diffusioni. Ma nel nostro paese le tariffe postali, e la qualità del servizio di consegna a domicilio, scoraggiano gli editori dall’investire in questa direzione. Non è un investimento: è una perdita.

COME MIGLIORARE Come reagire? Il rapporto contiene solo due indicazioni. La prima sulle copie digitali delle riviste. Ha senso proporle anche se non compenseranno il calo in edicola. Consentono infatti di raggiungere lettori benestanti, che si possono permettere l’acquisto di tablet, dunque un pubblico appetibile come target pubblicitario. La seconda raccomandazione riguarda la creazione di community intorno ai siti e alle app e all’attività social delle riviste, il digitale. Solo così i periodici resteranno un media rilevante.

Ma queste sono solo previsioni. E sarebbe bello riprendere i rapporti di PwC degli anni passati e vedere di quanto si siano avvicinati alla realtà.

Rapporto PwC: i media tra 2013-2017.

Futuro dei Periodici

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A cosa serve l’accordo a sostegno dell’editoria

Chiunque lavori nei giornali sarà toccato: governo e protagonisti dell’editoria hanno raggiunto a inizio agosto un accordo per il sostegno al mondo dei media investiti dalla crisi strutturale. Per risolvere quali problemi?

Non è possibile dare un giudizio decisivo perché l’intesa è lontana dal passaggio parlamentare. Soprattutto, non è stata trovata la copertura finanziaria per una misura che prevede una disponibilità di 40 milioni di euro all’anno, per tre anni. 120 milioni.

COSA PREVEDE Risorse rilevanti? E rispetto a quali tra gli 11 obiettivi fissati nell’accordo? Sono previsti, tra l’altro, il sostegno alle start-up digitali, all’innovazione tecnologica, al ricambio generazionale e delle competenze nelle redazioni, la modernizzazione della rete di distribuzione (edicole), il finanziamento dei prepensionamenti e alla sicurezza sociale nei casi di crisi aziendale (prepariamoci: presto altri editori apriranno stati di crisi). E dunque, quale può essere l’efficacia dell’intesa in rapporto ai fini che essa si pone?

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Quali giornalisti assume e quali licenzia nel web un editore americano

Più notizie, aggiornate di minuto in minuto, commentate da firme conosciute dai lettori: i licenziamenti e le assunzioni di giornaliste nei siti di due importanti mensili di lifestyle americani, Comopolitan ed Elle (Hearst), offrono uno spunto per riflettere sulle logiche che devono guidare lo sviluppo digitale dei periodici.

HEARST CAMBIA I GIORNALISTI DEL WEB. La scorsa settimana l’editore Hearst Usa ha licenziato due giornaliste di primo piano dei siti Cosmopolitan ed Elle. Contemporaneamente ha annunciato l’arrivo di chi dovrà sostituirle (un’ex giornalista di BuzzFeed e il direttore editoriale di Fashionista.com).
Troy Young, presidente del digitale di Hearst, nominato solo tre mesi fa, ha in mente una ridefinizione dei contenuti e della linea dei due siti.

Le sue parole possono essere uno stimolo anche per i giornali italiani.

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La crisi delle riviste di attualità – Stati Uniti e Germania

Notizie sui newsmagazine, i settimanali d’attualità che si occupano di politica, cronaca e società, negli Stati Uniti e in Germania.

STATI UNITI. I dati di una ricerca del Pew Research Center registrano un pesante calo nella raccolta pubblicitaria dei newsmagazine americani nei primi sei mesi del 2013, confrontati con lo stesso periodo del 2012. Più in generale, il panorama sugli investimenti promozionali rimane preoccupante per tutte le pubblicazioni periodiche: -4,9%. Nel 2009 c’era stato una brusca riduzione nel numero di pagine pubblicitarie (l’indicatore più veritiero dello stato di salute dei giornali in rapporto alla pubblicità, più dei ricavi). Poi un lieve recupero. Il 2013 si sta rivelando, almeno nella prima parte, l’anno più difficile dopo il terribile 2009. Negli Usa il calo tra 2003 e 2012 è stato del 36%. Noi italiani ne sappiamo qualcosa. Quanto alla  raccolta pubblicitaria nelle riviste, il calo del 2013, nel nostro Paese, è tre volte più pesante del 2012.

Veniamo ai newsmagazine americani. La brutta notizia riguarda tutte le testate: Time -17%, The Week -23%, The Atlantic -10%, The New Yorker -9%, The Economist -24%. La media rivela una perdita del 18%. Due riflessioni attenuano l’amaro in bocca. Il digitale inizia a generare qualche utile. Alcune testate, The Atlantic e The Economist, stanno sviluppando nuove fonti di ricavo: conferenze, eventi, contenuti di nicchia. Non mancano i contenuti sponsorizzati.

GERMANIA. Un articolo di Italia Oggi descrive il momento di difficoltà delle tre principali riviste d’attualità tedesche: Focus, Stern, Spiegel. Hanno toccato, tutte, il punto più basso nelle vendite in edicola. Stern ha venduto 204 mila copie contro la media di 272 degli ultimi tre mesi (con gli abbonamenti, però, si arriva a 825 mila: in Italia ce lo sogniamo). Spiegel 237 mila contro la media di 291 nell’ultimo anno (con gli abbonamenti si superano le 900 mila).  Focus ha venduto di recente 64 mila copie, con un calo di 18 mila in una settimana (edicola e abbonamenti arrivano a 540 mila copie).

Anche i dati italiani di maggio, anno su anno, sollevano qualche perplessità.


Pew Research Center:
negli Usa forte calo nella pubblicità dei periodici.

Italia Oggi: crollano i periodici tedeschi.

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22 cose da tenere a mente se avete a cuore il giornalismo

Le trasformazioni del giornalismo nel passaggio al digitale, le idiosincrasie dei giornalisti in una fase di incertezza e paura, le sfide per gli editori, i rischi che tutto ci crolli addosso…

Di questo e di molto altro parlano 22 frasi raccolte dal giornalista David Bauer agli incontri del GEN News Summit 2013 che si è tenuto nei giorni scorsi a Parigi (segnalate su Facebook da Claudio Giua del Gruppo Espresso). Bauer è digital strategist del quotidiano online svizzero in lingua tedesca Tageswoche.

Riporto solo 9 delle 22 sentenze. Leggete le altre nel post in inglese di Bauer.

Conosci bene, e quanto, il tuo pubblico?

Poiché le technology company sono diventate media company, le media company devono diventare technology company.

Parliamo troppo degli strumenti e troppo poco del cambiamento culturale?

Il chi, cosa, quando, hanno perso valore. Il giornalismo deve occupare del perché, del come e del dopo.

Il contenuto oggi è come l’acqua. Lo trovi ovunque. Il valore risiede nel confezionamento.

Le molte nuove facce di quella unità un tempo conosciuta come: l’articolo.

Più gente paga per i contenuti giornalistici nel 2012 rispetto al 2013. Ma ancora troppo poca.

Il passato non garantisce il nostro futuro. Senza correre rischi, ciascun dollaro guadagnato si trasformerà in una perdita di 0,56 dollari entro cinque anni.

Lo smartphone è la tua redazione.

22 cose da tenere a mente se avete a cuore il giornalismo.

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Il futuro digitale dei newsmagazine (e delle notizie a pagamento) – Reuters Institute Digital News Report 2013

Lettura consigliata a chi segue lo sviluppo dell’informazione giornalistica nel digitale: il Rapporto Digital News 2013 del Reuters Institute. Cito solo una parte dello studio, quella in cui si fa riferimento al futuro dei periodici che si occupano di public affairs, i cosiddetti newsmagazine, tipo l’Espresso, per intenderci. E le considerazioni sulla propensione degli utenti a pagare per il consumo di notizie sulle nuove piattaforme, alternative alla carta stampata.

Il capitolo che a me interessa di più del corposo Digital News Report 2013 del Reuters Institute s’intitola: The Bottom Line: Do and will Consumers Pay for Digital News? Fatturati: quanto i consumatori sono o saranno disposti a pagare per le news digitali?

C’è questa frase, dell’autore del capitolo, Robert G. Picard, direttore della ricerca al Reuters Institute:

Public-affairs magazines are also finding it easier to get the public to pay than newspapers, especially on tablets, because digital payments for magazines are becoming the norm and they offer news analysis and commentary in ways general news sources do not.

I newsmagazine stanno trovando più facile dei quotidiani farsi pagare dai lettori, soprattutto sul tablet, perché il pagamento digitale sta diventando la norma per i periodici, i quali offrono analisi e commento delle notizie in modi che le fonti di general news non praticano.

Una considerazione che definirei controintuitiva, viste le cose deprimenti scritte a proposito di Newsweek, il newsmagazine che a dicembre 2012 ha lasciato le edicole e che nelle ultime settimane è stato messo in vendita dopo i risultati poco incoraggianti nella dimensione solo digitale. Ma previsioni poco promettenti incombono anche sulla strada di Time.

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La differenza tra edizione digitale, sito web e app nei giornali

Ho ancora le idee confuse sulla differenza tra sito web di un giornale, app per mobile ed edizione digitale dello stesso. Quali i vantaggi dell’uno o dell’altro per un editore, quando puntare su uno in particolare?

Posso dire che un breve articolo di Folio Mag mi ha aiutato a vederci più chiaro. Guardate anche voi.

Per dire, l’app (quel software del giornale che carichiamo sullo smartphone o il tablet e poi vediamo come un’icona) diventa conveniente, nonostante abbia un costo alto di creazione e manutenzione, perché presuppone un uso più frequente da parte del lettore. Solo i più fedeli la scaricano sul proprio smartphone o tablet. Ma garantiranno un maggiore coinvolgimento nell’esperienza di lettura, con più tempo passato sulle pagine del giornale e maggiore partecipazione alla condivisione dei contenuti e al commento.

L’edizione digitale è, anche negli Stati Uniti, una replica della testata di carta, ma non so se questo consolerà chi sogna prodotti arricchiti. Piace ai pubblicitari, che infatti sono disposti a pagare le inserzioni tanto quanto la pubblicità sull’edizione di carta (sappiamo che la carta spunta prezzi più alti, il sito molto meno, lo smartphone pochissimo). Insomma, sull’edizione digitale si può riproporre il modello di business della carta, e i lettori spendono circa 43 minuti per ogni sessione di lettura. Decisamente più di quanto avvenga sul sito e nelle app.

Interessante anche riflettere sull’equilibrio che l’editore deve trovare tra costi e benefici. Questo è un ragionamento maturo, non il volo della fantasia a immaginare edizioni per iPad che nessun lettore può ripagare.

Buona lettura!

Folio: differenza tra app, digital edition, sito web.

Folio

Folio

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Sempre più lettori per i periodici digitali – Una ricerca in Gran Bretagna

Una notiziola di qualche interesse, perché apre una prospettiva su cui riflettere.

Dunque, questa app per leggere i giornali su tablet, lekiosk, un’edicola virtuale, ha fatto una ricerca sulla lettura dei periodici e dei giornali sulle “tavolette”.

Pare che in Gran Bretagna la metà della popolazione abbia comprato e letto periodici digitali.

Dove si legge con il tablet? Nel 36% dei casi in salotto, nel 22% in camera da letto, nel 20% mentre si viaggia in bus o metro per andare al lavoro.

Il sondaggio, condotto su un campione di 2000 persone, ha inoltre rivelato che 1 inglese su 20, e 1 giovane su 10 tra i 18 e i 24 anni, legge più periodici digitali adesso di quanto facesse un anno fa.

La morale, riportata dal Guardian? Il futuro dei periodici è digitale. E lo strumento per la lettura sarà il tablet. Parola di lekiosk, parte in causa.

The Guardian: tablet e periodici.

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Magnifico racconto “multimediale” delle epiche sfide a hockey tra Canada e URSS

Per il Canada le Summit Series, una serie di partite a hockey giocate dal team nazionale contro l’Unione Sovietica nel 1972, sono l’equivalente per gli italiani del Mondiale di calcio del 1982 e del 2006.

Quelle epiche sfide, avvenute in un clima politico di tensione tra Est e Ovest, avvolte nel fascino di un’epoca ormai lontana, sono state raccontate dal disegnatore canadese Terry Mosher, in arte Aislin, autore di vignette e fumetti di un quotidiano di Montreal, la Gazette. Il suo lavoro, un mix di disegni e testo, è appena stato premiato con il National Magazine Award.

On Thin Ice

Il racconto ricostruisce non solo le vicende sportive, così emozionanti per qualsiasi canadese abbia più di 45 anni, ma rievoca anche l’esperienza giornalistica di Aislin, un giovane disegnatore appena assunto dalla Gazette che deve inventar bugie e far ricorso a vari sotterfugi per aggirare la sorveglianza del sistema poliziesco sovietico e fare il suo lavoro a Mosca.

Vi consiglio di gustarvi la storia, scritta in inglese, che riporto nel link qui sotto. Funziona l’integrazione tra vignette e parola scritta. Tra capacità d’incidere del disegno e potenza rievocativa (ma ironica) della parola. Un testo multimediale, sì; ma di digitale c’è solo la distribuzione nelle nostre case.

Terry Mosher, alias Aislin: On Thin Ice.

The Gazette: premiato Aislin.

The Gazette: altri lavori di Aislin.

Aislin

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Lo stato di salute dei periodici in Italia: copie vendute, ricavi, giornalisti occupati

Il rapporto «La stampa in Italia negli anni 2010-2012» diffuso ieri dalla Federazione italiana editori giornali (Fieg) scatta la fotografia del settore. I numeri sull’andamento economico dei giornali, gli indicatori riguardanti le performance delle società che li pubblicano e i dati sul numero di giornalisti che lavorano sono un punto fermo per qualsiasi riflessione si voglia sviluppare sul futuro dei giornali.

Mi concentro solo sui dati generali e quelli dei periodici.

Il 2012 ha visto per la prima volta un calo nel numero complessivo di lettori. In passato si registrava una riduzione delle copie vendute ma il numero degli italiani che leggeva quotidiani e periodici era stabile.

Lo scorso anno è stato il peggiore degli ultimi 20 nella raccolta di pubblicità sulla carta stampata. Si è infatti registrato un calo del 14,3%. Ma, come sappiamo, il 2013 sta andando ancora peggio, decisamente peggio.

La crescita del digitale nella pubblicità è stata del 5,3%, ma come in tutto il mondo questa performance non compensa affatto il calo verticale dei ricavi sulla carta, dunque gli editori sono in grande affanno.

Nel 2012 i settimanali hanno venduto 10.225.000 copie, in calo del 6,4%.

I mensili hanno venduto 9.515.000 copie, sotto dell’8,9% rispetto all’anno passato.

La raccolta pubblicitaria di questo settore è scesa del 18%: oggi la pubblicità sui periodici vale 571 milioni di euro.

Le copie vendute, invece, valgono 2.253 milioni di euro, e hanno visto un calo anno su anno del 7%.

Infine i giornalisti occupati.

Nel 2011 il calo complessivo, quotidiani e periodici insieme, è stato dell’1,4%. Nel 2012 del 4,2%.

I giornalisti che lavorano oggi nei periodici italiani sono 2.872, in calo dell’1,4% in un anno.

Ma questa slide dice tutto.

Giornalisti occupati in Italia

Prima Comunicazione: Rapporto Fieg sulla stampa italiana 2010-2012.

Primaonline

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Il futuro dei periodici fino al 2017 – Entertainment & Media Outlook di PwC

Una ricerca importante, l’Entertainment & Media Outlook di PricewaterhouseCoopers (PwC), descrive il futuro economico dei periodici americani da qui al 2017. Il calo dei ricavi da copie vendute, il calo della pubblicità, la crescita del digitale, non sufficiente. E qualche sorpresa.

La crisi continua. L’articolo di Adweek che sintetizza l’Outlook di PwC dice che non c’è alcuna ripresa dietro l’angolo per i periodici. Il mercato continuerà a scendere nei ricavi da copie vendute e nella raccolta pubblicitaria. Questa previsione vale per gli Stati Uniti, Paese che ha risposto meglio e più rapidamente dell’Italia alla crisi economica. Il declino dei periodici si conferma, dunque, strutturale. Non abbiamo ancora visto tutte le conseguenze. Viene confermata la “narrativa” corrente secondo cui i lettori e gli inserzionisti grandi e piccoli stanno migrando verso il digitale e verso altre modalità di accesso all’informazione.

Il mercato dei periodici consumer americani (le riviste come Time e Cosmopolitan) vale nel 2012 24 miliardi di dollari ma scende a 23 miliardi di dollari nel 2017. Dalla crisi del 2009 si è registrata una lieve ripresa, ma il mercato continuerà nel suo complesso a calare con l’abbandono della carta da parte di lettori e inserzionisti.

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Ripensando le riviste di attualità – Il declino di Newsweek

Le ipotesi di vendita di Newsweek, la testata americana che a fine 2012 ha chiuso l’edizione di carta. La parabola del giornale nei ricavi e nelle copie vendute. E le domande sul futuro di questa formula editoriale. Che ha bisogno di essere ripensata. In tutto il mondo.

Giorni fa un collega di un quotidiano mi parlava dei problemi dei periodici. Mi sono accorto che nella sua rappresentazione mentale i magazine coincidono con i settimanali di informazione politica. Insomma, aveva in mente l’Espresso. Ma i newsmagazine sono una componente assolutamente minoritaria delle riviste pubblicate in Italia e nel mondo. Non ci sono più l’Europeo, Epoca, e tanti altri titoli che hanno fatto la storia dell’informazione giornalistica.

Dico questo perché Newsweek, il newsmagazine per eccellenza insieme a Time, è tornato a navigare in cattivissime acque, dopo il passaggio traumatico dalla carta alla sola dimensione digitale, avvenuto lo scorso dicembre. Bisogna dare un giusto contorno a questa parabola giornalistica.

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Intervallo: 7 infografiche sui trend di Internet

7 infografiche. Riassumono le tendenze di Internet nel 2013. Fanno capire cosa sia il mondo digitale. Parlano di privacy, contenuti online, comportamenti. Su pc e smartphone.

Spudoratamente riprendo alcune chart sui trend di Internet pubblicate da The Atlantic, il newsmagazine mensile, messe a punto da Mary Meeker, general partner di Kpcb.

Mi hanno aiutato a capire, con un colpo d’occhio, cosa sia oggi il mondo digitale.

1) Il tempo speso sui media e la pubblicità raccolta su ciascuno.

Qui bisogna osservare che sulla carta stampata si spende relativamente poco tempo, il 6%, rispetto agli altri media. Ma la raccolta di pubblicità su questo mezzo è enormemente più elevata, il 23%. Riprendendo, in forma interrogativa, una frase del “boss” di WPP (colosso della pubblicità): la stampa è sopravvalutata come veicolo promozionale? Se così fosse, quali altri smottamenti avverranno nei prossimi anni a vantaggio di tv, Internet, mobile?

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La pubblicità sui giornali oggi la raccolgo così – Nuove strategie nei periodici

Il globale, il locale: la mossa di un grande editore americano sulla pubblicità getta luce su analoghe iniziative di editori italiani. Concentrazione del volume di fuoco nella pubblicità, mettendo insieme le diverse piattaforme e più testate.

Ho messo insieme due notizie lette questo mese. Una sui magazine di Hearst a livello globale, l’altra su Mondadori.
Far uscire la stessa pagina pubblicitaria su tutti i giornali di un editore, anche quelli pubblicati all’estero, per moltiplicare la capacità promozionale. E guadagnare di più. Un’impresa difficile per tutte le case editrici. La pubblicità, infatti, è nel maggior numero dei casi legata a mercati locali. Nazionali.
Ma Hearst, l’editore americano di Cosmopolitan e Marie Claire, ha aperto una nuova divisione, Totally Global Media, che si occupa di questo in chiave puramente digitale. Per la prima volta sarà possibile far uscire inserzioni e campagne promozionali nelle versioni online dei giornali in diversi Paesi. Hearst possiede infatti un network internazionale con succursali straniere a gestione diretta (anche in Italia) e pubblicazioni date in licenza a editori stranieri. La divisione che si occupa di Totally Global Media ha due sedi, a New York e Londra, e sa di poter raggiungere un bacino di 200 milioni di utenti unici.
Funzionerà così: l’inserzionista paga una sola fee, tariffa, che include produzione, traduzione e hosting sui siti web di riviste presenti a livello internazionale.
L’offerta parla ai marchi internazionali come Burberry.
When my plane arrived in Beijing last year, there was a full-sized Burberry poster that just said Burberry.com with a picture of a purse—no Chinese characters,” Gina Garrubbo, svp of Hearst Magazines International and now the svp of TGM, said. “They have the same look and feel everywhere in the world.”
Quando sono atterrata a Pechino lo scorso anno, c’era un cartellone di Burberry su cui c’era la foto di una borsetta e la scritta Burberry.com. Niente ideogrammi cinesi, ha detto Gina Garrubbo, alla guida di Totally Global Media.
Mi ricorda molto questa cosa che ho letto sul rilancio di alcune testate Mondadori avvenuto in questi giorni. Tre giornali femminili, in versione rivisitata, sono stati presentati agli investitori come un’unica piattaforma pubblicitaria, con target diversificati, che permette di portare inserzioni e campagne promozionali a 3,6 milioni di lettrici e 5,3 milioni di utenti unici dei siti. Una mossa di sostegno alla pubblicità (seppur circoscritta all’ambito nazionale) che, a quanto pare, fa parte delle strategie presenti nella mente dei maggiori editori.
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Se Playboy viene pubblicato a Gerusalemme, città santa per tre religioni

Prendi una rivista piccante, prova a pubblicarla in un Paese diverso dalle altre nazioni moderne e vedi quali reazioni suscita: è questa la sfida per Playboy, che da due mesi esce con un’edizione scritta in ebraico.

L’articolo che ne parla è sul sito dell’Atlantic, mensile americano (esce dieci volte all’anno) di politica e attualità, serissimo (il link è alla fine di questo post).

Si racconta di come Playboy, rivista presente in 30 Paesi, possa ancora costituire uno scandalo in una nazione come Israele, dove convivono a 70 chilometri di distanza Tel Aviv, centro laico aperto alla cultura occidentale, che non si nega vita notturna, nightclub e bellezze in bikini, e Gerusalemme, città santa per le tre grandi religioni monoteistiche (cristianesimo, islam, ebraismo), che contrappone al mondo secolarizzato gli abiti scuri e i cappelli neri della destra religiosa, impegnata in una battaglia contro molti aspetti della modernità.

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Idee da copiare nel nuovo sito di Newsweek /2

È stato lanciato questa settimana il nuovo sito di Newsweek. Ne ho parlato qui. Torno sull’argomento perché ci sono concetti da esplorare, laggiù. Come il rifiuto della logica delle breaking news, per il sito di un newsmagazine. E la rilevanza di immagini e strumenti di condivisione.

La passione per come vengono disegnati i giornali mi fa tornare sull’argomento: c’è molto da dire sul restyling del sito di Newsweek. L’obiettivo, dicono gli autori dell’operazione, è ricreare sul digitale l’esperienza del long form content, gli articoli lunghi, un compito svolto non bene, finora. Si sostiene che sfuggire alla logica delle breaking news è, per una pubblicazione settimanale, una raison d’etre.

“We felt there was still a place in the media landscape for taking a step back, reflecting, and framing the week…this idea that there’s been a set of editorial decisions about what the most important things are to focus on.”Here he’s talking about the irritating, pageview-grabbing tactics like splitting long articles up into a dozen smaller chunks, hiding visual content behind endless, slow-moving slideshows, and throwing any and all news against your screen in the hope that some of it will stick.

Abbiamo pensato che c’era ancora uno spazio, nel panorama dell’informazione, per fare un passo indietro, riflettere, e sezionare la settimana… l’idea che una serie di valutazioni editoriali giustifichino la scelta di quali siano gli avvenimenti su cui concentrare l’attenzione. Superando le irritanti strategie che portano, per fare più pageview, a spezzare gli articoli, mortificare l’immagine con noiose foto gallery, trucchetti per far girare le news.

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Ridisegnando Newsweek – Come deve essere il sito web di una rivista

Ho iniziato a leggere l’articolo di Nieman Lab intitolato Shetty talks Newsweek’s relaunch, user-first design, magaziness, and the business model, sul rilancio della rivista d’attualità statunitense Newsweek e la presentazione della versione beta del sito, pensando che la cosa interessante fosse capire come un newsmagazine, tipo l’Espresso e Panorama, possa riproporsi come sito web leggibile e di successo.

Mi sono trovato invece davanti a cose, spiegate da Baba Shetty, amministratore delegato di The Newsweek Daily Beast Company, che edita appunto Newsweek, che possono avere una validità per qualsiasi rivista voglia affermarsi nel mondo digitale.

Di cosa parlo. Shetty spiega come è stato ridisegnato il sito di Newsweek, il newsmagazine americano che dal 2013 esce solo in digitale, avendo dato l’addio alle edicole e all’edizione cartacea.

Nell’articolo si parla di tante cose, dall’accesso a pagamento al sito di Newsweek (che scatterà più avanti: correte dunque a vedere com’è newsweek.com, fino a quando è free) a come fare pubblicità in modo intelligente nel web.

Ma all’inizio di questa intervista pubblicata da Nieman Lab, fondazione per il giornalismo dell’università di Harvard, Shetty elenca quali caratteristiche di un magazine devono essere conservate nel sito web della rivista.

Ecco che salta fuori il concetto di magazineness, l’essenza del magazine. Cos’è un periodico? Cosa di un periodico deve essere conservato nel digitale, per riprorre al lettore la stessa esperienza di lettura della carta?

Il concetto di magazine viene decostruito.

Non c’è imitazione del giornale cartaceo, ma si conservano i concetti.

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Il giorno del trasloco – Editori che cambiano sede e… tenore di vita

Il palazzo del Miami Herald era diventato il simbolo del crepuscolo del giornalismo nell’era del digitale. Due giorni fa il quotidiano americano ha cambiato sede, mettendo fine a un’agonia raccontata anche sui media italiani. Ma la tendenza al trasloco non è solo americana. Come raccontano articoli di questi mesi.

Alla fine il Miami Herald, storico quotidiano della Florida, con mille dipendenti, ha traslocato. Ecco una foto della cerimonia d’addio, dopo la riunione di redazione delle 3 del pomeriggio, il 16 maggio.

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Il progressivo impoverimento del giornale è stato oggetto di articoli in tutto il mondo. La sede aveva una bellissima vista sul mare. Ma per tirar su qualche soldo un enorme cartellone pubblicitario era stato appeso alla facciata principale, oscurando le finestre di parte della redazione, proprio quelle che davano verso l’oceano. L’episodio è stato narrato in apertura di un importante rapporto del 2012 sulla transizione dei media, The Story so Far, della Columbia University. Non era sfuggito un diabolico dettaglio: la pubblicità che copriva il palazzo era di iPad di Apple, simbolo del digitale che avanza e manda in crisi i media tradizionali.

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Cosa cerca la gente nel digitale? Parla il direttore digital di Hearst

Cosa devono offrire il sito, le app, la versione digitale, la parte social di un giornale? Non mi faccio una domanda oziosa perché è domenica. Da quel che raccolgo tra colleghi di diverse case editrici di periodici, la questione è aperta. Come differenziare il digitale dall’offerta sulla carta? E, soprattutto, nel digitale c’è anche giornalismo?

Riporto un passaggio dell’intervista a Troy Young, nominato pochi giorni fa primo presidente del digitale in Hearst Magazines, negli Usa. Le domande sono della rivista Advertising Age. Il testo integrale è nel link a fine post.

Ad Age: Anche l’e-commerce farà parte delle cose da sviluppare?

Mr. Young: L’e-commerce è molto interessante. Il mercato dei media ci si è buttato per cercare una nuova fonte di ricavi. Ma è fondamentale capire che la relazione con il consumatore viene prima, perché l’e-commerce richiede fiducia… e penso che le media company stiano cercando di capire come risolvere il problema. Il mio modo di vedere è questo: a meno che tu non offra uno staordinaro valore aggiunto, i consumatori troveranno strade più comode per fare i loro acquisti. Devi avere un’inesauribile attenzione per quello che i consumatori vogliono.

Il Punto: per avere successo nel digitale c’è bisogno di contenuti forti. Altrimenti la gente va altrove, anche a fare e-commerce.

Adweek: parla il direttore digital di Hearst/2.
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Ahi ahi la pubblicità nei giornali – Confronto tra Italia, Stati Uniti e Uk

Avrete letto che la pubblicità sui giornali italiani continua ad andar male. Il fatturato pubblicitario del mezzo stampa registra un calo del -25,5%. I quotidiani segnano -25,6% a fatturato e -13,2% a spazio. I periodici registrano un calo a fatturato -24,7% e a spazio -20,6%.
I settimanali vedono un andamento negativo sia a fatturato -26,3% che a spazio -16,6%. I mensili hanno indici negativi sia a fatturato -23,5% che a spazio -25,9%. Tempo fa si diceva che la situazione rispetto a un anno fa è decisamente peggiorata.

Ma qual è la situazione all’estero?

Nei giorni scorsi Magna Global ha previsto che, negli Stati Uniti, il 2013 vedrà una crescita della pubblicità nei media dello 0.4%, mentre nel 2014 la crescita sarà del 5.9%. I media digitali saliranno dell’11.5% nel 2013 e del 12.0% nel 2014. I quotidiani caleranno del 6.8% quest’anno e del 7,7% nel 2014. I periodici scendono del 6,7% quest’anno e del 5,4% nel 2014.

E la Gran Bretagna? Guardate la tabella.

Due le possibili considerazioni. Primo: i periodici perdono pubblicità ovunque, dunque ricavi. Sono costretti a trovare un equilibrio più in basso. Secondo: la situazione italiana è resa drammatica dalla crisi economica e di sistema del nostro paese.

Prima Comunicazione: pubblicità sui giornali marzo 2013.

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Le video serie nel web: è il trend dei periodici nel 2013

Se il vostro editore lancia serie web sui siti delle vostre testate ricordatevi che non è l’unico, ma si sta muovendo sulla strada tracciata dai periodici negli Stati Uniti. O magari ci si muove in contemporanea con i giornali americani, perché ormai è chiaro che gli editori della carta stampata hanno deciso di puntare su questi prodotti per attrarre visitatori nei loro spazi web e inserzionisti. Spiega l’articolo del New York Times riportato in link alla fine di questo post: l’anno scorso il trend nei periodici era il lancio di una versione per iPad. Quest’anno sono i video.

Lo dimostra la presentazione fatta mercoledì 1 maggio a New York da Condé Nast, l’editore dei giornali patinati di fascia alta come GQ, Vogue e Glamour. Sono stati mostrati 30 clip dimostrativi come assaggio di 30 nuovi show (potete vedere i trailer  nell’articolo di Ad Age alla fine di questo post). Le serie web sono simili, come concetto, alle serie televisive, magari perché compaiono gli stessi attori, nelle stesse situazioni, con sketch ogni volta nuovi. O perché viene trattato sempre lo stesso argomento. Esempi. Condé Nast ha presentato la serie Angry Nerd per la rivista Wired, quella di tecnologia. Single Life è per i lettori di Glamour. Casualties of the Gridiron è un documentario di GQ molto serie che parla delle lesioni fisiche dei giocatori di football americano della NFL. Elevator Makeover fa vedere come può cambiare il look di una ragazza nel tempo di una corsa in ascensore. In questo blog ne avevo già parlato a inizio marzo raccontando il lancio di serie video in Glamour e GQ.

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Il sito sulla vita delle attrici porno lesbo – Nuove idee per lo storytelling digitale

I Love Your Work è un sito interattivo, realizzato da un artista, con video che raccontano le storie di nove donne di New York City coinvolte nell’industria del porno lesbo femminista. Marginalità, vita quotidiana, idee sulla politica, il sesso, i generi, depressione.

Ne parlo nel mio blog per due motivi: 1) il documentario mostra nuove strade del racconto video nel digitale; 2) viene adottata un’originale modalità di pagamento per i prodotti narrativi nel web.

Il regista di I Love Your Work, Jonathan Harris, creatore della piattaforma di storytelling Cowbird e autore del racconto fotografico sperimentale The Whale Hunt (la caccia alla balena tra gli eschimesi, date un’occhiata!), ha ripreso la vita di nove ragazze e ha raccolto il materiale in un sito multimediale. Lo spiega nell’intervista che trovate in link alla fine di questo post. La storia di ogni donna copre un’intera giornata, 24 ore, e viene raccontata con una successione di frammenti video di dieci secondi ciascuno, ripresi a distanza di cinque minuti l’uno dall’altro. Nel sito è possibile vedere sei ore di montato.

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Com’è la redazione giornalistica digitale (e il Feedback Loop)

Se siete giornalisti digitali, saltate questo post. Lo stesso se lavorate alla Stampa o al Sole24 Ore.

Lo schema che vedete qui sotto, infatti, per voi è vecchio.

Ma se siete dei comuni mortali, e il vostro tran tran si svolge in un qualsiasi periodico italiano, forse questo schema, tracciato prima del 2010 da Lewis DVorkin, mefistofelico e stimolante capo dei contenuti di Forbes, potrebbe farvi riflettere.

Come cambia il flusso del lavoro nelle redazioni, i processi, quali nuove figure devono affiancare i giornalisti, come viene valutato il nostro lavoro?

A tutte queste domande risponde Lewis DVorkin nell’articolo riportato in link.

Per ingrandire l’immagine basta cliccare sopra.

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È chiaro che il giornalista, oltre a scrivere in modo efficace e preciso, deve anche pagare grande attenzione alla scelta degli argomenti e all’interazione con il lettore. Per meglio centrare gli obiettivi di traffico nello staff giornalistico vengono inserite figure di specialisti di social media, analisti del traffico. A Forbes, anche figure del marketing.

E il giornalista, nel crescere come professionista, deve tenere conto del feed back di lettori e analisti. Ma, specifica DVorkin, la pioggia di dati, la visualizzazione dei risultati di traffico, aggiornati secondo per secondo, devono spingere a far meglio, non sono la legge del giornalista.

The data is to help inform their journalism, not rule it.

Forbes: come cambiano le redazioni dei giornali.

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Cos’è la qualità nel giornale, cos’è nel digitale – A lezione da Lewis DVorkin di Forbes.com

Continuo a subire la fasciazione professionale di quel Lewis DVorkin che è a capo dei contenuti di Forbes nel giornale di carta e nel digitale. Ripesco quindi alcuni concetti da un suo post.
Le sue parole possono anche non piacere. Nulla fa sprizzar scintille in redazione come parlare dei cambiamenti nel lavoro, nel mestiere, indotti dal web. Anche se sono stati pochi, finora. Ma le parole di DVorkin hanno il merito di far pensare, e questo per me vale più di mille cose. Di sicuro vale più di sentirsi dire quel che piace. Parole da cui traspare, oltre a una straordinaria vocazione per l’autopromozione, una altrettanto straordinaria capacità di lavoro.
Questa volta Mr DVorkin tiene una lezione su cosa sia la qualità. Fa una distinzione: da una parte c’è la qualità nel giornale di carta, dall’altra la qualità nel web. Qui si tratta della qualità attesa dal consumatore e pretesa dal capo.

«(…) we recognize that notions of “quality” for print and digital are somewhat different. In magazines, craftsmanship that produces a high level of “fit and finish” is critical. So is grammar, accuracy and sourcing, particularly given the finality of each issue. The reader expects the brand to provide a rewarding, self-contained and intimate experience that is highly professional and perfectly honed. In the ruckus of the online universe, quality is evolving. Right now, it’s more about timeliness; iterative and updated story-telling; relevance; aggregation; individual voice; and dialogue. Digital news consumers help create their own experience through Search, RSS feeds and increasingly the sharing and recommendation tools of social media. The “link” and commenting provide digital consumers with an easy discovery mechanism to check accuracy».

«… riconosciamo che la nozione di “qualità” per la carta stampata e per il digitale sono in qualche modo diverse. Nei magazine, la maestria che produce qualcosa di straordinariamente curato è determinante. Così sono la grammatica, l’accuratezza, la citazione delle fonti, in rapporto anche agli obiettivi di ciascun numero del giornale. Il lettore ha l’aspettativa di un brand che fornisca contenuti pienamente soddisfacenti, esaustivi, un’esperienza profonda che sia altamente professionale e perfettamente rifinita. Nella confusione dell’universo online, la qualità sta evolvendo. In questo momento, è legata soprattutto al tempismo, alla puntualità, alla frequenza, all’aggiornamento delle storie. Si richiede selezione di quel che è importante, aggregazione di contenuti, una voce distinguibile e individuale, il dialogo. I consumatori di notizie digitali contribuiscono alla creazione della loro esperienza di lettura attraverso la ricerca, i feed RSS e con lo sharing e le raccomandazioni sui social media. Il ricorso ai “link” e il commento di altri lettori permette all’utente di verificare  l’accuratezza di quanto è stato scritto».

Vi consiglio di leggere il lungo articolo da cui questo breve passaggio è tratto. Si dice che ci sono giornalisti che, per le loro particolari qualità e propensioni, è bene utilizzare sul giornale di carta (Forbes, grazie alla crescita del sito, ha aumentato le copie in edicola); altri invece sembrano nati apposta per l’attività nel digitale. Insomma, non ci sono vecchi e giovani ma modi diversi di fare questo mestiere che rimane il più bello del mondo (se non il più antico 🙂 ).

Il Punto: differenze tra vecchio e nuovo mestiere del giornalista.

Forbes: cos’è la qualità.

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14 incredibili copertine che raccontano l’America hip hop

Le copertine delle riviste raccontano il loro tempo più di tante parole. Quelle dei giornali per le nuove generazioni o le minoranze, come Vibe, bimestrale di cultura Hip Hop e R&B americana, spalancano il mondo dei segni. Idoli, look, sessualità, messaggi politici lanciati con il corpo. Sono come quei piccoli quadri con le figure dei santi appese alle pareti per l’adorazione del fedele perché indicano la Via: icone.

Creo una gallery di copertine di Vibe prendendo spunto da una notizia di questi giorni: la storica testata, lanciata nel 1993 dal geniale musicista e producer Quincy Jones, è stata venduta a un nuovo editore, SpinMedia (ex BuzzMedia). Paga il calo della pubblicità, che flagella i periodici di ogni parte del mondo, e la flessione dei lettori (Vibe ha una diffusione di 300 mila copie. Il sito ha 1,4 milioni di visitatori unici e 1,6 milioni di video visti al mese). La nuova proprietà preannuncia investimenti nel sito. Entro il 2013 Vibe cesserà le pubblicazioni cartacee per vivere solo nella dimensione digitale. Proprio come successo a SPIN, di propietà dello stesso nuovo editore.
Ma la monumentalità delle copertine è irriproducibile nel digitale.
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Bombardato dai fan del native advertising

Aiuto, oggi il mio blog è stato preso di mira dai sostenitori del native advertising. Hanno commentato post come questo. E come questo.
Riporto quel che scrivono sul loro blog, creato sulla piattaforma di WordPress. E alcune osservazioni che mi sgorgano dal cuore.

In altre parole la Native Advertising è una sorta di pubblicità integrata all’interno dei contenuti di un sito, in modo che non risulti interruttiva agli occhi del lettore.

La vera motivazione per cui oggi siamo qui a parlare di Native Advertising è  perchè la banner blindness è ormai dilagante, soprattutto tra le persone “giovani” che sono nate e cresciute con il web. La percentuale di click (CTR) sugli annunci pubblicitari sta drasticamente calando giorno per giorno.

Secondo dati di Google nel 2010 il CTR è sceso allo 0,09% (rispetto allo 0,10% del 2009), quindi significa che meno di una persona su 1.000 clicca su un annuncio pubblicitario.

E quindi i brand si sono ingegnati ed anziché promuoversi sempre nei classici spazi riservati all’advertising PPC tradizionale, lo fanno all’interno degli stream dei contenuti, dove inevitabilmente lo sguardo si deve posare.

Cari amici di “native advertising”, siete sul pezzo. Sulla mia pelle, scambiando alcuni post di siti americani per giornalismo, anziché coglierne la natura promozionale, ho provato cosa vuol dire la confusione tra pubblicità e informazione sul Web. E se ci casca uno che fa il giornalista da molto, molto tempo, temo possa cadere nell’equivoco anche un lettore. Al tempo stesso, sapete far leva su qualcosa di drammaticamente vero: nel digitale la pubblicità vale poco, gli editori guadagnano poco e per alimentare la produzione giornalistica ci sono risorse limitate. Un bel guaio.

M’interessa perché: 1) aiuta a riflettere sull’importanza di garantire l’autonomia del giornalismo anche nel Web; 2) pone in modo sensato il problema del finanziamento del giornalismo nell’era digitale.
Futuro dei Periodici

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L’arte dei social media: quando (e quanto) postare su Facebook e Twitter

A che ora conviene postare su Twitter per avere più retweet? Quando postare su Facebook per avere più click?

Guardate qui, questo articolo (link alla fine del post), per avere suggerimenti sull’uso dei social media, da Facebook a Twitter. E’ ripreso dal sito della The Association of Magazine Media (Mpa), l’associzione americana degli editori di periodici.

Ecco qualche esempio:

  • Momento migliore per postare su Twitter (per retweets): 5pm
  • Momento migliore per postare su Facebook (per condivisioni): 1pm
  • Numero ottimale di interventi su Twitter: 1-4 tweets all’ora
  • Numero ottimale di post su Facebook: 0.5 volte al giorno

Quando agire su Twitter

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http://www.magazine.org/industry-news/blogs/read/sticky-posts

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L’online è il futuro dei giornali, ma oggi la carta resta il nostro cuore

Il 90 per cento dei ricavi dell’editoria proviene dalla carta, nonostante la transizione al digitale sia in atto. Lo dice il presidente dellla Federazione italiana editori di giornali, Giulio Anselmi (un giornalista).

Questo è uno dei punti che mi sono diventati chiari scrivendo questo blog, mese dopo mese. All’inizio avevo le idee confuse e credevo fosse necessario investire a più non posso nel digitale. Ho sentito persone dire che è necessario trasferire il più rapidamente i nostri giornali di carta nella nuova dimensione.

Non è così. Lo dicono mille notizie, ricerche, segnali.

L’ultimo, per noi italiani, è stato il convegno «Carta e Web: l’integrazione tra scelte strategiche e tecnologie» che si è tenuto il 10 aprile in Senato, a Roma.

Leggete l’articolo, uno dei tanti, del Corriere delle Comunicazioni, riportato in link alla fine del post.

Riporto solo le frasi di Giulio Anselmi, presidente di Fieg.

La carta rappresenta sempre il 90% dei ricavi del settore editoria. L’editoria nel 2012 presenta dati in rosso per il quinto anno consecutivo nonostante l’integrazione in atto con il digitale, che dà segnali positivi. La filiera della carta occupa 213mila addetti, pari al 5% dell’occupazione nel settore manifatturiero, che diventano 740mila con i 527mila addetti dell’indotto. Serve un sostegno forte per un settore stragico per l’informazione e per l’economia del paese”.

Il Web “rappresenta il nostro naturale interlocutore come via d’uscita da questa situazione ma la carta resta il nostro punto di riferimento. Non lo dico da nostalgico e non nativo digitale, ma lo dico guardando i numeri. L’online è il futuro, ma oggi la carta resta il nostro cuore”.

M’interessa perché 1) stabilisce le priorità d’intervento e di spesa per gli editori: sostenere la carta, sviluppare poi il digitale; 2) evita che l’entusiasmo digitale faccia danni; 3) leva l’allarme sull’impatto sociale della crisi della stampa in Italia.

http://www.corrierecomunicazioni.it/it-world/20693_anselmi-fieg-editoria-il-90-dei-ricavi-dalla-carta-solo-il-10-dal-web.htm

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Giornalista, mettici la faccia!

Un articolo del Nieman Journalism Lab su una trasformazione del giornalismo e dei giornali indotta dai social media e dai mezzi digitali di comunicazione.

I giornali potrebbero trasformarsi, da raccoglitori di pezzi di firme più o meno note, in piattaforme per i talenti del giornalismo. Il digitale mina alle basi i brand e dà più valore all’individualità. E se tra dieci anni tutte le media company (case editrici giornalistiche) diventassero “social media”?

The end of big (media): When news orgs move from brands to platforms for talent

Con questo titolo (La fine dei big media: quando le organizzazioni giornalistiche migrano dal brand alle piattaforme di talenti) ritorna l’idea che i social media costringano la gente a metterci la faccia, anche nel giornalismo professionistico.

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Due risposte sul futuro dei periodici

Come sarà il futuro della carta stampata nell’età digitale? Come il digitale è stato d’aiuto a una rivista di successo, molto conosciuta, diventata un modello della transizione alla nuova epoca dei periodici?

Riprendo un’intervista a Lewis D’Vorkin, Chief product officer di Forbes Media, la casa editrice della rivista Forbes. Non è una persona qualsiasi. D’Vorkin è alla guida dello sviluppo digitale di una rivista che è diventata un modello di reazione alla crisi della carta stampata e di espansione sulle nuove piattaforme. Non solo. Forbes è un esempio della nuova organizzazione del lavoro nelle redazioni, come spiegato nel celebre saggio «Breaking News» del professore Clayton M. Christensen della Harvard Business School (ampiamente ripreso da Futuro dei Periodici).

L’intervista, divisa in due domande, ciascuna delle quali contenuta in un video caricato su YouTube, è stata realizzata da un personaggio di cui si è parlato in questo blog, il professore Samir Husni, che si è dato il nome di Mr. Magazine, direttore del Magazine Innovation Center della School of Journalism all’Università del Mississipi.

Prima domanda: come immagina il futuro della carta stampata nell’era digitale?
(How do you see the future of print in a digital age? Listen to Mr. D’Vorkin’s answer to this question in this Mr. Magazine™ minute).

D’Vorkin spiega che c’è un futuro per le riviste che sapranno costruire un pubblico motivato, realmente interessato al contenuto, grazie a un giornale che sa essere focalizzato, sa darsi una precisa identità, sa cosa vogliono i suoi lettori. Ci saranno invece tempi difficili per le riviste troppo generaliste, ampie, confuse, poco bene indirizzate sui bisogni e le richieste dei potenziali lettori.

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Si misura dalle copie il successo di un giornale?

Le copie vendute in edicola sono ancora il metro del successo di un giornale? Lo è la somma delle copie cartacee e di quelle digitali? Oppure popolarità, vitalità e capacità di attrazione di una testata vengono portate alla luce da un nuovo mix di elementi, di rilevatori?

Le copie vendute, naturalmente, sono indice di successo perché equivalgono a soldi sonanti. E i pubblicitari guardano a questo indicatore (e al tipo di pubblico che segue una testata) per decidere dove investire.

Ma tutti sanno che oggi un giornale non esiste più soltanto in un’unica dimensione. Oltre alla carta esiste una sfaccettata realtà digitale, fatta di siti web, edizioni per tablet, discussioni su Facebook, scambi su Twitter.

Basta, tutto qui. Riporto questa frase trovata in un sito americano che commenta l’andamento di un’importante casa editrice di periodici, Time Inc., uno spunto per me nuovo di riflessione e valutazione.

«The circulation number is a metric from yesterday. More important is the integration between other dimensions of consumption: content sharing, time spent on the site, the interaction rate. What users do next is arguably more important than exposure to the content itself».

«Le diffusioni sono un metro del passato. Più importante è l’integrazione con altre dimensioni della fruizione del giornale: la condivisione dei contenuti, il tempo speso sul sito web, il livello di interazione. Quel che i lettori fanno dopo aver letto un articolo è forse più importante dell’incontro con il contenuto».

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Chi comanda nei giornali, tra carta e digitale

Un articolo della Columbia Journalism Review fa chiarezza sulle tante sparate autopromozionali degli editori americani.

Tutti a dare risonanza alla straordinaria crescita nel digitale, soprattutto nella raccolta pubblicitaria.

Ma quanto pesa davvero il digitale nei bilanci degli editori? E chi conta di più, adesso e nella prospettiva del breve e medio termine?

La vera questione, dice il bolletino della Columbia University, è il valore assoluto dei ricavi. Ovunque nei giornali americani (e di tutto il mondo) i ricavi pubblicitari nel digitale stanno rapidamente salendo da un punto di partenza molto, molto basso. E negli Usa la raccolta complessiva ammonta nel 2012 a circa 3 miliardi di dollari. Vale a dire appena un quinto della raccolta pubblicitaria sulla carta stampata. E se un editore come Forbes, con un sito web studiato in tutto il mondo per le sue innovazioni nelle strategie e nell’organizzazione del lavoro, annuncia di fare metà dei ricavi pubblicitari con il digitale, questo è un buon segnale. Ma può essere una delle conseguenze del pauroso calo sulla carta stampata (tradotto: se calano i ricavi sulla carta stampata, crescono in valore percentuale quelli del digitale. Se ne era parlato qui). Non è un successo che fa dormire sonni tranquilli.

«But the real questions is, as always, compared to what? Digital ads everywhere in US magazines are rising from a low base, and, at about $3 billion nationally, are still a fifth that of print ad sales. That digital ads now account for half of total ads at Forbes can be good news but can also be a function of shrinking print ad sales».

Il Punto: dove fanno i soldi gli editori, tra carta e digitale.

Columbia: leggere i dati sul digitale
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I giornalisti digitali pagati a performance online

Giornalisti digitali pagati sulla base delle performance online.

Questo tema è nell’aria.

Su Digiday.com, media company newyorkese (contenuti, marketing, pubblicità, consulenze), vengono riportati esempi di prassi adottate da brand e siti web americani grandi e piccoli. Il più noto è Forbes. Nei casi citati la paga fissa del giornalista è solo una parte della retribuzione, cui si aggiungono bonus legati alle performance online.

Performance misurate in questo modo: quante volte l’articolo viene visto, quanti nuovi utenti si conquistano in una settimana, il numero di follower su Twitter…

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Tablet e digitale secondo Mario Garcia, designer star di giornali

Un video che ha due punti di interesse. Il primo: si parla dei contenuti giornalistici pensati per i tablet e di come questi apparecchi vengano utilizzati dai lettori (la sera, sul divano, per rilassarsi). Il secondo motivo d’interesse è che parla Mario Garcia, Ceo e fondatore di Garcia Media, società e studio professionale di grafica e ideazione di giornali e siti che ha collaborato con 500 editori di tutto il mondo, e ha riconcepito giornali conosciuti da tutti, come The Wall Street Journal, The Miami Herald, Die Zeit, e quotidiani locali, tra cui, in Italia, Il Secolo XIX. Insomma, il più importante designer di giornali al mondo.

Parla anche Sara Quinn di Poynter. Le interviste sono state realizzate la scorsa settimana a una conferenza di Poynter Institute  che si è tenuta ad Austin, in Texas.

Dice Garcia: «Il tablet viene usato nei momenti della giornata in cui ci si vuole rilassare. Consente una lettura in profondità, concentrata. Lo smartphone viene utilizzato per letture più veloci, nei momenti da riempire».

«Con i tablet cambierà il modo di raccontare storie e fatti. E il modo di fare pubblicità».

«Assisteremo alla creazione di mini-quotidiani e mini-periodici da leggere sugli smartphone».


Il Punto: come cambia il consumo di notizie e di giornali con il passaggio al digitale.

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