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Magazine: chi vende, chi compra nel 2018

Negli Stati Uniti l’editore Time Inc. ha venduto, oltre un anno fa, i periodici del gruppo. Parliamo di testate che riempiono le case degli americani e che hanno fatto la storia del giornalismo: Time, People, Fortune, Sports Illustrated.

A un anno di distanza, l’editore che ha comprato quei magazine, Meredith Co., proprietario della rivista Better Homes and Gardens e di tanti titoli che vendono milioni di copie, ha tenuto alcune delle testate comprate da Time Inc. e ha ceduto Time al magnate americano di internet Marc Benioff per 190 milioni di dollari e Fortune all’uomo d’affare thailandese Chatchaval Jiaravanon  per 150 milioni di dollari.

Contemporaneamente, in Francia, il gruppo Lagardère ha ceduto i suoi titoli. Così ha fatto anni fa l’editore tedesco Axel Springer.

Editori di magazine che vendono, editorio o magnati che comprano magazine.

Per capire che cosa stia accadendo bisogna quindi abbandonare l’idea che i magazine stiano solo vivendo una stagione di chiusure e dismissioni e iniziare a farsi domande sulle caratteristiche di chi vende e di chi acquista.

Eviteremmo di cadere in discorsi generici, qualunquistici, da bar, e potremmo capire meglio quale sia il nuovo panorama dei media, le sue logiche, il valore dei brand (Time? 190 milioni di dollari, e non zero dollari. Fortune? 150 milioni di dollari, e non zero cents) e le possibilità di sviluppo di nuovi contenuti, anche in chiave digitale.

 

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Cedute riviste di Rcs a Bernardini De Pace di Prs

Alfredo Bernardini de Pace l’avrebbe dunque spuntata nella maratona per l’acquisto di una parte delle testate messe in vendita da RCS Mediagroup. Non a Daniela Santanchè, parlamentare del Pdl e proprietaria della concessionaria di pubblicità Visibilia, ma al patron di Prs verranno ceduti, a leggere le prime notizie sul web, Novella 2000, Visto, Astra, Ok la Salute prima di tutto e le testate del polo dell’enigmistica. Non Max, Bravacasa, A – Anna, l’Europeo, Yacht&Sails, per cui c’è il rischio di chiusura se entro fine mese non troveranno una nuova casa.

Il panorama dell’editoria periodica italiana cambia rapidamente. Tra le mille preoccupazioni dei giornalisti, si riduce la quota di mercato nelle mani di un protagonista, quella Rizzoli che fa parte della nobiltà della stampa nazionale. Avanzano invece i “piccoli” (non più tali) e si ridisegnano i profili, si mescolano le carte, si spostano i pesi, tra riviste, quotidiani, canali televisivi, digitale, concessionarie di pubblicità.

Senza dimenticare gli stati di crisi, con giornalisti costretti a fare sacrifici in Rcs, Mondadori, Hearst, Gruner und Jahr, Condé Nast, Gruppo Class…

Lettera43: decisa cessione parte riviste di RCS a Bernardini De Pace.
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Così il primo editore europeo di quotidiani guadagna nel digitale – Axel Springer e la crisi della Bild

Errata corrige? Nei giorni scorsi ho fatto un post su Axel Springer, primo editore europeo ad aver trovato la strada per il successo nel digitale. Segnalavo che anche i giornali, nonostante il calo, restavano un business rilevante per la società tedesca (dall’estensione continentale). Oggi vorrei spiegare come Axel Springer fa i soldi sulle nuove piattaforme. Nel frattempo è uscita la notizia che la media company starebbe per aprire uno stato di crisi con molti esuberi tra i giornalisti. Mio errore? No, Axel Springer rimane il primo editore in Europa nei quotidiani. Ma vuole raddrizzare i conti.

Nessuna errata corrige ma un cambiamento di prospettiva: Axel Springer vuole mettere ordine tra le sue testate della carta e per questo avrebbe intenzione di tagliare tra i 170 e i 200 giornalisti del suo principale quotidiano, il tabloid Bild. Un intervento pesantissimo, che cade su attività che garantiscono anche a inizio 2013 margini di profitto elevati.

Axel Springer è anche l’editore che per primo è riuscito a guadare il fiume del digitale, tentando di sviluppare i nuovi media. E per la prima volta nel 2012 i ricavi del digitale hanno superato quelli della carta stampata. Tutti i dati sui conti, aggiornati al primo trimestre del 2013, sono nel post di alcuni giorni fa.

Come ci sono riusciti? Faccio una rapida sintesi.
Solo un terzo dei ricavi da digitale provengono da attività giornalistiche, come i siti web e i portali delle testate. La parte restante è generata da marketing e siti di annunci e shopping.

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I giornali hanno qualcosa da imparare dalla Apple?

Qualcosa da imparare da iTunes, l’applicazione lanciata dieci anni fa da Apple, ciambella di salvataggio dell’industria discografica presa d’assalto e saccheggiata da Napster e dalla pirateria online. Si era affermata l’idea che non ci fosse da pagare per scaricare dischi. Un atteggiamento simile a quello indotto nei lettori di giornali dalla informazione distribuita gratuitamente su internet.

«Il cielo stava cadendo a pezzi e iTunes fornì un luogo dove avremmo fatto soldi con la musica e, in teoria, fermato la marea della pirateria. Per quel momento, è stata la soluzione del problema» spiega un pezzo grosso dell’industria discografica al Denver Post, un articolo che riporto nel link alla fine di questo post.

Trovo delle somiglianze tra il passaggio al digitale della musica e i giornali.

Avrete letto…

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Alfredo Bernardini De Pace e Prs MediaGroup, che vuol comprare i periodici di Rcs

I giornalisti di RCS Mediagroup si sono già fatti un’idea su chi sia; agli altri può essere utile leggere un breve ritratto di Alfredo Bernardini De Pace, 63 anni, uno dei possibili acquirenti delle dieci riviste messe in vendita da Rizzoli. Sono giornali che tutti gli italiani conoscono, come: A – Anna, Brava Casa, Astra, Max, Ok Salute, l’Europeo, Visto, Novella2000, Yacht&Sail.

Alfredo Bernardini De Pace, fratello dell’avvocato celebre e molto mediatico Annamaria, guida Prs, concessionaria di pubblicità con 20 anni di storia che nel 2009 fatturava, a detta di chi la presiede, 60 milioni di euro “nettissimi”. Pare che l’imprenditore sia in pole position nella gara per aggiudicarsi i dieci giornali anche in virtù delle precedenti operazioni portate a termine con il Gruppo editoriale milanese. C’è familiarità.
Nel 2007, infatti, Bernardini De Pace ha acquistato la rete Cnr, con le varie emittenti radiofoniche collegate, mentre nel luglio 2009 ha comprato Agr, acronimo che significa: agenzia giornalistica RCS.

Vi consiglio di leggere il gustoso ritratto fatto, nell’articolo qui sotto, da Prima on line.

Il Punto: cambia la mappa degli editori di giornali, quel che è poco appetibile e remunerativo per i grandi gruppi editoriali può consentire a società di medie e piccole dimensioni di fare un salto in avanti. Comunque, di incassare una dote.

Primaonline: Bernardini De Pace, hombre con dos pares de cojones

Lettera43: Bernardini De Pace in corsa per Rcs

Primaonline: l’acquisto da Rcs Mediagroup di Agr nel 9/2009

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Pubblicità nei periodici, ridere per non piangere

Se un anno fa, nel pieno della crisi di copie vendute e pubblicità, ci avessero detto che a inizio 2013 i periodici avrebbero perso il 25% della pubblicità rispetto al magro inizio del 2012, ci saremmo messi le mani tra i capelli. Già allora, infatti, si perdeva il 13,7% a fatturato e il 12,4% a spazio..

Ma siamo così abituati a veder le cose andare sempre peggio, come una fila di pezzi del Domino che cadono, da non provare quasi più emozioni: i numeri hanno perso senso, come una parola ripetuta all’infinito.

Avrete letto i dati sulla raccolta pubblicitaria nella stampa a gennaio 2013, diffusi ieri dall’Osservatorio Stampa Fcp – Gennaio 2013 e ripresi da primaonline.

Il fatturato pubblicitario del mezzo stampa in generale registra un calo del -24,9%.

I quotidiani a pagamento registrano -24,0% a fatturato e -12,6% a spazio.
I periodici, nel loro complesso, segnano un calo a fatturato del -25,2% e a spazio -20,1%.
I settimanali registrano un andamento negativo sia  a fatturato -20,4% che a spazio -7,5%.
I mensili hanno indici negativi sia a fatturato -31,1% che a spazio -30,4%.

Il Punto: la crisi nella stampa sembra diventare se possibile ancor più pesante. Una volta di più è andata delusa l’aspettativa di una ripresa.

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Le 3 lezioni di Condé Nast Traveller

La testata di Condé Nast torna in edicola e diventa un trimestrale. La redazione paga un prezzo caro ma, forse, temporaneo, pur di non perdere il posto di lavoro. Una storia che ha tre insegnamenti.

1) Traveller, rivista di turismo, per cui nei mesi scorsi era stata decisa la chiusura, torna in edicola ma cambia periodicità: da mensile a trimestrale. E per una settimana al mese è in abbinata a Vanity Fair a prezzo ridotto. Premessa dell’operazione è stato un accordo con il sindacato per sfoltire la redazione. La prima lezione che si ricava è che gli editori accorti, prima di chiudere una testata, ci pensano mille volte. Lo so, Rcs Mediagroup ha appena annunciato la vendita di dieci testate (o, in subordine, la chiusura). Time Inc. sta pensando di cedere i suoi 21 periodici tranne Time, Sport Illustrated e Fortune. Ma rinunciare a un brand, un marchio su cui per anni si è investito, si è costruito, si sono sviluppate competenze, rimane un atto estremo, nonostante cinque anni di fila di risultati economici deludenti o catastrofici per i periodici.

2) A Traveller, si è stabilito che il giornale si farà con appena due giornalisti, dei sette presenti prima, di cui uno solo a tempo pieno e con lo stipendio ridotto del 40%. Gli altri cinque sono stati ricollocati nei giornali di Condé Nast, ma con formule che prevedono il part time o stipendio più basso (dopo accordo con il giornalista). In attesa che passi la crisi. La seconda lezione è che la trattativa sindacale può spingere l’editore a cambiare idea sulla chiusura del giornale.

3) Leggete l’articolo riportato in link per vedere come viene ripensata la formula editoriale della rivista e in che modo si vuole rafforzare l’interazione con chi compra il giornale (engagement) attraverso il digitale. Si parla di una cartolina da inviare ogni giorno ai lettori attraverso un’app. La terza lezione dice che va ripensata la formula editoriale, ridefinito i pubblico del giornale, e che il digitale non è solo un arricchimento ma una dimensione di rapporto senza la quale non è che il giornale non ha qualcosa di più ma ha qualcosa di meno. Le riviste devono essere attive nel mondo digitale. Là dove si trovano le persone. Carta e digitale insieme, dunque.

Il Punto: salvezza e sviluppo dei giornali, di questi tempi, sono facce della stessa medaglia.

Economia web: traveller non chiude

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«La crisi dell’editoria non esiste!»/1 – Diffusioni

Quando si dice che la crisi dei giornali non esiste, bisognerebbe andare a vedere i dati sulle diffusioni, per ricevere una doccia fredda. Prendiamo quelli dei periodici Usa venduti in abbonamento o in edicola. Allego una tabella con i dati dal 1970 al 2010, anno per anno. Siamo tornati alle copie del 1980: una débacle! La Mpa, Associazione dei magazine media, regisstra sia le copie in abbonamento sia quelle vendute in edicola. Nel 2010 erano 312 milioni 478 mila. Il vertice era stato toccato nel 2000 con 378 milioni 918 mila copie vendute. Un’altra epoca. Ma guardate con attenzione il dato sull’edicola. Nel 2010 si sono vendute 29 milioni 558 mila copie. Mai così bassa. Nel 1980 erano 90 milioni 895 mila.

M’interessa perché: 1) al netto della crisi economica, si coglie il cambiamento strutturale: la gente non compra periodici; 2) nel declino c’è un punto di svolta, dopo il quale il calo di vendite diventa crollo.

Il punto: 1) qualsiasi ragionamento su come affrontare la crisi deve partire dalla consapevolezza della realtà, per quanto dura.

La fonte: «The Association of Magazine Media (Mpa), established in 1919, represents 175 domestic magazine media companies with more than 900 titles, approximately 30 international companies and more than 100 associate members».

Dati diffusioni magazine Usa dal 1970 al 2011

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Giornalisti, crisi, esuberi, licenziamenti: un quadro completo

Questa volta non è necessario tradurre in italiano l’articolo: è un rapporto del sindacato dei giornalisti sulla crisi nell’editoria, e il taglio dei posti di lavoro, a tutto settembre 2012.

58 le aziende che hanno presentato un piano di stato di crisi, 1139 i giornalisti coinvolti tra prepensionamenti, pensionamenti anticipati, contratti di solidarietà e cassa integrazione. In Lombardia (l’articolo riguarda in particolare questa Regione) i giornalisti interessati sono 720.

Sono? No, erano. Perché da fine settembre a oggi si sono aggiunti altri stati di crisi, altri tagli.

Faccio riferimento al piano di crisi dell’editore di periodici Gruner und JahrMondadori, che, nelle dichiarazioni dell’azienda, vuole lasciare a casa 36 giornalisti, la metà dei dipendenti. Vedremo se le trattative porteranno a un numero più basso, numero di eseuberi che però rimane preoccupante perché non si vedono grandi possibilità di evitare il ricorso ad ammortizzatori sociali traumatici (cassa integrazione). Speriamo che non sia così.

Si sono poi aggiunti gli stati di crisi di Telelombardia (nel settore televisivo non sono previsti per legge i prepensionamenti) e l’agenzia giornalistica locale del Gruppo L’Espresso, Agl (crisi che però ha una dimensione nazionale, non regionale), dove sono stati individuati dall’azienda 9 esuberi.

M’interessa perché: 1) questa è la realtà, al di là di qualsiasi ragionamento su dove il mondo dell’editoria vuole andare; 2) tagliare per recuperare risorse e poi investire nel digitale, è questo il senso? 3) non converrebbe riqualificare i giornalisti già assunti? O, forse, gli editori dovrebbero porre in modo più trasparente il tema del costo del lavoro giornalistico in Italia? 4) si rischia un disastro sociale: i giornalisti che escono dalla professione non ci rientraranno più.

Il sindacato dei giornalisti: i numeri della crisi dell’editoria.

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Cattura il lettore giovane con i social media

Uno studio della Association of Magazine Media rivela cose interessanti su come la Generazione Y, i giovani nati dopo l’avvento di Internet, si avvicina ai giornali e in particolare ai periodici. Il primo aspetto riguarda il rapporto tra magazine e social media: i social media possono aumentare la diffusione e il consumo di contenuti dei periodici.

Quanto all’interesse per i giornali di carta, il 93 per cento dei giovani intervistati dice di aver sfogliato un periodico negli ultimi 60 giorni, il 37 per cento ha letto l’edizione digitale di un periodico. Il 40 per cento si definisce un lettore forte (“avid”) di magazine.

Ecco l’articolo di International Business Times.

I social media catturano giovani lettori per i mag

 

M’interessa perché: 1) smentisce il luogo comune secondo cui i giovani non leggono e, in particolare, non leggono carta: 2) fa vedere in che modo l’uso dei social media contribuisca in maniera rilevante ad avvicinare e legare i giovani ai magazine.

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