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Futuro o muerte: la svolta di Time Inc., primo editore di periodici Usa

Le riviste da venerdì sono state separate dal resto della società. E affrontano in solitudine – in Borsa – le incognite dell’era digitale. Gli editori di periodici del mondo stanno a guardare, nello specchio del loro destino

E’ un passaggio epocale per il mondo dei periodici. Come preannunciato da questo blog, anche riportando analisi di natura tecnica, Time Inc. si è separata dalle altre attività del gruppo.

Il grattacielo di Manhattan conserverà il nome, ma dentro ci si occuperà di cinema e tv. Che da tempo fanno il 95% dei soldi del gruppo.

I giornali, che sono all’origine di una storia iniziata 90 anni fa, saranno raccolti in una public company, che cerca capitali, azionisti e fortuna in Borsa.

I magazine (di Time) hanno un futuro?

Il primo punto, come spiega un superesperto Usa (Ken Doctor), è il debito. Su Time Inc. sono stati scaricati 1,3 miliardi di dollari di debiti. Tanti, per una società in crisi strutturale, con ricavi in calo, costretta a investire, comprare e trattenere i migliori talenti. In Borsa ieri il titolo ha perso. Per l’altro superesperto, Mathew Ingram di Gigaom, butta male.

Il secondo punto è l’offerta: 95 titoli sembrano troppi. I soldi non arrivano più da Time, Fortune, Sports Illustrated, Entertainment Weekly. Bensì da People, InStyle, Real Simple, Southern Living.

Terzo punto, la sfida digitale.

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La Pubblicità Sulla Copertina Di Time

Time mette la pubblicità in copertina: è la prima volta in  91 anni di storia. Succede alla vigilia dello scorporo dei periodici dalle altre attività di Time Warner. Non viene rispettata una linea guida condivisa da tutta l’industria sulla distinzione tra contenuti giornalistici e promozionali. Ma l’editore dice che questo è solo un piccolo cambiamento rispetto ai rivolgimenti nel mondo dell’informazione

La pubblicità di Verizon Wireless compare in basso a sinistra sulla copertina di Time e su un altro titolo della casa, Sports Illustrated, riferisce il sito della rivista Adage.

Il fatto che questo avvenga nella principale case editrice di periodici negli Usa spinge a pensare che presto altri seguiranno l’esempio. Un fatto che suscita preoccupazione e sconcerto. Time annuncia di voler ripetere l’operazione anche nella pagina del sommario, altro luogo finora considerato inviolabile nella distinzione tra giornalismo e pubblicità.

Time

Casi simili si son verificati raramente in passato. Qualche volta anche in Italia.

Spiega Time Inc.

We want to be entrepreneurial. We want to be creative. We want to do things that make sense for all of our stakeholders, including readers, viewers in digital space, advertisers and others.

Vogliamo essere imprenditoriali. Vogliamo fare cose che abbiano senso per gli azionisti, i lettori, gli utenti nel digitale, gli inserzionisti.

La pubblicità in copertina fa parte di un pacchetto, offerto solo ai maggiori inserzionisti di Time, che comprende anche una pagina di pubblicità dentro il giornale.

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Lo Spin-Off Dei Periodici di Time Inc

Va seguita la traiettoria del principale editore di periodici negli Usa. Time Inc pubblica 95 testate. E il 6 giugno questa divisione del Gruppo Time si separerà, farà uno spin-off dalle altre attività (tv e cinema). Per correre da sola in Borsa. Una manovra difensiva

Seguo da tempo la parabola di Time perché è uno specchio per capire quel che accade in Italia (mutatis mutandis). La preannunciata separazione è stata messa in calendario: la casa editrice di Time, con i suoi 95 giornali (23 negli Usa), si separerà il prossimo 6 giugno dalle altre attività del gigante dei media, Time Warner.

Un cambiamento epocale. Una rivoluzione che getta luce sulla nuova condizione della carta stampata periodica.

La scelta, secondo Usa Today, è stata fatta per evitare che il declino della carta stampata possa trascinare verso il basso il valore di una società che si occupa di entertainment, cinema, televisione. Attività, queste, che garantiscono margini di guadagno superiori e prospettive di crescita o tenuta. Mentre sul futuro dei periodici pendono mille incognite. E di sicuro c’è la sfida del passaggio a un mondo dei media in cui il digitale impone una ridefinizione del business.

In Time Inc si giustifica l’operazione dicendo che essa garantirà una maggiore flessibilità nel gestire la crisi e la capacità di focalizzarsi meglio sul business.

Ricapitolando le vicende della società.

In febbraio sono stati annunciati 500 licenziamenti nel settore dei periodici di Time.

Poco più di un anno fa è finito in un nulla di fatto il tentativo di vendere una parte delle riviste della casa a Meredith, editore di femminili e giornali di cucina e di servizio ora in grande evoluzione e di successo.

Time ha chiuso il primo trimestre con fatturato in crescita dell’1%, ma solo grazie all’acquisizione di alcune testate non presenti un anno fa nel portafoglio. La raccolta pubblicitaria è rimasta piatta.

Le perdite operative sono passate da 9 milioni di dollari a 120 milioni di dollari.

La società spiega in questo modo lo spin-off del 6 giugno:

We are exposed to risks associated with the current challenging conditions in the magazine publishing industry. We have experienced declines in our print advertising revenues due to both shifts by advertisers from print to digital and weak domestic and global economic conditions, which have also adversely affected our circulation revenues.

Siamo esposti ai rischi associati con la difficile congiuntura del mercato dei periodici. Abbiamo registrato un calo nei ricavi pubblicitari dei giornali dovuti sia al passaggio della pubblicità dalla carta al digitale sia alla crisi economica nazionale e globale, che ha intaccato i ricavi dalle diffusioni.

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Timeline: I 10 Anni Che Cambiarono I Giornali (Cronologia Multimediale)

Un racconto con testi, foto e video dei 10 anni di cambiamenti nei giornali degli Stati Uniti. Una timeline, una cronologia multimediale. Per ricevere chiavi di lettura sul presente di quotidiani, riviste, media digitali. Valide anche per l’Italia

Ho realizzato una timeline, una cronologia multimediale sugli ultimi 10 (14) anni di cambiamenti nei periodici e nei media americani. Date, foto, video per raccontare le chiusure di Life e Gourmet, il ritorno in edicola di Newsweek, la vendita di Washington Post al padre di Amazon e l’avventura giornalistica del fondatore di eBay. Con tante chiavi di lettura uscite in 20 mesi di Futuro dei Periodici.

Ecco la schermata della timeline. Ma per vederla in funzione dovete andare a questo linkI 10 anni che cambiarono i giornali (purtroppo il programma non può essere inserito in un post di WordPress). Date un’occhiata e sappiatemi dire. E’ una cavalcata tra 22 fatti, una storia dei giornali vista dal mondo dei periodici.

Timeline: I 10 anni che cambiarono i giornali.

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Il Nuovo Sito Di Time (E La Vista Panoramica Di New York City)

Il nuovo sito web di Time è stato lanciato tra mercoledì e giovedì.

È solo la prima parte di un processo che proseguirà nei mesi con miglioramenti e correzioni di tiro.

C’è quello che manca al nuovo sito del Corriere.it: una chiara gerarchia delle notizie.

Sulla sinistra della home ci sono le ultime notizie.

Nella parte centrale le storie principali.

A destra gli interventi dei columnist.

Time a gennaio 2014 vantava 23 milioni di utenti unici, dei quali la metà su mobile (+118% in un anno).

Il sito è concepito in modo tale da essere perfettamente leggibile e godibile su tablet e smartphone.

C’è spazio anche per il native advertising, la pubblicità nativa di cui tanto si parla, ultima interpretazione del pubbliredazionale.

Ma l’accento batte sui contenuti giornalistici.

Il lancio era prevista per lo scorso autunno, il ritardo è stato in parte attribuito al desiderio di presentare un prodotto altamente spettacolare. Obiettivo raggiunto: l’immagine panoramica interattiva di New York City, presa dai piani più alti del 1 World Trade Center, resterà negli annali.

New York City

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La Crisi di Identità di Time (e il Nuovo Sito del Giornale)

Come cambia Time nel digitale: breaking news, uscita di veterani, assunzione di giovani, riorganizzazione della redazione. Ma i critici dicono che il newsmagazine più prestigioso d’America sta sbagliando strada

Una testata resistente. A differenza di Newsweek e Us News & World Report, Time è ancora una voce ascoltata. Con 3 milioni di abbonati nel mondo. Evidentemente è utile qualcuno che sappia selezionare e approfondire le notizie della settimana. Ma le diffusioni sono in calo e la pubblicità è scesa del 4,7% nei 9 mesi del 2013. Non si sa se la testata sia ancora in attivo. Rispetto ai bei tempi andati, con internet la concorrenza è aumentata. Non c’è più il monopolio dell’informazione, sono cadute le alte barriere d’accesso al giornalismo,

Investimento nel digitale. Time si prepara a investire nel sito del giornale, considerato arretrato nel mondo dei periodici:  appena 13 milioni di utenti unici da desktop in ottobre; Huffington Post ne ha contati 61 milioni. Più foto di grandi dimensioni, video, storie.

Un direttore scafato. Un punto di forza è il nuovo direttore, nominato in settembre: Nancy Gibbs, giornalista di punta della testata, 100 storie di copertina alle spalle. Non schiava del narcisismo, ha grandi capacità manageriali e sa delegare ai capi delle sezioni, intervenendo solo con pochi cambiamenti e correzioni in fase di chiusura.

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Lo Stato e la Chiesa – I Cambiamenti di Time Inc.

Lo Stato è la pubblicità: profana. La Chiesa è il contenuto giornalistico: sacro. La loro separazione aveva figure di garanzia. Che sono state cancellate dal più grande editore di periodici Usa. Per pensare allo sviluppo digitale. Ai bilanci. Alla sopravvivenza

C’ERA UNA VOLTA Ti racconto una storia. Quella dello Stato e della Chiesa. Vivevano nella stessa casa, ma in stanze diverse. Una, la Chiesa, si preoccupava di fare bei giornali (erano giornali importanti, sai!). L’altro, lo Stato, doveva badare al sostentamento. Non potevano vivere l’una senza l’altro. Ma un bel giorno quella divisione è stata cancellata…

COME CAMBIA È saltata perché la Chiesa e lo Stato rispondono alla stessa persona. La scorsa settimana il più grande editore di periodici americano, Time Inc., ha annunciato un grande cambiamento nella struttura di comando. Una svolta epocale, per i veterani del mestiere. Finora i direttori delle riviste rispondevano a un direttore editoriale: un esperto di contenuti giornalistici. Era lui a discutere con chi si occupava del business: un confronto alla pari. Da oggi, invece, l’interlocutore dei singoli direttori di testata, a cui rendere conto dei risultati, è una figura di business (il presidente di divisione), che deve garantire il successo economico delle testate quanto a vendite e pubblicità raccolta. Tra i suoi poteri, la possibilità di licenziare i direttori. Una cosa simile era stata sperimentata da Condé Nast per la rivista Lucky. Ma è seguito un rapido dietrofront.
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I video nei siti web delle riviste

Time migliora l’offerta di video nei siti dei propri giornali. Si risponde a una richiesta degli utenti e della pubblicità. Ma anche in Italia c’è spazio per crescere. E fare ricavi.

UNA STRADA OBBLIGATA I video: non a tutti i magazine accadrà come a Penthouse, la rivista erotica che ha cessato le pubblicazioni in questi giorni, piegata dalla concorrenza del porno in streaming. C’è chi vuole svilupparsi nel digitale. Riporto allora la notizia relativa a Time Inc., la principale società di periodici negli Usa, che sta raffinando la strategia dei video nei propri siti di testata. Ci sarà una cabina di regia e maggiore coordinamento. Sono state fatte assunzioni, è stato aperto uno studio che consente il live streaming a New York. L’editore è già partito con la testata Sports Illustrated, proseguirà investendo in Entertainment Weekly, Real Simple, Time.
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Record di pubblicità sulle riviste fashion americane – Formule giornalistiche che funzionano

I giornali fashion americani fanno il pieno di pubblicità sui numeri che usciranno in settembre. Per le riviste di Hearst, Time Inc., Condé Nast la raccolta di pagine registra numeri da record, riportando ai tempi di prima della crisi. Una notizia che contrasta con le difficoltà dei newsmagazine.
 
Il meteo della carta stampata è fatto di improvvisi cambiamenti di umore. Solo la scorsa settimana si diceva che i newsmagazine americani, le riviste di attualità politica ed economica, registrano un preoccupante calo nelle pagine di pubblicità. Il più pesante dopo il 2009, annus horribilis dei giornali. Ma se passiamo alle riviste di moda e lifestyle il panorama è completamente diverso. Si passa dalla tempesta al sole splendente. La notizia è stata riportata da tutte le riviste che si occupano di editoria (per i dati, potete leggere gli articoli del sito di Adweek, riportati in link alla fine di questo post). Le riviste sono conosciute anche in Italia: Vogue, Elle, Marie Claire, Glamour, InStyle.
 
Quali conclusioni ricavarne? Che la crisi colpisce in modo differente le pubblicazioni, mettendo sotto pressione formule come i newsmagazine e dando invece una prospettiva di recupero per i giornali del lusso, di lifestyle, femminili? Lo abbiamo sentito dire spesso.
 
O siamo di fronte a dinamiche tutte statunitensi? Non sembra, anche se ogni Paese ha le sue caratteristiche (per cui la ripresa arriverà più rapidamente negli Usa che in Europa, con l’Italia fanalino di coda).

Adweek: Condé Nast fa il pieno di pubblicità per settembre 2013.

Adweek: Vogue fa il pieno di pubblicità per settembre.
Adweek

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La crisi delle riviste di attualità – Stati Uniti e Germania

Notizie sui newsmagazine, i settimanali d’attualità che si occupano di politica, cronaca e società, negli Stati Uniti e in Germania.

STATI UNITI. I dati di una ricerca del Pew Research Center registrano un pesante calo nella raccolta pubblicitaria dei newsmagazine americani nei primi sei mesi del 2013, confrontati con lo stesso periodo del 2012. Più in generale, il panorama sugli investimenti promozionali rimane preoccupante per tutte le pubblicazioni periodiche: -4,9%. Nel 2009 c’era stato una brusca riduzione nel numero di pagine pubblicitarie (l’indicatore più veritiero dello stato di salute dei giornali in rapporto alla pubblicità, più dei ricavi). Poi un lieve recupero. Il 2013 si sta rivelando, almeno nella prima parte, l’anno più difficile dopo il terribile 2009. Negli Usa il calo tra 2003 e 2012 è stato del 36%. Noi italiani ne sappiamo qualcosa. Quanto alla  raccolta pubblicitaria nelle riviste, il calo del 2013, nel nostro Paese, è tre volte più pesante del 2012.

Veniamo ai newsmagazine americani. La brutta notizia riguarda tutte le testate: Time -17%, The Week -23%, The Atlantic -10%, The New Yorker -9%, The Economist -24%. La media rivela una perdita del 18%. Due riflessioni attenuano l’amaro in bocca. Il digitale inizia a generare qualche utile. Alcune testate, The Atlantic e The Economist, stanno sviluppando nuove fonti di ricavo: conferenze, eventi, contenuti di nicchia. Non mancano i contenuti sponsorizzati.

GERMANIA. Un articolo di Italia Oggi descrive il momento di difficoltà delle tre principali riviste d’attualità tedesche: Focus, Stern, Spiegel. Hanno toccato, tutte, il punto più basso nelle vendite in edicola. Stern ha venduto 204 mila copie contro la media di 272 degli ultimi tre mesi (con gli abbonamenti, però, si arriva a 825 mila: in Italia ce lo sogniamo). Spiegel 237 mila contro la media di 291 nell’ultimo anno (con gli abbonamenti si superano le 900 mila).  Focus ha venduto di recente 64 mila copie, con un calo di 18 mila in una settimana (edicola e abbonamenti arrivano a 540 mila copie).

Anche i dati italiani di maggio, anno su anno, sollevano qualche perplessità.


Pew Research Center:
negli Usa forte calo nella pubblicità dei periodici.

Italia Oggi: crollano i periodici tedeschi.

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Ripensando le riviste di attualità – Il declino di Newsweek

Le ipotesi di vendita di Newsweek, la testata americana che a fine 2012 ha chiuso l’edizione di carta. La parabola del giornale nei ricavi e nelle copie vendute. E le domande sul futuro di questa formula editoriale. Che ha bisogno di essere ripensata. In tutto il mondo.

Giorni fa un collega di un quotidiano mi parlava dei problemi dei periodici. Mi sono accorto che nella sua rappresentazione mentale i magazine coincidono con i settimanali di informazione politica. Insomma, aveva in mente l’Espresso. Ma i newsmagazine sono una componente assolutamente minoritaria delle riviste pubblicate in Italia e nel mondo. Non ci sono più l’Europeo, Epoca, e tanti altri titoli che hanno fatto la storia dell’informazione giornalistica.

Dico questo perché Newsweek, il newsmagazine per eccellenza insieme a Time, è tornato a navigare in cattivissime acque, dopo il passaggio traumatico dalla carta alla sola dimensione digitale, avvenuto lo scorso dicembre. Bisogna dare un giusto contorno a questa parabola giornalistica.

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Ridisegnando Newsweek – Come deve essere il sito web di una rivista

Ho iniziato a leggere l’articolo di Nieman Lab intitolato Shetty talks Newsweek’s relaunch, user-first design, magaziness, and the business model, sul rilancio della rivista d’attualità statunitense Newsweek e la presentazione della versione beta del sito, pensando che la cosa interessante fosse capire come un newsmagazine, tipo l’Espresso e Panorama, possa riproporsi come sito web leggibile e di successo.

Mi sono trovato invece davanti a cose, spiegate da Baba Shetty, amministratore delegato di The Newsweek Daily Beast Company, che edita appunto Newsweek, che possono avere una validità per qualsiasi rivista voglia affermarsi nel mondo digitale.

Di cosa parlo. Shetty spiega come è stato ridisegnato il sito di Newsweek, il newsmagazine americano che dal 2013 esce solo in digitale, avendo dato l’addio alle edicole e all’edizione cartacea.

Nell’articolo si parla di tante cose, dall’accesso a pagamento al sito di Newsweek (che scatterà più avanti: correte dunque a vedere com’è newsweek.com, fino a quando è free) a come fare pubblicità in modo intelligente nel web.

Ma all’inizio di questa intervista pubblicata da Nieman Lab, fondazione per il giornalismo dell’università di Harvard, Shetty elenca quali caratteristiche di un magazine devono essere conservate nel sito web della rivista.

Ecco che salta fuori il concetto di magazineness, l’essenza del magazine. Cos’è un periodico? Cosa di un periodico deve essere conservato nel digitale, per riprorre al lettore la stessa esperienza di lettura della carta?

Il concetto di magazine viene decostruito.

Non c’è imitazione del giornale cartaceo, ma si conservano i concetti.

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«Good Corp, Crap Corp» – Parte buona e parte “cattiva” dei giornali

Un articolo dell’Economist riflette sul fenomeno delle media company, quelle con giornali, tv, cinema, che decidono di scorporare la carta stampata dalle altre attività. Isolandola, concentrandola, ipotizzando di venderla, tentando di rilanciarla.

Prima di dire cosa scrive l’Economist, vorrei riprendere un passaggio. Quello che riporta un pensiero fatto dagli analisti di Borsa quando si scorporano i giornali. Pensano che si formino due società:

(…) impending spin-offs of News Corp’s newspapers and Time Warner’s magazines have made journalists gloomy. The scribblers fret that they are being consigned to dead-end companies—a fear hardly soothed by analysts who refer in private to “Good Corp” (new media) and “Crap Corp” (print).

(…) gli spin-off dei quotidiani di News Corp’s e dei periodici di Time hanno depresso i giornalisti. Gli scribacchini temono di entrare in compagnie moribonde, per niente confortati in questo da analisti che, in privato, parlano di “Good Corp” (società buona: i New media digitali) e “Crap Corp” (società di cac..: la stampa).

Si tiene il cash, si butta il trash.

Ma l’articolo non è negativo. Anzi. Si racconta di come in altri ambiti la scissione dei business abbia fatto bene alle attività un tempo aggregate. Si racconta la storia di ITT, uno dei maggiori conglomerati al mondo, presente in aree diversissime, dal noleggio d’auto (Avis) alle banche (Wonder Bread) agli hotel (Sheraton). Di come la separazione abbia giovato a tutte le divisioni, con una maggiore valorizzazione del management, nuovi brand, più chiarezza nelle strategie. Anche la Borsa ha apprezzato, perché le attività sono più focalizzate.

Il Punto: come cambiano i grandi editori.

The Economist: l’arte dello spin-off.

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L’uomo che vuole tagliare la pubblicità sulla carta stampata

Sir Martin Sorrell è una persona piuttosto influente: capo esecutivo (Ceo, in gergo) di WPP, una delle tre maggiori società di pubblicità e pubbliche relazioni a livello mondiale, quando parla gli altri ascoltano con attenzione. E magari si adeguano.

Il Guardian riporta alcune affermazioni del capo di WPP fatte mercoledì 24 aprile a FT Digital Media Conference di Londra.

Sorrell dice che gli investitori pubblicitari dovrebbero prendere seriamente in considerazione l’idea di tagliare gli investimenti nella carta stampata. E ha accusato Google, Facebook e Twitter di essere degli editori, delle media company, mascherate da società di tecnologia.

Considerazione di Sorrell n.1. C’è una grande discrepanza tra le somme investite in quotidiani e periodici e il tempo che la gente spende su questi media. Troppi investimenti in rapporto al tempo.

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10 fantastiche copertine di riviste (e il futuro di quest’arte)

Ho scoperto un blog fantastico sul design di settimanali e mensili.

Perché c’è poco da fare: uno dei punti di forza dei periodici sono le copertine. Giocate sulla grafica, il colore, i caratteri, il formato, il tipo di carta, i materiali e altri elementi. Ogni volta che entro in un megastore di libri e vado nell’area dei giornali, provo ancora stupore ed entusiasmo per l’incredibile creatività di art director e case editrici. Per qualcuno si tratta di una bella tradizione destinata a scomparire. Come le copertine dei dischi in vinile. Per altri si tratta di una dote che permetterà almeno ai giornali di nicchia, quelli più raffinati e pensati per un pubblico di appassionati, di sopravvivere. Come i dischi in vinile.

Penso anche alle sette copertine dello stesso numero speciale di Time (quello del 18 aprile-6 maggio) con cui si celebrano quest’anno le 100 persone più influenti del pianeta.

Delle copertine più belle si occupa un sito che vi invito a visitare spesso, MarkLives.com, dove ogni settimana vengono mostrate e commentate le novità. Il blog è realizzato da un giornalista sudafricano che per il momento “preferisce non rivelare il suo nome”. Ha creato anche un sito dedicato all’analisi dei periodici del suo Paese, tutti i pregi e tutti i difetti.

MarkLives.com runs a regular slot featuring the best local and international magazine covers every week. We recognise well thought out, powerful and interesting (and hopefully all three in one) magazine covers and celebrate the mix of pragmatism, creativity and personal taste that created each of them. By media blogger MediaSlut.

Metropolitan

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Si misura dalle copie il successo di un giornale?

Le copie vendute in edicola sono ancora il metro del successo di un giornale? Lo è la somma delle copie cartacee e di quelle digitali? Oppure popolarità, vitalità e capacità di attrazione di una testata vengono portate alla luce da un nuovo mix di elementi, di rilevatori?

Le copie vendute, naturalmente, sono indice di successo perché equivalgono a soldi sonanti. E i pubblicitari guardano a questo indicatore (e al tipo di pubblico che segue una testata) per decidere dove investire.

Ma tutti sanno che oggi un giornale non esiste più soltanto in un’unica dimensione. Oltre alla carta esiste una sfaccettata realtà digitale, fatta di siti web, edizioni per tablet, discussioni su Facebook, scambi su Twitter.

Basta, tutto qui. Riporto questa frase trovata in un sito americano che commenta l’andamento di un’importante casa editrice di periodici, Time Inc., uno spunto per me nuovo di riflessione e valutazione.

«The circulation number is a metric from yesterday. More important is the integration between other dimensions of consumption: content sharing, time spent on the site, the interaction rate. What users do next is arguably more important than exposure to the content itself».

«Le diffusioni sono un metro del passato. Più importante è l’integrazione con altre dimensioni della fruizione del giornale: la condivisione dei contenuti, il tempo speso sul sito web, il livello di interazione. Quel che i lettori fanno dopo aver letto un articolo è forse più importante dell’incontro con il contenuto».

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Perché Time Warner si sgancia dai periodici (una storia anche italiana)

Perché Time Warner si separa dai giornali che sono all’origine della sua storia di successi? Me lo chiedevo mentre stavo scrivendo, ieri mattina, la prima versione di questo post. Mi sono fermato.

Perché dare una notizia che già altri 200 blog e siti d’informazione stavano mettendo in link, traducevano e in sostanza copiavano dai siti dei giornali americani? Perché lasciarsi scivolare nella pozza delle notizie diventate commodity, tutte uguali, in definitiva irrilevanti?

Anziché riportare un fatto che di lì a poche ore sarebbe stato noto a chi s’interessa di media, sarebbe stato molto più utile, innanzitutto a me stesso, trovare una chiave di lettura. Una fiammella per gettare un po’ di luce su quel che sta succedendo nel mondo dei periodici.

Penso che la spiegazione più coerente dell’intera vicenda, e interessante per noi italiani, sia quella di Daniel Gross, penna di Newsweek e The Daily Beast.

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Time e il più lungo articolo mai scritto: 36 pagine

Steven Brill ha stabilito un record per Time: il suo pezzo di copertina di 36 pagine intitolato «Bitter Pill», tour de force di giornalismo investigativo sul perché il conto per i ricoveri e le prestazioni mediche sia cosí alto negli Stati Uniti, è la più lunga storia mai pubblicata sul newsmagazines più prestigioso del mondo.

Potete leggerlo online, nella versione integrale.

Sui blog, anche italiani, fa spesso capolino il tema della lunghezza degli articoli di giornale. Segnalo, tra i più recenti, un post de Il Giornalaio, intitolato Avercelo lungo, che riprende una ricerca della Columbia University di New York sulle dimensioni dei pezzi nei principali quotidiani americani. In 10 anni il numero di storie più ampie di 2 mila parole si è ridotto dell’86%. Noi giornalisti sappiamo qual è stato l’impatto del digitale e della frammentazione dell’attenzione prodotta dai new media sul nostro lavoro. Senza contare che nelle riviste è avvenuta una rivoluzione grafica che ha dato maggiore spazio alle foto e alla parte visiva, come effetto combinato sulla carta stampata di tv e comunicazione online. E vista la natura del mio blog glisso sulla trasformazione dei quotidiani e il loro addio al piombo.

Time: l’articolo più lungo di sempre

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Licenziamenti a Time e People

Licenziamenti di giornalisti nei periodici americani, dove è arrivata una nuova ondata di ristrutturazioni. Ma ci sono dentro anche i quotidiani, con in prima fila il New York Times. Sono interventi che coincidono con la seconda stagione di piani di crisi in altri Paesi, tra cui l’Italia.
A Time Inc., dove da mesi si attendevano brutte notizie, i licenziamenti riguarderanno 480 dipendenti, pari al 6% degli assunti, sia a New York sia nella struttura internazionale (Adweek ricorda nell’articolo riportato alla fine di questo post che i dipendenti totali sono 8 mila), e i tagli si dovrebbero inserire in un quadro che prevede una evoluzione della società da un modello centrato sulla stampa a uno orientato in modo deciso verso il digitale.
«We continue to transform our company into one that is leaner, more nimble and more innately multiplatform» ha detto il Ceo Laura Lang.
Per ora sono stati anticipati tagli a People e Time. L’editor di People ha annunciato che sta cercando nove volontari che siano disposti a lasciare il giornale con una buonuscita. Si tratta di tre scriventi e di sei reporter. A Time invece è prevista l’uscita di un ricercatore, uno scrivente e tre copy editor. Se non dovesse farsi avanti nessuno, Time Inc. seguirà le procedure per il licenziamento concordate con il sindacato, la Guild dei giornalisti.
L’editore, che nel 2008 e 2009 aveva ridotto pesantemente il numero di giornalisti, ha di recente comunicato che nel terzo trimestre del 2012 i ricavi sono diminuiti del 6%, come risultato di una flessione del 6% negli abbonamenti e del 5% nella raccolta pubblicitaria.
Anche il New York Times, si è letto in questi giorni (Franco Abruzzo ricorda  che nel 2008 vi fu un esodo di circa 100 penne), vuole sfoltire la redazione di 30 giornalisti. Reuters invece lascia a casa 3 mila dipendenti su 50 mila. Meredith, di cui questo blog si è occupato di recente per almeno due volte, ha tagliato del 2 per cento la forza-lavoro.

Adweek: esuberi a Time Inc.

New York Times: licenziamenti a Time Inc.

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Migliori copertine dei periodici nel 2012

Advertising Age ha premiato le migliori copertine di periodici del 2012. Tra le più belle, quelle sulla rielezione di Barack Obama, l’uragano Sally, la scelta di Harper’s Bazaar di non mostrare il viso di una attrice famosissima.

 

Queste gallerie sono sempre belle da vedere a fine anno.

Chi lo dice: Ad Age is the leading global source of news, intelligence and conversation for marketing and media communities.

Adage.com: migliori copertine 2012

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Chiusure di testate: chi ha ucciso Newsweek?

Sulla chiusura del settimanale americano si confrontano due scuole di pensiero. Chi punta il dito contro la scelta editoriale di fare un “magazine di idee”. E chi dà la colpa a Internet e alle trasformazioni strutturali del mondo della comunicazione.

L’articolo di Owen Matthews su The Spectator (potete leggerlo andando al link in fondo a questa pagina) riapre il confronto sull’Whodunit, chi è l’assassino di Newsweek, il settimanale d’informazione nato 79 anni fa, che dall’1 gennaio 2013 esisterà solo come applicazione digitale (e sito appoggiato a The Daily Beast).

Si contrappongono la lettura di Matthews e quella dell’ultimo direttore di Newsweek, Tina Brown, cresciuta a Vanity Fair, a molti invisa per lo stile disinvolto con cui ha trattato il giornale dopo averne ricevuto la guida.

LINEA SBAGLIATA. In soldoni. Matthews, ex penna di Newsweek, crede che la responsabilità del crollo di Newsweek sia da attribuire alla linea editoriale delle ultime direzioni. Dal 2006 è prevalsa l’impostazione che ha relegato in secondo piano il deep reporting, la ricerca e scavo delle notizie, per dare via libera al “magazine of ideas“.

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La prima donna Direttore periodici di Time Inc e lo sviluppo digitale

La prima donna a capo di tutti i periodici di Time Inc., Martha Nelson, affiancherà l’amministratore delegato Laura Lang: «Credo nella forza della stampa ma dobbiamo muoverci verso una maggiore integrazione della carta con l’attività digitale».

Per la prima volta in 90 anni di storia una donna diventa “Direttore generale” (EIC: editor in chief) della maggiore casa editrice di periodici negli Stati Uniti.

Martha Nelson è stata direttore di InStyle, che ha lanciato 20 anni fa («il lancio aveva una tabella di marcia disumana, abbiamo dormito in redazione»), ora dovrà supervisionare tutte le testate di Time Inc., dal newsmagazine Time a People, Sports Illustrated, InStyle, Fortune, 17 in tutto.

L’amministratore delegato Laura Lang ha commentato: «Martha è una creativa e ci guiderà nel passaggio verso una strategia multi-piattaforma, grazie alla sua conoscenza del consumatore potremo condurre con successo la transizione».

Martha Nelson ha detto una serie di cose che riporto perché aiutano a capire cosa sta succedendo nel mondo dei periodici: in Italia c’è parsimonia nell’uso delle parole da parte di chi amministra le case editrici.

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Il Gruppo Time crea una redazione video per i periodici

Time Inc crea una redazione che realizza video per i periodici del gruppo. I filmati arricchiscono l’offerta informativa giornalistica e sono un richiamo per gli investitori pubblicitari.

Il Gruppo Time, che come sapete pubblica l’omonimo newsmagazine ma anche settimanali e mensili come People, Fortune, Real Simple, Wallpaper, InStyle, Sports Illustrated, Life, ha annunciato la creazione di una unità dedicata alla produzione di video digitali per i brand della casa. Fino a oggi lavoravano alla produzione di video circa 20 giornalisti. Il Ceo (amministratore delegato) di Time Inc., Laura Lang, ha spiegato la decisione dicendo che la pubblicità è particolarmente interessata ai video.

L’importanza dei video, posti al centro dell’offerta giornalistica nel digitale, è ampiamente trattata nel Global Digital Media Trendbook 2012 di Fipp (la federazione mondiale degli editori di periodici), citato in un precedente post sul crollo della pubblicità nei magazine. Alcune tabelle del Trendbook dimostrano come guardare video sia l’attività più comune su internet.

Attività su tablet.

Cosa si fa su internet.

Cosa si fa su internet.

 

 

 

 

 

 

 

 

M’interessa perché: 1) cresce la fame di video nei periodici; 2) saltano sempre più i confini tra quotidiani, periodici, tv; 3) è la pubblicità a chiedere una maggiore articolazione delle piattaforme e dei canali; 4) quando la connessione a internet sarà più veloce e meno ingolfata, anche in Italia ci sarà il boom del video (ora vanno soprattutto le fotogalleries, i video hanno problemi di caricamento e fanno poco traffico nei siti).

adweek: Time Inc crea redazione video digitali

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Time: direttore in uscita, licenziamenti in arrivo

Il potentissimo direttore periodici di Time Inc., John Huey, dovrebbe, stando a voci che trovano conferma nella società di periodici americana, lasciare a fine anno l’incarico.

La decisione cade nel momento in cui il principale rivale di Time, Newsweek, lascia l’edicola e sopravvive solo come  testata digitale (dal primo gennaio 2013). Ma anche Time Inc, principale editore statunitense di periodici, con 130 titoli in portafoglio, si trova in difficoltà: a conclusione dell’anno si prevede un risultato fortemente negativo nella raccolta pubblicitaria. I primi nove mesi del 2012 hanno segnato un -6,2% (un dramma negli Usa; nulla per l’Italia, dove quest’anno i cali dei ricavi pubblicitari sono a due cifre).

Tempi ancor più duri sono all’orizzonte e si teme un altro “giro” di licenziamenti, in numero rilevante, nei prossimi due mesi, sempre secondo una persona bene informata, sentita dal Wall Street Journal.

M’interessa perché: 1) anche negli Stati Uniti ci sono difficoltà; 2) anche negli Stati Uniti avviene un ricambio ai vertici.

Il punto: come saranno i periodici tra tre, cinque anni, dopo la crisi e con l’affermarsi del digitale.

wall street journal: in uscita direttore periodici di Time

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Sviluppo digitale? I periodici americani sono lenti

Ok, ok: il futuro dei periodici (settimanali, mensili) è legato allo sviluppo sulle piattaforme digitali. Questo ammettono ormai tutti gli editori. Ma quale sia il loro reale investimento e l’efficacia delle mosse su tablet, twitter, facebook, è ancora da verificare. Si dice che non c’è un chiaro modello di business digitale per i periodici. Ma già con quello che offre la tecnologia e con i nuovi comportamenti dei lettori si possono muovere passi importanti. A giudicare da questa ricerca, però, gli editori non hanno ancora capito la logica della comunicazione nel digitale e non si stanno impegnando a fondo. Leggete questo articolo pubblicato da Minonline che parla del lavoro di L2, Think Tank newyorkese che misura la “competenza” digitale di 80 brand mondiali dei periodici. Il secondo link permette di accedere alla classifica sulla competenza digitale di L2. Al primo posto Wired (sorpresa!), Time è al sesto, Elle al settimo posto in classifica.

 

L2: I magazine americani indietro nell’evoluzione digitale.

La classifica sulla competenza digitale dei principali magazine mondiali.

 

M’interessa perché: 1) al di là delle dichiarazioni di principio, gli editori investono poco e male sul digitale; 2) c’è una classifica divertente.

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