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«Vox Media, la Condé Nast del futuro»

Siti specializzati, con una voce distinta, capaci di attrarre milioni di utenti unici con i social: Vox Media si candida a diventare la nuova Condé Nast

Consiglio di guardare il video di Bloomberg con l’intervista al Ceo di Vox Media,la media company americana che crea media brand: Verge (tecnologie), SB Nation (sport), Vox (news spiegate in modo semplice), Polygon (videogame).

Video intervista a James Bankoff, Ceo di Vox Media

James Bankoff crede che gli editori digitali diventeranno i nuovi Time Inc, Condé Nast, Disney.

La strada seguita è quella dei verticali: non siti che siano dei portali, dei siti  generalisti, ma prodotti indirizzati a un pubblico ben definito, con temi specifici.

Contano di più gli argomenti trattati o il taglio con cui li si affronta? Per Bankoff conta di più la scelta dell’argomento, l’essere un “verticale” piuttosto che fare come BuzzFeed, che tratta di tutto ma con modalità originali (anche se Bankoff non vuole rinunciare ad avere una voce unica).

Il Ceo prevede una crescita di Vox Media soprattutto organica, cioè poco basata su acquisizioni di altre società e molto sulla crescita dei prodotti e siti pensati e lanciati in casa (Vox.com, per dire, ha pochi mesi di vita e conta già 7 milioni di utenti unici).

I video, al momento, sono una piccola parte dell’offerta. Ma cresceranno. Tra qualche tempo, Vox Media assomiglierà più a una cable tv che a una magazine company.

I social come Facebook servono ad ampliare il pubblico, a portar gente nei siti di Vox Media. Ma un sito è più autorevole se la gente va direttamente alla home page. E questo accade, dopo un primo incontro avvenuto grazie alla condivisione di post e i commenti sui social.

 

Futuro dei Periodici

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I 7 Vizi Capitali Dei Giornali Su Tablet

Come si trasferisce su tablet un giornale di successo? Discussione su copie replica, copie arricchite, interattività, multimedialità, vecchie star del cinema che cantano su iPad. E il vero problema che gli editori di periodici devono affrontare

La domanda è stata fatta da uno studente a Mario Garcia, designer di centinaia di giornali: come si “trasporta” un giornale sul tablet? E lui, geniale giornalista che quest’anno insegna alla Columbia University di New York, ha risposto tirando fuori la versione per iPad di Vanity Fair.
Finisce sotto la lente di ingrandimento un numero del giornale molto, molto riuscito: quello dedicato alla Notte degli Oscar.
La copertina, con tutti gli attori, è stata un fenomeno virale su Twitter. E la copia cartacea è un successo in edicola: oltre 400 pagine per un numero monstre che squaderna bellissime foto e raccoglie pubblicità da fare invidia a qualsiasi concorrente. Sfogli le pagine e respiri la grandezza della carta stampata.
Ma la “traduzione” per tablet delude Mario Garcia. Nonostante Condé Nast sia uno degli apripista nel digitale per la stampa periodica. Le critiche benevole di Garcia, quindi, non colpiscono un soggetto che si muove nella retroguardia, ma qualcuno che sicuramente merita il plauso di tutti. Qualcuno molto coraggioso e innovativo (su quest’aggettivo, vedi più sotto).
Garcia, però, sfoglia il giornale su iPad e il suo “dito curioso”, alla ricerca di interazione sullo schermo, di multimedialità, di pagine da aprire, rimane deluso: un “dito frustrato”.
Il designer individua setti vizi capitali. Valgono anche per i giornali di altri editori.
Ecco una sintesi, con il rinvio a leggere il post.
1) Il giornale di carta viene trasferito di peso sull’iPad.
2) L’unica differenza, rispetto all’edizione cartacea, è che nel digitale c’è la possibilità di condividere gli articoli su Facebook e in Rete. Non basta, per Mario Garcia.
3) e 4) Il dito del lettore viene sollecitato troppo poco. Solo una piccola parte delle immagini, per esempio, è cliccabile. Un prodotto statico.
5) Ci sono pochi video.
6) Ci sono molte occasioni mancate: avresti voluto toccare le foto di vecchie star di Hollywood, Marilyn Monroe per dire, e vederle prender vita, magari nelle scene dei loro film. Niente.
7) Anche la pubblicità è ferma all’immagine fissa.
La morale? Secondo Garcia i lettori vogliono ritrovare su tablet lo stesso prodotto uscito in edicola. I magazine sono godibilissimi su iPad. Al tempo stesso, però, la domanda di interattività e multimedialità deve venir soddisfatta in una qualche misura. Nessuno pretende effetti speciali, prove creative spesso sterili (vogliamo parlare del sopravvalutato Snow Fall?). Ma il dito merita soddisfazione.
«Keep the finger happy».
In altre parole, come dice il nuovo senior vice president del digital a Time Inc., il problema per gli editori, in questo momento, è trovare un giusto equilibrio tra “the need of scale with the necessity of innovation“: tra prodotti che fanno fatturato e lavoro sull’innovazione.
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3 Link Sulla Pubblicità Nativa Nei Periodici

Se ne fa un gran parlare. Ma la pubblicità nativa sta davvero prendendo piede nei giornali. Dopo il grande passo del New York Times, altre testate seguono l’esempio. Solo ieri si sono lette 3 notizie

Teen Vogue lancia un piano di pubblicità nativa su Instagram, dove è il brand leader negli Stati Uniti (tra i periodici) con 625.000 follower.

Bauer Media, che in Gran Bretagna pubblica decine di riviste tra cui Grazia e Closer, presenta The Debrief, rivista digitale multipiattaforma, destinata a giovani donne, che viene finanziata con native advertising in partnership con Bacardi ed H&M.

In Italia Condé Nast e Manzoni, concessionaria di pubblicità del Gruppo L’Espresso, mettono al mondo nelle prossime settimane Multi-Mag, il primo periodico multimediale e nativo digitale italiano che ospita pubblicità… nativa.

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7 Parole Chiave Sui Giornali da Portare nel 2014

7 frasi e parole sui media da portare nel 2014. Descrivono i cambiamenti che stanno rivoluzionando i giornali. Parlano del futuro dei periodici. Descrivono il nuovo modo di lavorare nelle redazioni, di rapportarsi ai lettori, di guadagnare con i brand, di creare e innovare. Con un pizzico di ottimismo

«La carta non è il giornale» Il giornale sopravvive e cresce anche se scompare l’edizione di carta.

«Time non è una rivista» Lo dice il Boss di Time Inc. Perché un giornale vive di copie vendute e pubblicità; ma, sempre di più, di altre voci, come gli eventi, le sponsorizzazioni, le scuole di business e di moda con lo stesso marchio, la pubblicità nativa…

«La community è il contenuto» Vale per Time e per l’Economist. A maggior ragione, la massima si applica alle riviste popolari. Lo scambio con i lettori ha la stessa importanza del normale lavoro giornalistico.

«Wired è digital first» Gennaio 2013, Wired annuncia negli Usa una rivoluzione nel modo di lavorare della redazione. A fine 2013 anche l’edizione italiana di Condé Nast adotta la filosofia del «digital first» con il direttore Massimo Russo. L’esempio di una rivista pionieristica, molto guardata dagli addetti ai lavori, che si presta per contenuto.

«Slow Media» La società svedese Bonnier utilizza in un rapporto sui cambiamenti dei media un’espressione che sta prendendo piede. È bella, anche se modaiola: slow media descrive il piacere della lettura di quotidiani e periodici. Resterà un valore nonostante l’avanzata dei fast food dell’informazione.

«Il Media Quartet» Il quartetto dei media: carta, sito, smartphone, tablet. Perché è il momento di dire basta alla retorica del passaggio al digitale. Il designer ed esperto di media americano Mario Garcia spiega che ogni giornale ha quattro dimensioni, quattro facce che dovranno convivere a lungo. La carta fa parte dello sporco quartetto.

«Newsweek è un prodotto da boutique» Mettiamola così: il giornale di carta diventa in molti casi qualcosa per cui il lettore deve essere disposto a spendere. Ma c’è una ragione per farlo volentieri: è un prodotto di lusso.

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La Carta Non È Il Giornale – La Svolta del New York Magazine

New York Magazine, settimanale dalle copertine belle e molto premiate, riduce il numero di uscite. Ma potenzia il digitale. E assume giornalisti

La rivista americana New York, storico concorrente del New Yorker (Condé Nast), cambierà periodicità: uscirà 29 volte all’anno (26 numeri più 3 speciali) anziché 42. In sostanza, da settimanale diventa quindicinale.
Bellissime le copertine. Come questa, di un anno fa, uscita dopo il passaggio dell’uragano Sandy sulla Grande Mela:
New York Cover Sandy
ANCHE IN ITALIA Del cambio di periodicità si parla spesso anche in Italia. Wired di recente ha annunciato che nel 2014 uscirà 10 volte. Copione simile per un’altra rivista di Condé Nast Italia, Traveller.
PUBBLICITÀ Sono misure dettate dal potenziamento dell’offerta digitale. E, spesso, dal calo della pubblicità sulla carta: New York Media, la società che edita la rivista, risparmierà 3,5 milioni di dollari tra stampa e distribuzione.
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5 Segnali di Vita Digitale dei Periodici Italiani

A TUTTO VIDEO Mondadori fa un accordo per portare i video dei propri siti, tra cui Panoramauto.tv, su quelli dell’area Mediaset. E i video di Mediaset, inclusi quelli on demand del palinsesto televisivo, saranno disponibili per i lettori di Panorama.it, Grazia.it, Donnamoderna.com. Verrà raggiunto dai contenuti e dalla pubblicità della casa editrice un bacino complessivo di 23 milioni di utenti unici mese (Mediset più Mondadori più Italiaonline).

WIRED NON È UNA RIVISTA Il direttore di Wired Italia (Condé Nast) ha annunciato di voler applicare la filosofia del Digital First. Riprendendo la frase di un famoso Ceo americano: «Time non è una rivista», Massimo Russo dice: «Wired non è una rivista». In attesa di vedere quanto il digitale valga in termini di ricavi per i periodici italiani, l’ordine delle cose comunicate sembra questo: 1) viene ripensata la linea editoriale del giornale, che riceve un taglio più coi piedi per terra, ottimistico e di servizio; 2) si risparmia sulla edizione cartacea, riducendo le uscite annuali a 10 numeri; 3) i redattori e collaboratori dovranno lavorare ogni giorno, e innanzitutto, per il sito. C’è un nuovo mondo da inventare.

ALLARGARE IL PUBBLICO Mondadori sarebbe in corsa contro Rds (Radio Dimensione Suono) per l’acquisto delle radio del Gruppo Finelco (per circa la metà di Rcs): Radio 105, Virgin Radio, Radio Montecarlo. Per l’editore è il tentativo di ampliare la vetrina su cui far uscire la pubblicità (carta, radio, digitale). Per ora la platea delle radio del gruppo è di 10 milioni di ascoltatori (al netto della possibile acquisizione delle radio di Finelco).

ARRICCHISCIMI Le riviste di Editoriale Domus passano alla digital edition: per Quattroruote, Domus, Dueruote, Ruoteclassiche, Tuttotrasporti sarà possibile scaricare l’edizione digitale da tablet, smartphone e computer. Ci si può abbonare solo al digitale, o a carta più digitale. Contenuti arricchiti con photo gallery e video.

GIORNALI GIRAMONDO Icon, allegato maschile di Panorama, esce da novembre in Spagna insieme al quotidiano El Pàis in 300 mila copie. Grazia viene pubblicato in Messico: è l’ennesima edizione internazionale del femminile. E si capisce: moda, design, stile di vita sono il petrolio italiano. La mossa viene notata da Fipp, l’associazione mondiale degli editori di periodici, che mette la notizia in home page. E dal designer Mario Garcia.

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Lo Stato e la Chiesa – I Cambiamenti di Time Inc.

Lo Stato è la pubblicità: profana. La Chiesa è il contenuto giornalistico: sacro. La loro separazione aveva figure di garanzia. Che sono state cancellate dal più grande editore di periodici Usa. Per pensare allo sviluppo digitale. Ai bilanci. Alla sopravvivenza

C’ERA UNA VOLTA Ti racconto una storia. Quella dello Stato e della Chiesa. Vivevano nella stessa casa, ma in stanze diverse. Una, la Chiesa, si preoccupava di fare bei giornali (erano giornali importanti, sai!). L’altro, lo Stato, doveva badare al sostentamento. Non potevano vivere l’una senza l’altro. Ma un bel giorno quella divisione è stata cancellata…

COME CAMBIA È saltata perché la Chiesa e lo Stato rispondono alla stessa persona. La scorsa settimana il più grande editore di periodici americano, Time Inc., ha annunciato un grande cambiamento nella struttura di comando. Una svolta epocale, per i veterani del mestiere. Finora i direttori delle riviste rispondevano a un direttore editoriale: un esperto di contenuti giornalistici. Era lui a discutere con chi si occupava del business: un confronto alla pari. Da oggi, invece, l’interlocutore dei singoli direttori di testata, a cui rendere conto dei risultati, è una figura di business (il presidente di divisione), che deve garantire il successo economico delle testate quanto a vendite e pubblicità raccolta. Tra i suoi poteri, la possibilità di licenziare i direttori. Una cosa simile era stata sperimentata da Condé Nast per la rivista Lucky. Ma è seguito un rapido dietrofront.
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I video nei siti web delle riviste

Time migliora l’offerta di video nei siti dei propri giornali. Si risponde a una richiesta degli utenti e della pubblicità. Ma anche in Italia c’è spazio per crescere. E fare ricavi.

UNA STRADA OBBLIGATA I video: non a tutti i magazine accadrà come a Penthouse, la rivista erotica che ha cessato le pubblicazioni in questi giorni, piegata dalla concorrenza del porno in streaming. C’è chi vuole svilupparsi nel digitale. Riporto allora la notizia relativa a Time Inc., la principale società di periodici negli Usa, che sta raffinando la strategia dei video nei propri siti di testata. Ci sarà una cabina di regia e maggiore coordinamento. Sono state fatte assunzioni, è stato aperto uno studio che consente il live streaming a New York. L’editore è già partito con la testata Sports Illustrated, proseguirà investendo in Entertainment Weekly, Real Simple, Time.
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I conti degli editori di periodici – Fotografia di un mondo che cambia. Rapidamente

Le relazioni Semestrali dei grandi editori italiani di periodici fanno vedere come sia sempre piu’ difficile parlare di periodici, tenendoli separati dai quotidiani, tv e da Internet. Anziche’ indicare queste tipologie di pubblicazioni, potremo, tra non molto, usare una sola parola: media.

La Relazione al 30 giugno 2013 di Rcs Mediagroup riporta per ultima, tra le aree di attivita’, quella dei periodici. Il cui valore e’ sceso sotto i 70 milioni di euro come conseguenza delle cessioni di testate e le chiusure di dieci riviste (tra cui A – Anna, testata nata negli anni Trenta). Al centro dell’attenzione ci sono i due brand forti della societa’, Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport, intono ai quali, si presume, ruoteranno le poche riviste rimaste in Rcs. E’ un passaggio storico per i periodici italiani, questa Semestrale. Un protagonista quasi sparisce dalla scena. Ma, vedete, si puo’ parlare di uscita? Oppure e’ un entrare per primi nella nuova dimensione, quella in cui si parla di media, sic et simpliciter?

Diverso il discorso su Mondadori, che anche dalla Relazione al 30 giugno 2013 mostra di avere consolidato la posizione di leader nei periodici. Nonostante la chiusura di quattro riviste a giugno. Qui il nucleo dell’attivita’ e’ sempre piu’ rivolto a un pubblico femminile.

E poi ci sono gli altri editori, nell’ordine dato dalle copie diffuse, di cui si e’ parlato tempo fa su questo blog (mancano altri importanti gruppi, come Editoriale Domus, Quadratum, … Prs di Bernardini De Pace).

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Record di pubblicità sulle riviste fashion americane – Formule giornalistiche che funzionano

I giornali fashion americani fanno il pieno di pubblicità sui numeri che usciranno in settembre. Per le riviste di Hearst, Time Inc., Condé Nast la raccolta di pagine registra numeri da record, riportando ai tempi di prima della crisi. Una notizia che contrasta con le difficoltà dei newsmagazine.
 
Il meteo della carta stampata è fatto di improvvisi cambiamenti di umore. Solo la scorsa settimana si diceva che i newsmagazine americani, le riviste di attualità politica ed economica, registrano un preoccupante calo nelle pagine di pubblicità. Il più pesante dopo il 2009, annus horribilis dei giornali. Ma se passiamo alle riviste di moda e lifestyle il panorama è completamente diverso. Si passa dalla tempesta al sole splendente. La notizia è stata riportata da tutte le riviste che si occupano di editoria (per i dati, potete leggere gli articoli del sito di Adweek, riportati in link alla fine di questo post). Le riviste sono conosciute anche in Italia: Vogue, Elle, Marie Claire, Glamour, InStyle.
 
Quali conclusioni ricavarne? Che la crisi colpisce in modo differente le pubblicazioni, mettendo sotto pressione formule come i newsmagazine e dando invece una prospettiva di recupero per i giornali del lusso, di lifestyle, femminili? Lo abbiamo sentito dire spesso.
 
O siamo di fronte a dinamiche tutte statunitensi? Non sembra, anche se ogni Paese ha le sue caratteristiche (per cui la ripresa arriverà più rapidamente negli Usa che in Europa, con l’Italia fanalino di coda).

Adweek: Condé Nast fa il pieno di pubblicità per settembre 2013.

Adweek: Vogue fa il pieno di pubblicità per settembre.
Adweek

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Anche Condé Nast fa i conti con la crisi dei giornali

Per quanto abbia imparato che è meglio tacere quando si parla di editori che chiedono stati di crisi, perché fino all’ultimo non si sa che piega prenderanno gli eventi, non posso non riportare che, leggendo su Italia Oggi e qualche sito web, anche la prestigiosa Condé Nast Italia sta affrontando un momento difficile.

Se nei mesi scorsi si diceva che questo editore non avrebbe mai chiesto uno stato di crisi, per non danneggiare la propria immagine patinata, pare che invece adesso ci si prepari a trattare con i giornalisti per arrivare alla applicazione di un contratto di solidarietà.

Probabilmente non serve spiegare di cosa si tratta, visto che mezza Italia lo applica e l’altra parte è in cassa integrazione. In sostanza, ai dipendenti si chiede di lavorare meno ore al mese e anche la retribuzione viene ridotta (ma poi in parte colmata da fondi pubblici). Ma questa ipotesi sarà presa in considerazione dall’azienda, a leggere Italia Oggi, solo dopo aver valutato i risultati di una politica di incentivazione (tre anni di stipendio per chi se ne va volontariamente).

Tempi duri, dunque, anche per Vogue, Glamour, Vanity Fair, Myself. Ma si attendono interventi del Governo italiano per ridare ossigeno a tutto il settore dell’editoria, più che mai sotto pressione.

Italia Oggi: Condé Nast pensa alla solidarietà.

Pambianconews: anche Condé Nast in crisi.

Vanity

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Apriresti un sito di e-commerce del tuo giornale? – L’editore di Men’s Health lancia il negozio online

Rodale, l’editore di Men’s Health, si lancia nell’e-commerce con un sito web di prodotti naturali e molto fashion che portano il marchio della società. Per la prima volta i giornali non fanno da tramite tra venditori e lettori ma propongono una propria selezione, garantita dal brand. Il giornale apre il proprio negozio.

Ci sono l’asciugamano di microfibra per lo yoga, intessuto di strisce di cocco di riciclo, e un paio di jeans fatti con cotone non trattato chimicamente. Tazze di porcellana per noodle realizzate a mano con materiale “sostenibile” e articoli per il fitness, la bellezza, la piscina.

Rodale ha scelto 500 articoli che ritiene coerenti con la propria filosofia improntata al benessere, la salute, la forma fisica, incarnati dalle testate Men’s Health, Women’s Health, Prevention.

 

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L’editore tedesco che ha scoperto come superare la crisi – Primo trimestre 2013 di Axel Springer

Vorrei non fosse un post per esperti. Si snocciolano numeri ma la sostanza regala, a chi sa capire, un pizzico di emozione. Emozione per chi lavora nella carta stampata e teme di essere finito in un vicolo cieco. Invece c’è un editore tedesco di quotidiani e periodici, Axel Springer, che ha trovato la strada per cambiare, trasformarsi, adattarsi al mondo digitale. E crescere, prosperare, aprire il futuro. Forse anche a carta stampata e magazine.

Axel Springer ha presentato i conti dei primi tre mesi del 2013. Chiariamo subito che si tratta di una società più grande, per volume d’affari, di Mondadori, Rcs Mediagroup, Hearst Italia, Condé Nast Italia, Cairo Communication.

Parliamo di un editore internazionale che pubblica in tutta Europa, dalla Germania alla Repubblica Ceca, dalla Francia alla Polonia. Un gigante per dimensioni e attività. Presente da tempo nel digitale con i siti dei propri giornali, radio, tv, con applicazioni, con portali che nulla hanno a che fare con il giornalismo: siti di annunci di lavoro, case, articoli per la caccia e la pesca.

La tendenza che viene fuori in Axel è la crescita strepitosa del digitale, che ormai è la prima area aziendale per fatturati e guadagni. Ma la carta stampata non è in rosso, e anche se continua a veder decrescere i fatturati e le copie vendute, rimane ampiamente remunerativa: guadagna un sacco di soldi. C’è dunque un aggiustamento strutturale, un ridimensionamento, che però non è il cancellamento, la scomparsa. E il digitale non è un mondo alieno rispetto al giornalismo.

Ecco la parte tecnica.

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Il college di moda e design di Vogue – Nuove fonti di ricavo per i periodici

Condé Nast, la casa editrice americana di riviste patinate, ha aperto una scuola di moda a Londra. L’iscrizione ai corsi è costosissima. L’idea rientra in quella serie di attività che gli editori di giornali provano ad avviare per cercare nuove voci di guadagno. Le vendite dei periodici e la raccolta di pubblicità, infatti, stanno calando ovunque, dall’Italia agli Stati Uniti.

Il Condé Nast College of Fashion & Design, di cui parla il New York Magazine (guardate il link a fine post: c’è l’intervista al direttore della scuola), è stato aperto due settimane fa a Londra. Due i corsi attivi: il Vogue Fashion Certificate, della durata di dieci settimane, e il Vogue Fashion Foundation Diploma, che richiede un anno di frequenza.

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Le video serie nel web: è il trend dei periodici nel 2013

Se il vostro editore lancia serie web sui siti delle vostre testate ricordatevi che non è l’unico, ma si sta muovendo sulla strada tracciata dai periodici negli Stati Uniti. O magari ci si muove in contemporanea con i giornali americani, perché ormai è chiaro che gli editori della carta stampata hanno deciso di puntare su questi prodotti per attrarre visitatori nei loro spazi web e inserzionisti. Spiega l’articolo del New York Times riportato in link alla fine di questo post: l’anno scorso il trend nei periodici era il lancio di una versione per iPad. Quest’anno sono i video.

Lo dimostra la presentazione fatta mercoledì 1 maggio a New York da Condé Nast, l’editore dei giornali patinati di fascia alta come GQ, Vogue e Glamour. Sono stati mostrati 30 clip dimostrativi come assaggio di 30 nuovi show (potete vedere i trailer  nell’articolo di Ad Age alla fine di questo post). Le serie web sono simili, come concetto, alle serie televisive, magari perché compaiono gli stessi attori, nelle stesse situazioni, con sketch ogni volta nuovi. O perché viene trattato sempre lo stesso argomento. Esempi. Condé Nast ha presentato la serie Angry Nerd per la rivista Wired, quella di tecnologia. Single Life è per i lettori di Glamour. Casualties of the Gridiron è un documentario di GQ molto serie che parla delle lesioni fisiche dei giocatori di football americano della NFL. Elevator Makeover fa vedere come può cambiare il look di una ragazza nel tempo di una corsa in ascensore. In questo blog ne avevo già parlato a inizio marzo raccontando il lancio di serie video in Glamour e GQ.

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Il power brand, Rcs Mediagroup e altri stati di crisi nei periodici

Non è facile discutere dei periodici di Rcs e di altri giornali in crisi senza urtare la sensibilità di chi ci lavora.

Provo a fare una riflessione limitata, per mettere in luce qualche aspetto che penso valga per tutti.

Non mi soffermo sulle situazioni specifiche, come le ragioni che in Rcs hanno portato alla decisione di cedere o vendere dieci testate, limitandomi a notare che comunicare da subito l’intenzione di vendere o chiudere è il miglior strumento per bruciare i ponti: un giornale perde all’istante pubblicità.

Lo abbiamo sentito:

Rizzoli intende rinunciare a una decina di testate, tra cui A – Anna, Bravacasa, Max, Novella 2000.

Continuerà le pubblicazioni, tra gli altri, di Oggi e Amica.

Rizzoli, soprattutto, è un editore che ha la proprietà di due quotidiani leader, Il Corriere dela Sera e la Gazzetta dello Sport.

Alla luce di questo assetto è possibile provare a capire il senso del piano dell’Ad Pietro Scott Jovane, nella parte che riguarda i periodici.

Gli editori devono investire nel sostegno dei giornali e nello sviluppo del digitale, ma le risorse a disposizione sono limitate: la tentazione di ridurre il numero di giornali per concentrare gli investimenti è fortissima.

C’è poi una parola chiave: powerbrand. Nella dimensione digitale i marchi più forti prendono tutta la posta. Chi arriva, non dico secondo, ma terzo, ha perso. Il lettore cerca la voce più conosciuta. Il divario tra i titoli più forti e quelli di media caratura, di conseguenza, si allarga, rispetto al mondo della carta stampata. Per dire: La Stampa, in edicola, ha retto per anni alla potenza di fuoco di Corriere e Repubblica. Nel digitale, invece, il quotidiano di Torino rischia di perdere terreno e di essere più vicino, per risultati, a Messaggero e Giornale. In altre parole, un editore è portato a investire sui marchi forti, sacrificando le testate che non sono leader nel loro segmento di mercato.

Infine, la crisi ha lasciato il segno. Nella pubblicità è cambiata la mappa degli investimenti e l’arredamento, per dire, non è un settore che possa più alimentare il numero di riviste che si sono viste fino a oggi in edicola. Un discorso simile vale per la pubblicità e le riviste di turismo (ne ho parlato in post su Condé Nast Traveller e sulla crisi in Mondadori). L’affermarsi invece dei media digitali ha tagliato le gambe ai giornali di gossip. Qualsiasi notizia in esclusiva delle riviste patinate viene immediatamente ripresa e consumata su Internet. Non c’è match e bisogna inventarsi un’altra formula, se ci si riesce.

Il Punto: cosa c’è nella testa degli editori.

Futuro dei Periodici

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Pubblicità: mentre l’Italia sprofonda, nei giornali Usa c’è un miglioramento

Segnali di ripresa per la pubblicità nei settori del lusso, bellezza, arredamento, perfino nelle auto. C’è un’inversione di tendenza nella raccolta di pagine di inserzionisti sui mensili americani. Rimane grigio lo scenario per l’Europa.

Chi segue questo blog lo sa: la crisi dei giornali è legata a un pauroso calo della pubblicità. Con i rovesci nell’economia reale e l’esplosione dei media digitali, ai quotidiani e alle riviste della carta stampata arrivano solo le briciole dei grandi investimenti in comunicazione di aziende e grandi società.

Ma l’inizio del 2013 sembra promettente negli Stati Uniti. Nel periodo da gennaio ad aprile 2013 la raccolta è scesa, ma solo dello 0,9%, secondo i dati di Media Industry Newsletter, con un indubbio miglioramento rispetto al calo del 5.6% dello stesso periodo del 2012.

I marchi globali del lusso e i brand della bellezza e cosmesi hanno ripreso a investire nel mercato americano mentre l’Europa rimane avvolta nell’incertezza e l’Asia, terreno di forte crescita negli ultimi anni, potrebbe essere alla vigilia di un ridimensionamento. Negli Usa anche la pubblicità delle auto sembra regalare qualche soddisfazione agli editori.

Certo, non bisogna dimenticare che la schiarita arriva dopo che l’industria dei periodici americani ha perso più di un quarto delle pagine pubblicitarie nel 2009.

Nell’articolo riportato qui sotto in link ci sono dati sulle pagine pubblicitarie nelle testate americane di Condé Nast e Hearst Magazines. Alcuni periodici hanno aumentato in aprile 2013 la raccolta di oltre il 6 % (con i mensili si conosce già ora il dato).

Adage.com: pubblicità in ripresa nei periodici Usa

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E-commerce, salvagente dei giornali in difficoltà

E-commerce: è la parola d’ordine tra gli editori di quotidiani e periodici. Vendere prodotti di ogni tipo, dai vestiti di marca ai viaggi, per compensare i bilanci in affanno soprattutto a causa del calo della pubblicità. Ne ha parlato Maria Rodale, editrice di Men’s Health. E il Sole24 Ore, in un pezzo dedicato agli acquisti da tablet e smartphone.

Maria Rodale, terza generazione degli editori che pubblicano Men’s Health e riviste sulla salute e il benessere, uno dei maggiori gruppi americani, dove si pretende che i giornalisti consumino solo prodotti biologici tra le pareti delle redazioni e che partecipino a lezioni di yoga per i dipendenti, ha parlato di e-commerce mentre si trovava in Australia per incontrare i partner locali. Iniziando da una provocazione: c’è un nuovo trend, piuttosto radicale, che si sta diffondendo tra gli editori di periodici, il trend del ritorno alla carta.

Significa che la transizione al digitale non sarà rapida come si pronosticava fino a pochissimo tempo fa.

Lo consiglia anche la situazione della pubblicità. «Le agenzie pubblicitarie» ha spiegato Maria Rodale «si sono tutte buttate sul digitale ma i risultati sono stati deludenti rispetto alle attese. Gli user digiali non sembrano così interessati alla pubblicità come quando sono coinvolti in un’esperienza di lettura del giornale di carta».

Al tempo stesso, la signora Rodale ha indicato nell’e-commerce la strada per compensare nel digitale il calo dei ricavi pubblicitari. Un motivo che spinge in questa direzione è l’alto livello di fiducia che i lettori hanno verso i periodici di loro scelta e, di conseguenza, verso la pubblicità e le esperienze di acquisto proposte dalle riviste. I periodici sono uno dei pochi media in cui la pubblicità non viene percepita come una fastidiosa distrazione ma come un’esperienza positiva. E i quotidiani hanno dimostrato che si possono vendere ai lettori pacchetti vacanze, assicurazioni, vino, libri. Lo fanno con successo gli editori tedeschi Burda e Axel Springer oltre agli americani di Condé Nast con il recente investimento di 20 milioni di dollari nel sito di e-commerce Farfetch.

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La folle caccia degli editori ai video pubblicitari

Contro ordine ragazzi.

C’è grande interesse tra gli editori per i video web, da inserire nei siti delle testate e nelle app. Si prevede infatti che la raccolta pubblicitaria associata ai video possa crescere, negli Usa, di oltre il 40 per cento solo nel 2013.

Ma la caccia all’inserzionista, e la disponibilità di spazi, sono così evidenti da far crollare il prezzo della pubblicità video online. Negli Stati Uniti i prezzi sono scesi, rispetto al 2011, tra l’11 e il 15 per cento.

La spiegazione, riportata sul blog del Wall Street Journal, in un articolo intitolato Web Video: Bigger and Less Profitable, è, appunto, legata al numero di editori che offrono spazio per la pubblicità video. Qualsiasi media company, inclusi gli editori di quotidiani, periodici e le televisioni generaliste, vogliono la loro fetta di ricavi in questo campo.

Lo spazio per i video è aumentato a dismisura. Dei 39 miliardi di contenuti video presenti sul web nel dicembre scorso, circa il 23 per cento aveva natura pubblicitaria contro appena il 14 per cento di un anno prima.

Calano le tariffe, di conseguenza. Lo scorso anno il costo di un video su un sito di eccellenza variava dai 15 ai 20 dollari per CPM (mille contatti/visualizzazioni). Nel 2011 oscillava invece tra 17 e 25 dollari, stando alla società di analisi BrightRoll.

Il Punto: il problema dei ricavi nei siti dei giornali.

Wall Street Journal: Web Video, Bigger and Less Profitable

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Video e canali digitali per GQ e Glamour di Condé Nast

I periodici scoprono la forza dei Web video. Due testate di punta di Condé Nast, Glamour e GQ, hanno presentato negli Usa serie e format video, webisodes, sui loro siti e nei canali dedicati su YouTube. Sono il frutto del lavoro, iniziato un anno e mezzo fa, di una nuova divisione voluta dall’editore specializzato in giornali patinati e di fascia alta. Una tendenza seguita da altri editori.

L’articolo di Ad Week descrive i video delle due riviste.

GQ presenta alcune serie decicate, naturalmente, al pubblico maschile. The Ten spiega quali sono i 10 oggetti cui non possono rinunciare uomini di successo come lo chef Rocco DiSpirito o personaggi della finanza. Jogging with James è sulla preparazione di una maratona. Car Collectors sono video sui gioielli a quattro ruote delle celebrity.

Glamour è orientato invece sulla moda, la cosmesi, il sesso (i pensieri segreti dei maschi).

La qualità, si spiega nel pezzo, non è quella incerta dei video realizzati da giornalisti della carta stampata senza esperienza televisiva, ma assolutamente patinata e professionale. Degna di Condé Nast.

I video garantiscono margini (guadagno) più alti nella pubblicità, per questa ragione le media company sono interessate ad arricchire i siti delle testate giornalistiche di clip e brevi filmati concepiti per il web. Si prevede che la raccolta pubblicitaria associata a questa formula aumenti dagli attuali 4,1 a 8 miliardi di dollari entro il 2016, stando a quanto afferma la società di ricerca eMarketer.
Il Punto: i video saranno una delle forze trainanti, e un’importante fonte di ricavo, per i giornali che svilupperanno una dimensione digitale, che siano quotidiani o, come in questo caso, periodici.

Adweek: canali digitali di condé nast

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I periodici hanno ancora senso. Ma non sono più un grande affare

Frasi celebri.

Things have changed. “Magazines are still a great experience; they just haven’t been a great business,” said Michael Wolf, CEO of Activate, a consultancy that works with Condé Nast.

Le cose son cambiate. “I periodici hanno ancora un senso; è solo che non sono più un grande affare”, dice Michael Wolf, Ceo di Activate, società di consulenza che lavora per Condé Nast.

(A proposito del significato della vicenda Time Inc., il maggiore editore americano di riviste, che tre giorni fa ha deciso di scorporare le attività editoriali dalla società principale, Time Warner (centrata sul cinema e la tv), per farne una compagnia autonoma che corre da sola a Wall Street).

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Condé Nast annuncia investimento in e-commerce

Condé Nast annuncia oggi un accordo da 20 milioni di dollari con il sito di e-commerce Farfetch. Borse, abiti, gioielli, scarpe e tutti i prodotti esposti nelle vetrine del lusso entrano in rapporto diretto con uno dei più grandi editori di periodici. Appare questo per una media company l’unico modo per far soldi nel digitale. E sorgono le inevitabili discussioni sull’indipendenza di chi pubblica giornali.

Il digitale è il futuro dell’editoria, si dice. E subito si pensa a siti web e tablet.

Ma l’unico digitale buono, capace di generare nel breve periodo ricavi veri per gli editori, è legato all’e-commerce. Alla vendita di prodotti online. Questa sembra essere la regola per tutti gli editori che hanno successo in questo campo, sia che si parli di editori americani, i più entusiasti per tablet e contenuti giornalistici da diffondere nel digitale, sia tra gli editori tedeschi, quelli più attratti dalla possibilità di far soldi vendendo servizi e prodotti online. Tra i primi, Burda e Axel Springer.

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I periodici che vendono più copie digitali in Uk

Non saranno molte. Ma le copie digitali dei periodici britannici vengono finalmente rilevate, ufficialmente. Da ieri.

And the winner is… Men’s Health. Seguito da GQ.

Men’s Health, il maschile più venduto, ha fatto 12 mila 676 copie digitali, pari al 6% delle copie vendute (carta e digitale). Merito della qualità visuale del giornale, ha spiegato il publishing editor inglese della testata, di proprietà della americana Rodale.

GQ di Condé Nast è il secondo più venduto con 11 mila 779 copie, equivalenti al 9% del venduto totale.

Le copie digitali, come sapete, vengono acquistate nelle edicole online, prima tra tutte l’Apple App Store.

Altri titoli con molte copie sono Cosmopolitan, che arriva a 10841, ed Esquire, 5900, pari a circa il 10% delle diffusioni. (vedete anche il mio post sulle copie digitali vendute negli Usa).

Il Ceo di PPA, associazione di oltre 200 editori britannici, ha spiegato che «la rapida diffusione dei tablet in questi anni ha cambiato dalle fondamenta il modo in cui vengono consumati i periodici. E il modo in cui vengono percepiti dal lettore. Per questo PPA, in occasione del suo centesimo compleanno, ha deciso di affiancare ai tradizionali rapporti sulle copie cartacee vendute, anche quello sul digitale». E da gennaio un’analoga misurazione viene eseguita anche in Italia da Ads.

Riporto i risultati di altre testate. Una goccia nel mare della stampa periodica britannica, la quale fattura annualmente 2,23 miliardi di sterline.

Condé Nast Traveller 1648, Elle 7070, Glamour, 4200, Harper’s Bazaar, 5524, Hello! 2860, Marie Claire 905, The Economist continental edition europe 11624 (vendono molto anche le altre edizioni del settimanale economico), Vanity  fair 7700, Vogue 3703, Wired 6961.

The Guardian: quante copie digitali vendono i periodici inglesi

Ppa: copie digitali vendite in UK.

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Giornali che cambiano sede e periodicità

La crisi obbliga gli editori a fare economie. Sia nella revisione dello “stile di vita” delle società (Condé Nast negli Usa ostentava fino al 2009 una proverbiale grandeur) sia nella fattura dei giornali. E non si tratta solo di tagli al numero di giornalisti e ai loro stipendi.

Proprio Condé Nast, racconta questo pezzo di WWD, ha deciso l’altro giorno di ridurre la frequenza di uscita di uno dei suoi mensili, W, da 12 a 10 numeri. La notizia ha qualcosa di sorprendente perché lo scorso anno la raccolta pubblicitaria era cresciuta del 10%. Le copie sono ferme a 450 mila al mese. Ma il giornale è uno dei più sottili di Condé Nast. E cambiare la periodicità permette all’editore di fare più profitti, nel gioco tra costi e ricavi. Un segno della crisi.

Non è la prima pubblicazione a diminuire le uscite. Nel settembre del 2011 era toccato ad Harper’s Bazaar di Hearst.

Ma tra gli editori in crisi c’è un’altra strada al risparmio spesso imboccata. Parlo del cambio di sede. In questi giorni il Washington Post sta valutando se vendere la prestigiosa sede nel centro della capitale federale. Il palazzo dove si è scritta la storia dello scandalo Watergate. Non è l’unico giornale. Mentre i giornali sono in crisi e le redazioni dimagriscono, il valore degli immobili è in crescita (dice un pezzo dello stesso Washington Times).

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Il New York Times si è trasferito nel 2007 nel bellissimo grattacielo disegnato da Renzo Piano, ma due anni dopo è stato costretto a vendere l’edificio e a firmare un contratto di affitto, per non abbandonarlo. Stesso copione nel settembre del 2010 per Forbes, sulla quinta Avenue di Manhattan.

In Italia hanno cambiato sede, negli anni, il Gruppo L’Espresso a Roma, e, tra gli altri, Hearst Magazines a Milano. Ogni tanto ritornano le voci un trasferimento di Mondadori, che lascerebbe il palazzo di Oscar Niemeyer a Segrate, e sono soggete a stop and go quelle che prevedono un trasferimento dei giornalisti del Corriere della Sera, che abbandonerebbero lo storico palazzo milanese di Via Solferino.

Il Punto: come risparmiano gli editori di giornali.

Wwd: periodici che cambiano frequenza di uscita

Washington Post: il giornale cambia “casa”

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Hearst e i contenuti giornalistici a pagamento nel digitale

La sorpresa per i lettori di Cosmopolitan su tablet è che l’abbonamento annuale alla edizione digitale costa 19,99 dollari, mentre lo stesso abbonamento, ma per il giornale di carta, è di 10 dollari.

La tendenza tra gli editori americani, primo Hearst, è infatti di far salire il prezzo degli abbonamenti sulle nuove piattaforme digitali. Approfittando della novità del supporto tecnologico, si va a mettere in discussione uno dei pilastri dell’industria dei periodici. Tradizionalmente i giornali venivano dati in abbonamento a prezzi stracciati.

Un lusso che non ci si può più permettere.

I ricavi da pubblicità sono calati in modo drammatico, oltre l’8% solo nel 2012, il 32% dal 2008, e questi ricavi costituivano il 75% del fatturato dei periodici americani. Bisogna dunque tentare di ottenere di più dai lettori.

Cambiano le fonti di ricavo, cambia il modello di business.

La strada di Cosmopolitan e dell’editore Hearst è stata seguita, seppur con differenze, da altri. Economist fa pagare 160 dollari l’abbonamento al giornale di carta associato all’abbonamento digitale. Condé Nast non dà più il giornale digitale gratuitamente ai propri sottoscrittori, ma ha alzato il prezzo. Un esempio è il New Yorker: l’abbonamento che abbina carta e digitale costa 99 dollari, contro i 69 della sola carta. Due anni fa la carta era a 39 dollari, ma i tablet e le edizioni digitali non esistevano ancora.

Con il digitale si fa pagare di più anche la carta. Il contrario di quel che si temeva: che i contenuti giornalistici diventassero contenuti gratuiti nel web, che le notizie fossero commodity.

Un problema simile si pone per i quotidiani, che però hanno affrontato il tema delle diffusioni attravero i siti a pagamento (con il sistema del paywall).

Il tablet è interessante, promettente: il lettore medio del tablet è più giovane, benestante e con titolo di studio più alto del lettore medio. Due terzi sono maschi, il 54% Millennial (tra i 18 e 35 anni) e il 36% ha un reddito di oltre 100 mila dollari annui.

Unica nota negativa: oggi le diffusioni digitali dei periodici valgono pochi punti percentuali della copie vendute, si prevede che per il 2015 saranno il 10% del totale. Ancora poco.

Il punto: come gli editori provano a far pagare i contenuti giornalistici digitali. Non è vero che le notizie diventano prodotti gratuiti per colpa del web.

Wall Street Journal: l’abbonamento per tablet costa più della carta

The-Wall-Street-Journal

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Mondadori chiude testate

Leggo su Lettera 43 che Mondadori chiuderà quattro mensili: Men’s Health, Casa Viva, Ville e Giardini, Travel. A questi si aggiunge la Uor televisiva: le unità organizzative redazionali sono una novità dell’ultimo contratto giornalistico e vengono equiparate a testate. Dunque Mondadori vuole chiudere 5 testate. Ma ho come l’impressione che Lettera 43 dia un numero sbagliato dei colleghi in eccedenza: loro dicono 28 ma a occhio e croce sono una quarantina (in casa ho una raccolta di giornali da fare invidia a Mr Magazine).

È dunque arrivato uno dei momenti di cui si parlava da tempo nel mondo dei periodici. Mondadori si aggiunge allo Stato di crisi in Gruner, in Hearst, in altre case editrici. Alle dimissioni incentivate di Condé Nast. E alla previsione di un nuovo Stato di crisi in Rcs Mediagroup.

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Qual è il tablet che fa per voi, lettori di giornali

In questo utile articolo del New York Times, un pezzo di servizio sulla scelta del tablet, c’è un paragrafo dedicato a chi usa questo apparecchio (un device mobile) per leggere giornali e periodici. Si spiega che la maggior parte delle testate ha versioni digitali che sono l’esatta copia del prodotto di carta. È dunque impossibile leggerli con agio senza usare in continuazione lo zoom.

Quindi il consiglio è di comprare un tablet con lo schermo grande. L’eccezione è data da Condé Nast che ha ridisegnato le edizioni digitali delle proprie riviste, come GQ e Traveler, in modo da avere, sulle pagine da scorrere, testi con caratteri più grandi.

New York Times: quale tablet comprare

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Mondadori France, Condé Nast e i periodici su tablet

In Francia cresce la vendita di tablet, che a Natale 2012 avrebbe superato per la prima volta quella degli smartphone. Le aspettative degli editori sono grandi, come dice Mondadori France: è alle porte una Rivoluzione copernicana dei periodici. C’è interesse per le edizioni dei giornali create appositamente per le tavolette, diverse dalle solite copie digitali che replicano il giornale di carta.

Alla luce di questi dati di vendita gli editori francesi sono in fermento. È noto infatti che i possessori di tablet cercano informazione con i loro apparecchi mobili: dopo la messaggistica e i giochi, le notizie sono la principale ragione d’uso dei tablet. Apparecchi che, si badi bene, vengono usati soprattutto a casa e da tutta la famiglia.

Inoltre le versioni dei giornali per tavoletta sono diverse dalle solite copie replica dei giornali, i pdf, o pidieffoni, come li chiamano i giornalisti tra simpatia e compatimento, e aprono spazio alla sperimentazione e alla vendita di pubblicità.

In Francia, si ricorda nell’articolo di Le Figaro (che potete leggere attraverso il link riportato alla fine di questo post), si prevede che per la fine del 2013 saranno in circolazione 4 milioni e mezzo di tablet, contro i 3 milioni venduti fino a questo momento.

Le Figaro

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Dal digitale metà della pubblicità raccolta da Wired (Usa)

La pubblicità raccolta sul digitale da Wired è il 50% del totale. In tutto il 2012 la media è stata del 45%. Un segnale incoraggiante per gli editori che guardano ai siti delle testate e alle edizioni per tablet come una fonte per bilanciare le perdite sulla carta.

La notizia è uscita ieri su Advertising Age (l’articolo è riportato in link alla fine di questo post) ed è contornata da altri dati importanti per portare avanti una riflessione sulla transizione al digitale nei periodici. Dunque Wired raccoglie metà della pubblicità sul digitale negli ultimi tre mesi del 2012, la media dell’anno è stata 45%. Era solo il 10% nel 2006.

Altri dettagli interessantissimi. Il 90% della pubblicità digitale è sul sito di Wired e dal tablet proviene solo una piccola quota. Troppo presto. E le pagine di pubblicità sul giornale di carta sono diminuite del 5,7% nel 2012. Ma Condé Nast precisa che la crescita nel digitale non deriva dal calo sulla carta, non è una illusione contabile.

Allargando il campo, Ad Age riferisce che The Atlantic, testata di cui si è parlato in Futuro dei Periodici per la coraggiosa scelta nel digitale, ha fatto meglio di Wired, arrivando al 59% della raccolta pubblicitaria sul digitale. Ma quest’ultimo, magazine del gigante dell’editoria Condé Nast, ha numeri più grandi dell’Atlantic, con diffusioni da 800 mila copie e 885 pagine complessive di pubblicità, contro le 450 mila copie e 463 pagine dell’Atlantic.

Howard Mittman, VP-publisher di WiredMittman, usa una metafora eloquente e raccapricciante insieme: «Possedere un giornale di carta non significa necessariamente che ci sia un peso analogico legato intorno al tuo collo tecnologico». Un quadro più ampio è stato tracciato nel pubblicato oggi su Futuro dei Periodici.

Advertising Age: metà pubblicità Wired è digitale.

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Periodici/ Non solo tagli e chiusure di testate: Condé Nast investe nel digitale

Anche in Italia Condé Nast entra con decisione nel mercato digitale dei periodici.

Leggo su Italia Oggi e alcuni siti che la casa editrice americana lancia edizioni digitali interattive (interactive replica) di due testate, Gq e Wired.

Non della solita replica del giornale di carta si tratta, ma di un prodotto ideato per il tablet.

Non un pdf ma articoli e foto con didascalie interattive, condivisione su social network e contatto tra i lettori e le firme del giornale. Oltre il 60% delle pagine sarà interattivo.

Nel 2013 altre testate dell’editore saranno pronte per le tavolette.

I prezzi sono ribassati per conquistare i lettori italiani, non abituati a questa novità.

L’abbonamento annuale costa 11,99 euro, la singola copia 2,99 euro oppure 1,69 euro se si acquista il giornale per tre mesi.

Ma la notizia che più mi colpisce è la previsione di Condé Nast sulla diffusione dei tablet in Italia. L’editore conta di raggiungere nel medio-lungo periodo un 5-10% di copie diffuse sul nuovo canale. Nel nostro paese si prevede che saranno venduti 3 milioni di device entro il 2012, per poi balzare a 6 milioni nel 2013.

Ma il giornale nativo digitale (nativo nella formula, la testata è invece un brand straconosciuto) oltre a puntare sui lettori strizza l’occhio alla pubblicità. Una serie di post di questo blog hanno sottolineato le difficoltà nella raccolta pubblicitaria dei periodici sia nel presente sia nelle previsioni fino al 2015. Scrivevo, a intuito e non per conoscenza, che per non farsi scappare gli investitori, gli editori di periodici dovrebbero avere più progettualità nel digitale, per dare agli inserzionisti (anzi, per suggerire e ispirare) la possibilità di fare campagne in un nuovo modo, moderno, completo, articolato su più piattaforme. Ecco, Condé Nast, non a caso un editore americano, arriva per primo in Italia. Fin dal primo numero di Gq e Wired per tablet sarà possibile fare inserzioni e campagne pubblicitarie interattive, arricchite con video, grafica animata e modalità di coinvolgimento del lettore.

M’interessa perché: 1) un editore punta per la prima volta in Italia con decisione su testate periodiche pensate per tablet; 2) si apre una strada interessante per il lettore, che è incoraggiato a consumare sul web contenuti giornalistici a pagamento; 3) si offre agli inserzionisti un modo moderno di fare pubblicità, capace di raggiungere il pubblico là dove si trova (il digitale) e non solo là dove il lettore si trova sempre di meno (carta stampata).

Italia Oggi: giornali per tablet di Condé Nast

Pubblicità Italia: giornali interattivi di Condé Nast

Gq interactive replica, copia interattiva

Gq interactive replica, copia interattiva

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Le parole che non mi hai detto/ Media company

Tutti continuano a chiamarli: editori. Ma loro già si preparano a guidare una: «media company». Questa espressione sbuca in alcuni articoli postati in questo blog nelle ultime settimane.

Media company: questo è diventata negli Stati Uniti la famosa Condé Nast, secondo le parole dell’amministratore delegato Charles Townsend (Futuro dei Periodici: Condé Nast dopo la crisi).

Una media company è quel che dovrebbe diventare l’editore che vuole sopravvivere alla crisi e alla transizione digitale, secondo quanto raccomanda Clayton M. Christensen, professore alla Harvard Business University (Futuro dei Periodici: Nieman Reports).

E tutte le società e aziende della moda, delle auto, del lusso e di mille altre aree sono, stanno per o dovranno diventare delle «media company» secondo quel che prevedono gli esperti del settore, perché le piattaforme digitali (dai siti web agli smartphone) richiedono a qualsiasi imprenditore moderno di non limitarsi a fare pubblicità sui vari media ma di prendere in mano la comunicazione e lanciarsi in attività editoriali e di marketing ricco di contenuti (e non sfacciatamente promozionale).

Come ha fatto Ikea con i suoi cataloghi che tutti noi abbiamo sfogliato con lo stesso piacere con cui leggiamo una rivista di arredamento. O come stanno facendo i marchi dell’abbigliamento di alta gamma, primo tra tutti Burberry (Ikea e il brand journalism).

«Media company». Ma non era la casa editrice in cui lavoravo, sai, quella che pubblicava settimanali e mensili? No, mi rispondono. Ora è qualcosa di più. La chiameremo «media company» perché usa i media per veicolare contenuti giornalistici, contenuti editoriali, e-commerce (Futuro dei Periodici: Hearst lancia ShopBazaar), eventi, pubblicità “intelligente” degli inserzionisti. Sui giornali di carta, i giornali digitali, i social network, twitter, smartphone etc. etc. Con articoli, video, grafica, animazione etc. etc.

Giornalismo e giornalisti sono solo una parte della vecchia casa editrice, a volte una piccola parte, spesso sempre più piccola.

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Condé Nast e gli editori dopo la crisi

E’ naive credere che la stampa stia morendo. Ma, dopo la crisi, è impensabile per un editore investire solo sul giornale, trascurando le piattaforme digitali: smartphone, siti, tablet, social network.

Questo il succo dell’intervento dell’amministratore delegato di Condé Nast Usa, Charles Townsend, a un convegno che si è svolto nei giorni scorsi al Paley Center for Media in New York City. C’è autopromozione della società editrice e dei magazine, sento nelle parole un esercizio di ottimismo. Ma alcune frasi aiutano a capire cosa pensano gli editori.

Riassumo qualche passaggio, ma vi consiglio di leggere il link a Folio Mag, da cui traggo il testo.

Ecco gli estratti.

«L’idea che la stampa stia morendo è naive. Non è vero che sta collassando. Nulla impedisce a questo business di crescere, ma questo non può avvenire senza una presenza digitale consistente. E’ la differenza tra gestire un brand e fare un giornale”.

«Prima della recessione la stampa andava benissimo. Società come Condé Nast avevano fatturati in crescita del 12, 15% nella carta. Ma il mercato ora costringe gli editori di giornali a cambiare il modo di fare business».

«Poi arriva la recessione. Una depressione profonda. Cosa accade? Perdiamo il 40 per cento del fatturato. Terribile. Ma al tempo stesso tagliamo costi per centinaia di milioni di dollari. Ora siamo usciti dalla recessione (negli Usa la considerano superata. Ndr) e ci ritroviamo in splendida forma. La ripresa ruota tutta intorno al digitale, ma non a spese della carta, come si pensava prima della recessione».

Nel 2010 e 2011, dopo la recessione, Condé Nast ha registrato negli Usa fatturati in crescita anche del 7%, l’area web cresce tra il 32 e il 33%.

«Il dopo recessione è caratterizzato dalla introduzione e dallo sviluppo delle piattaforme digitali, le quali, però, non sostituiscono il business della carta. I periodici continuano a crescere, anche se questo 2012 è un anno deludente. Colpa dell’anemica economia americana, non di Condé Nast».

«Da ora in avanti noi ci consideriamo non più come un editore di periodici ma come una media company».

«La nostra industria sta pagando per aver svenduto i suoi contenuti. Come ci è venuto in mente di offrire gli abbonamenti a un dollaro? Abbiamo crato un’abitudine che è quasi impossibile rovesciare: quella dei contenuti giornalistici gratuiti. Ma ora possiamo fornire contenuti digitali, archivi, e-books, accesso a eventi, contenuti per il mobile e per la stampa, e ce la possiamo giocare con il consumatore. Abbiamo trovato la strada, cosa che manca a qualsiasi altro segmento dell’industria dell’intrattenimento».

M’interessa perché: 1) al netto dell’aspetto autopromozionale, indica la strada su cui muoversi anche in Italia, dopo la recessione; 2) media company, media company; 3) il giornale e tutto il resto, non più SOLO il giornale.

Il punto: come gli editori vedono il medio periodo.

La fonte: «The Magazine Industry’s source for news, careers, suppliers, education, features, video, multimedia and more».

Folio Mag: per Condé Nast Usa il giornale è solo una parte

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Condé Nast annuncia il lancio di Vanity Fair in Francia

La domanda è quando, esattamente. E perché annunciarlo ora, molti mesi in anticipo rispetto all’estate, stagione prima della quale (un po’, molto…) dovrebbe avvenire, dunque, alfine, il lancio di Vanity Fair in Francia.

Ma sono domande che forse interessano meno di tutte le altre considerazioni fatte dal New York Times. Si riflette sull’andamento del mercato francese dei magazine (che quest’anno cresce lievemente, ma cresce, mentre i quotidiani perdono pesantemente), sul perché Condé Nast abbia atteso anni prima di pianificare il lancio di Vanity in Francia, su come è cambiato il rapporto dei politici con la stampa e come gli inserzionisti non ritirino più la pubblicità da quei giornali che frugano nella vita privata dei politici (un mutamento avvenuto sotto la presidenza di Nicolas Sarkozy e balzato all’occhio un anno fa, con lo scandalo di Dominique Strauss-Kahn), del perché ci sia preoccupazione nel settore editoriale del lusso sulla tenuta di una raccolta pubblicitaria finora non anticiclica ma quasi.

M’interessa perché: 1) permette un confronto indiretto con il mercato italiano, molto più in difficoltà di quello francese.

Il punto: anche nel mezzo di una crisi si può lanciare un prodotto editoriale forte?

(leggete qui l’articolo) The New York Times: Condé Nast lancerà la versione francese di Vanity

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Condé Nast e alcune buone notizie per i giornali

Condé Nast torna a fare i muscoli esibendo i risultati in Gran Bretagna e nel Vecchio Continente. L’articolo del London Evening Standard riporta che l’anno scorso nel Regno Unito Condé Nast ha visto crescere i ricavi del 5,2 per cento a 117,9 milioni di sterline e gli utili prima delle tasse del 14 per cento a 17,3 milioni. In Europa, Condé Nast International ha fatto ancora meglio con un incremento del fatturato del 7,7 per cento a 460,2 milioni di sterline e con un margine di 43,5 milioni di sterline, incluso, BADATE BENE, un buon risultato in Spagna e Italia.

Condé Nast continua a far soldi con copie e pubblicità in Uk.

 

M’interessa perché: 1) i glossy magazines, è confermato, reggono meglio la crisi; 2) forse hanno anche un futuro.

 

Il punto è: ci sono magazine che rispondono meglio alla crisi.

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Sugli editori “puri”/ Condé Nast e l’ingresso nella società di pubblicità digitale Flite

A proposito del grido che a volte si leva dalle redazioni quando un editore investe in prodotti non editoriali… Ecco la notizia che Condé Nast ha acquisito l’11 per cento di Flint, una società di pubblicità in area digitale. L’articolo che riporto è uscito il 20 agosto 2012 sul New York Times.

L’editore tedesco Springer ha sviluppato con successo il digitale nell’ultimo decennio, cresciuto del 34 per cento, e ha punti di forza come lo sviluppo di Stepstone, sito per la ricerca di un posto di lavoro, e, in Francia, SeLoger, servizi per la compravendita di abitazioni, e Autoreflex, sito per la vendita e l’acquisto di auto usate.

In conclusione, ecco la lista della spesa di Condé Nast in supermarket non editoriali. «The investment in Flite is one of several deals Condé Nast has made recently» scrive ancora la giornalista del New York Times, Tanzina Vega. «The company has also invested in Trigger Media, which helps create digital media companies and products, and Moda Operandi, a fashion Web site. In April, the company acquired ZipList, a digital and mobile shopping list and recipe service. “We’re thinking about the equity structure with every opportunity that hits our desk,” Mr. Sauerberg said (presidente di Condé Nast)».

E l’apporto del digitale alle vendite di periodici? A due anni dal lancio dell’iPad, si dice nell’articolo, le copie digitali contribuiscono solo per l’1,7 per cento alla circolazione dei magazine americani.

(notizia e interventie stratti dall’articolo di Tanzina Vega per The New York Times del 20 agosto 2012 intitolato «Condé Nast Invests in Digital Advertising Company Flite»).

Condé Nast entra in Flite

M’interessa perché: 1) fa capire che non esistono più (ma quando sono esistiti?) editori puri: finiamola con questo mantra, cari colleghi, quando si vogliono accusare gli editori; ci sono stati ben altri errori; 2) indica una strada evolutiva per gli editori dei periodici diversa da quella del giornalismo; 3) fa prefigurare un mix di media futuro in cui i periodici ci sono ancora.

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Springer goes to India

Notizia di oggi: l’editore tedesco Springer ha deciso di investire nel mercato dell’Asia centrale e orientale e presto lancerà uno o più brand in India. L’asfittico mercato europeo spinge tutti gli editori che vogliano avere un futuro a tentare la carta della internazionalizzazione. C’è un interessante articolo sulle strategia seguita da un grande gruppo americano, Condé Nast, e sul perché investire all’estero sia particolarmente reditizio. Le redazioni estere sono più piccole quanto a organici, le copie in edicola pesano molto rispetto alla circolazione complessiva di una testata (mentre negli Usa gli abbonamenti sono di molte volte superiori alle vendite al newsstand). I margini rappresentano una percentuale altissima dei ricavi (fino al 40 per cento). Si possono riutilizzare articoli usciti nelle edizioni della stessa testata in altri Paesi. etc etc. Buona lettura.

Condé Nast e il processo di internazionalizzazione

 

M’interessa perché: 1) fa capire come sia necessaria una dimensione internazionale per gli editori di periodici.

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