Archivi tag: transizione al digitale

Riflessioni sull’Innovation Report del New York Times

L’Innovation report è uno studio riservato di 96 pagine sull’innovazione digitale al New York Times inviato la scorsa settimana ai top executive del quotidiano. E finito nelle mani e pubblicato dal sito BuzzFeed. Contiene critiche all’organizzazione giornalistica centrata sulla carta. E offre spunti di riflessioni validi per qualsiasi quotidiano e periodico

La domanda fondamentale, contenuta in modo implicito nel rapporto, a cui tutti gli editori devono rispondere, anche in Italia, è questa: come è possibile accantonare la carta, dedicare meno risorse, tempo, attenzione, investimenti alla versione ancora oggi più amata, letta, diffusa, pagata del giornale per riversare tutto ciò su prodotti digitali ancora tutti da sviluppare? Affronta a fondo la questione Vox.com in questo pezzo, che contiene il link diretto a scribd per la lettura dell’intero report del New York Times (di Vox.com si è parlato in questo post di Futuro dei periodici).

Ecco una delle charts di Vox che illustrano il dilemma del prigioniero, il paradosso che può condannare a morte i giornali:

fa vedere come oltre tre quarti dei ricavi del quotidiano Usa provengano ancora oggi dalla carta.

Siamochiamati a difendere con il sangue e finoall’ultimouomo un fortino che (losappiamogià) dovremoabbandonareall’alba :-).

 

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La Percentuale Di Lettori Digitali Nei giornali Francesi

Quanti lettori digitali hanno i giornali? Quanti di questi lettori sfogliano anche il prodotto di carta? E quanti guardano solo il sito del brand? Uno studio sulla Francia. Utile all’Italia

Misurare l’apporto del digitale per i giornali: ora in Francia è possibile, come spiega questo articolo di CB News.

Si può sapere quanti lettori accedono ai contenuti di un giornale esclusivamente con Internet, quanti solo su carta, e in che misura i lettorati si sovrappongono. Nel digitale, si può distinguere tra accesso da computer o da mobile (tablet, smartphone).

In media, nei brand giornalistici il 57% dei lettori si affida unicamente al prodotto di carta, il 22% solo a Internet, il 4% solo al mobile. Il restante 17% legge su più supporti.

Ecco la classifica dei brand più letti nel Paese, sommando le varie piattaforme.

Al primo posto c’è Femme Actuelle: 16 milioni 625 mila lettori, di cui 13 milioni 996 mila su carta. Il digitale pesa per il 19%.

Lettori digitali nei giornali francesi

 

Interessante vedere le differenze tra tipologie di giornali.

Nei quotidiani i lettori esclusivamente print sono, in media, il 46%, mentre Internet è porta d’accesso per il 54%.

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Le 5 Caratteristiche Del Sito Giornalistico Perfetto

Sono le Lezioni Americane di Mario Garcia. Perché il design nei giornali non è solo grafica ma idea

Riprendo di peso le 5 caratteristiche per un grande sito giornalistico elencate in un recente post di Mario Garcia, geniale designer americano che ha ridisegnato decine di media nel mondo etc etc.

Conviene andare nel blog di Garcia per vedere gli esempi grafici che accompagnano queste sintetiche Tavole di Mosè.

1) Must be uncluttered. Less is best (Non deve essere affollato. Meno è più).

Come il sito del Boston Globe

2) It offers a clear navigation (La navigazione è chiara e razionale).

Come il sito di The Guardian e del Sole 24 Ore

3) It surprises visually (Stupisce per l’impatto visivo).

Come Handelsblatt

4) It reflects immediately the look & feel of the publication it represents (Comunica immediatamente la personalità della pubblicazione).

Come Bild e The New York Times

5) It uses texture, contrast and color to help the eye move through the elements (Usa texture, contrasto e colore per aiutare l’occhio a muoversi e orientarsi tra i vari elementi).

Come Newsweek e Usa Today.

 

Futuro dei Periodici

 

 

 

 

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Giornalisti Assunti Nel Digitale – Estratto da State of the News Media 2014

I posti di lavoro giornalistici si creano solo nei giornali digitali. Per il resto l’industria americana dei media ha visto un calo drammatico nel numero degli assunti full-time. Le penne della carta stanno migrando sul web. C’è posto per pochi, giovani e famosi

Il pizzico di ottimismo che si sente per la prima volta dopo anni nei media americani va tutto a merito del digitale.

Nel rapporto State of the News Media 2014, rilasciato a fine marzo dal Pew Research Center (Progetto per il Giornalismo), si disegna un quadro sfaccettato e promettente.

Il primo punto riguarda la creazione di posti a tempo pieno (in Italia potremmo tradurre, piuttosto liberamente, posti a tempo indeterminato).

Le 468 redazioni giornalistiche del web, grandi e piccole, censite nel Rapporto 2014, hanno creato in 6 anni circa 5000 posizioni per giornalisti e creatori di contenuti editoriali. Una crescita definita “esplosiva” se ci si limita agli ultimi due anni.

Le 30 redazioni più grandi hanno 3000 giornalisti, una media di 100 ciascuna. Sono redazioni di tutto rispetto.

Nelle testate minori, 438, i giornalisti assunti in ogni redazione sono in media 4,4.

Altro punto da tenere bene a mente: l’80 % dei nuovi assunti provengono da redazioni tradizionali, quelle di quotidiani, periodici, radio e televisioni.

Il dramma si concentra, infatti, in questa parte del mondo dell’informazione, di gran lunga ancora la maggiore. Negli Stati Uniti i quotidiani davano lavoro nel 2003 a 54.000 giornalisti; nel 2013 il numero è sceso a 38.000.

Tabella. Giornalisti assunti negli Usa 2003-2014 (link per la versione interattiva creata con Datawrapper).

 

Giornalisti assunti negli Usa 2003-2012

Nei periodici il taglio è stato del 26% (su una popolazione complessiva di oltre 140.000 dieci anni fa).

Ma ci sono altre tendenze che conviene esplorare nel mondo dei digital outlet, i giornali online.

Il 2013 è stato l’anno in cui si è investito in produzione di contenuti originali e di qualità, tentando di colmare un gap ed evitare di cadere nella trappola del plagio e della aggregazione di articoli pubblicati su altre testate.

L’anno scorso, inoltre, si è registrata una migrazione di firme dai giornali più prestigiosi della stampa americana verso le realtà dell’informazione digitale. A segnare un punto di svolta: non solo il digitale crea lavoro, ma sta diventando quasi più prestigioso dei media della tradizione.

 

 

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L’inevitabile convergenza delle redazioni: digitale e cartacea

Può una sola redazione fare il giornale per l’edicola e il giornale digitale arricchito con video, streaming, un flusso ininterrotto di news? Vincere alle Olimpiadi sia la maratona sia i 100 metri piani? E’ la domanda dei redattori di Journalism.co.uk

Risponde Torry Pedersen, direttore del tabloid norvegese VG: un caso editoriale (perché ha successo e per la formula giornalistica a getto continuo di notizie, diversa dalla nuova home molto strutturata del Corriere: vedi il sito del giornale).

Fin dalla domanda di partenza si può capire che Pedersen è stato un fautore della divisione tra redazioni. Torna dunque il modello della separazione, almeno iniziale, predicata qualche anno fa dal Washington Post e ricordata dal professor Clayton Christensen nel suo studio Breaking News per il Nieman Lab dell’università americana di Harvard.

Il lavoro per il digitale, sostiene Pedersen, richiede un differente approccio mentale e un diverso modo di raccontare.

Il problema è poter innovare nel digitale conservando il business sulla carta, anzi, rafforzandolo. Ne ha parlato giorni fa anche un dirigente di Time Inc. citato da Futuro dei Periodici.

Il tabloid norvegese ha scelto la strada della separazione alla nascita, per evitare che la cultura della carta stampata, definita “conservatrice”, frenasse lo sviluppo digitale.

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Periodici E Banda Larga

L’arrivo della banda larga di ultima generazione. La diffusione del tablet. La ripresa economica. Ecco perché in Gran Bretagna c’è ottimismo sul futuro dei “customer magazines”

Un lettore di questo blog commentava ieri un post sullo sviluppo delle app di news per tablet. Osservava che a oggi le copie digitali dei nostri giornali equivalgono a non più del 5%. A che pro, dunque, parlare di digitale nei periodici?

L’emergenza del momento è sostenere i giornali di carta. Ma lo sguardo va spostato più avanti. Perché i cambiamenti sono iniziati e non c’è ritorno al passato.

Serve un po’ di prospettiva.

In un articolo come questo, sui customer magazine britannici, i giornali dei grandi brand non giornalistici (tipo Coca Cola e Tesco), c’è la capacità di guardare più lontano. Oltre la crisi, per dire.

Il  “Customer Magazines Market Report Plus 2014”aiuta ad avere un quadro di riferimento valido per tutte le riviste, incluse quelle vendute in edicola.

In sintesi, si dice che:

1) Anche in Gran Bretagna il digitale vale il 5, 15% del mercato.

2) Ma il digitale sta crescendo velocemente. Metà della popolazione ha uno smartphone, il possesso di tablet riguarda il 24% degli adulti.

3) Ma il salto definitivo avverrà tra poco. Entro il 2015, infatti, la maggioranza dei Britons sarà raggiunta dalla banda larga per mobile con tecnologia di quarta generazione (4G), con download più rapidi e accesso a maggiori contenuti online.

Non a caso (4) si prevede che gli editori di customer magazine vedranno crescere i loro ricavi di oltre il 10% tra 2015 e 2018. Una crescita dovuta in gran parte alla ripresa economica e all’aumento dei budget destinati dalle aziende alla pubblicità, al content marketing, alla comunicazione anche digitale.

Futuro dei Periodici

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I Periodici Vanno Alla Grande Nell’iTunes Store

I periodici americani sono in testa nelle classifiche delle app più vendute nell’iTunes Store di Apple. Una buona notizia per chi spera che lo sviluppo digitale dei brand possa dare un futuro a queste pubblicazioni

I dati sono contenuti in uno studio della Mpa, l’associazione dei magazine media, Stati Uniti.

Tutte le 15 app di lifestyle più vendute nell’iTunes Store sono brand dei periodici.

6 delle 10 app di news più vendute sono di periodici.

6 delle 10 app di fitness più redditizie sono di periodici.

7 su 10 app sulla cucina più vendute sono dei periodici.

7 su 10 delle app di viaggi che vendono di più sono di brand dei periodici.

Vi consiglio di leggere tutto l’articolo di technologytell.com.

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Giornalismo Multimediale: la Storia degli Attentatori di Boston

Si intitola The Fall of the House of Tsarnaev. Racconta con testo, foto, disegni, video la storia della “caduta” della famiglia Tsarnaev, da cui provengono i 2 uomini ceceni accusati dell’attacco terroristico alla maratona di Boston. Il racconto, frutto di 5 mesi d’indagine sul campo, è stato pubblicato dal Boston Globe. E ha dato vita a un fitto dibattito su Twitter sulla utilità e attualità di storie multimediali in stile Snow Fall, il primo esempio del genere, uscito un anno fa. È già diventato un verbo: to Snowfall

The fall of the house of Tsarnaev  viene commentata nel blog di Mario Garcia, il maestro di design giornalistico che insegna alla Columbia University.

Piace al designer la sobria ed essenziale veste grafica del prodotto, che lascia molto spazio bianco per entrare senza ansia nel racconto. Anche senza leggere tutto dall’inizio si può cogliere il filo della narrazione, la ricostruzione di un ambiente familiare altamente disfunzionale, di una migrazione negli Stati Uniti, da zone remote dell’ex impero sovietico, risoltasi in un fallimento sociale ed esistenziale.

I video ci portano nell’ambiente d’origine dei due presunti attentatori.

Le fotografie, viste allo schermo e non sulla pagina stampata, creano, a mio parere, un maggiore coinvolgimento.

Penso che lo scroll aggiunga un pizzico di drammaticità alla storia (come un libro?), a differenza della pagina del giornale, che si apre davanti a noi mostrando tutto nella sua interezza.

Ma Mario Garcia riporta nel suo blog gli scambi di tweet di una discussione sull’utilità di prodotti come questo, risalendo indietro al capostipite: Snow Fall del New York Times.

C’è chi ritiene efficace questo modo di raccontare storie. Chi lo trova noioso. Chi chiede di aver pazienza perché siamo solo all’infanzia dello storytelling. Chi invece vuole fare piazza pulita delle novità e tornare al… giornalismo.

Altri esempi:

The Russia Left Behind. La New York sotterranea e Vita e sogni dei campioni del football australiano. Multimedia storytelling sul DataGate. Vita delle attrici pornolesbo.

The Fall of the House of Tsarnaev

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Video della Rivista Digitale dell’Anno – Digital Magazine Awards 2013

Il magazine digitale dell’anno è un femminile di lifestyle per iPad. Ma vengono premiati anche i siti di testate storiche

Quali periodici sono un esempio di sviluppo? Quali possono essere studiati per le idee innovative? Uno spunto arriva dai Digital Magazine Awards assegnati a Londra.

Obbligatorio segnalare i vincitori nelle 2 categorie principali:

• Digital Magazine of
the Year: Katachi

• Magazine Website of the Year: Esquire.co.uk

Questa è la rivista di moda, lifestyle, cultura, pensata solo per iPad: Katachi.

Tra le categorie, segnalo:

• Fashion Magazine of the Year: Katachi

• Men’s Lifestyle Magazine of the Year: British GQ

• Women’s Lifestyle Magazine of the Year: Katachi

• Sports, Health & Fitness Magazine of the Year: Men’s Health (US)

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Future e la Strategia della Prova ed Errore (Fast-Fail)

Fast-fail: sperimentare rapidamente e, se non funziona, chiudere. È l’approccio dell’editore britannico Future. Che porta avanti con successo il passaggio al digitale

Il gruppo editoriale britannico di periodici Future ha annunciato di avere superato il punto di svolta (“Inflection Point”: per un editore, è il momento in cui il digitale prende il sopravvento sulla carta): più di metà dei ricavi pubblicitari della società provengono dal digitale. La crescita delle nuove fonti di fatturato ha superato, nella prima metà dell’anno, le perdite nella carta. I ricavi sono saliti del 3%, a 106 milioni di sterline. In crescita il margine di guadagno.
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Guida da Campo per Giornalisti Smarriti

E se a dirti come vanno davvero le cose, senza nascondere nulla, fosse chi ti dà il lavoro? Succede in un grande gruppo editoriale americano, il secondo del paese con 75 quotidiani. Qui l’amministratore delegato ha scritto ai dipendenti. Per spiegare due cose. La prima è l’ammissione di un errore, una cosa molto tecnica (che non mi interessa): elimineremo l’accesso a pagamento ai siti dei giornali. La seconda molto più importante: la condivisione delle strategie della società. E di tutte le incertezze e le preoccupazioni sul futuro della carta stampata. Una testimonianza del momento

Il post di John Paton, alla guida di Digital First, è stato ripreso a più non posso su Twitter. E sui siti d’informazione.

Egli dice.

Il viaggio dalla carta stampata al digitale sarà lungo. E siamo ancora nella prima parte, quella in salita.

I dollari che si guadagnavano nella carta si sono trasformati in centesimi nel digitale: lo stesso prodotto viene pagato molto meno. Ma i costi che dobbiamo sostenere per andare avanti sono ancora in dollari.
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The Modern Magazine – Ripensare i Giornali

Non è solo un bravo grafico. L’art director dei periodici è una figura indispensabile per ripensare il giornalismo nell’era digitale. Come si legge nel libro The Modern Magazine. E come dice Francesco Franchi, art director di Il (Sole24Ore)

UN LIBRO Ho letto The Modern Magazine – Visual Journalism in The digital Era, di Jeremy Leslie (editore Laurence King).

Nell’introduzione viene definita l’essenza dei magazine, parola che rievoca, per etimologia e storia, la varietà del magazzino arabo e l’energia di una polveriera francese.

COS’È UN PERIODICO Il magazine nasce dall’incrocio di due tensioni.

C’è il tempo. Un magazine non è assoggettato alla corsa adrenalina delle news. Ma non può neppure abbandonarsi alla calma senza tempo del libro.

C’è la cura di forma e contenuto. Puoi dispiegare nel magazine tutta l’arte grafica del giornalismo. Ma non devi perdere la spontaneità di chi ha una deadline.

The Modern Magazine potrebbe far pensare che le riviste siano diventate un prodotto di nicchia, dove si concentra la maestria di art director un po’ decadenti. Una bizzarria.

L’INTERVISTA Ma un’intervista di Mario Garcia a Francesco Franchi, il giovane e talentuoso art director di Il (mensile del Sole 24 Ore), autore di Designing News, mi fa pensare che le riviste non siano affatto marginali nell’era digitale. E che la perizia grafica sia più che mai necessaria nel web e sui giornali per tablet. Infine, si capisce che la ridefinizione grafica dei giornali va al di là dell’immagine e ci aiuta a stabilire come sarà il giornalismo.

Riprendo un passaggio di Franchi:

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La Formula di Axel Springer: Carta e Digitale Insieme

Basta alla divisione carta/digitale. Giornalismo di qualità. Contenuti a pagamento. Previsioni per i prossimi 5 anni. Tutto nell’intervista di Milano Finanza al Ceo di Axel Springer, la prima media company digitale europea

TROVATA LA STRADA Il sottotitolo di questo blog è: cronache da un mondo che non sa dove andare. Chiaramente se trovo qualcuno che sa dove andare, mi sento obbligato a dargli la prima pagina.

Da tempo nella mia prima pagina c’è l’editore tedesco Axel Springer, gigante dei periodici in Europa, proprietario in Germania dei maggiori quotidiani. E apripista del digitale.

Segnalo un’interessantissima intervista all’amministratore delegato del Gruppo uscita sabato su Milano Finanza. Bel colpo. La sostanza dell’articolo, intitolato «Il meglio deve venire», è già stata esposta con anticipo e in modo ampio in queste pagine: Axel fa il 40% dei ricavi con il digitale. È dunque il primo ad aver trovato una strada nel digitale che porti a risultati economici di rilievo. E ad avere individuato il tanto inseguito modello economico del digitale: un equilibrio tra costi sostenuti e ricavi.

Ma c’è dell’altro. A livello di definizioni, linguaggio, formule: scolpiscono concetti. E allora faccio una sintesi dei passaggi di maggior rilievo per un giornalista italiano.

SIATE CANNIBALI

1) La strategia di digitalizzazione della società è stata adottata con largo anticipo sulla concorrenza: già dal 2002. Nel 2004 solo il 4% dei ricavi proveniva dal digitale. Il Ceo di Axel Springer spiega che le aziende che non entrano con decisione nel digitale per timore di cannibalizzare il proprio business hanno perso in partenza: qualcuno lo farà al loro posto. Cannibalizzare significa che il digitale ruba lettori alla carta, mettendo in crisi il sistema.

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L’Editore da 500 Milioni di Utenti Unici

Il giornalismo del futuro appartiene a mass media digitali? Grandi editori nati nel web, capaci di raccogliere sotto un unico ombrello centinaia di siti e blog. Con l’obiettivo di 500 milioni di utenti unici. E una sola piattaforma, una sola tecnologia, una sola, grande vetrina pubblicitaria. L’utopia di un Internet libero sbiadisce un po’ di più

DIGITAL COMPANY CRESCONO Proprio mentre in Italia fa notizia l’intervista dell’Espresso a Wolfgang Blau (del Guardian) sul futuro del web dominato da grandi media company come The Guardian, The New York Times, BBC, negli Usa si discute di uno scenario simile. Però con protagonisti diversi. Non gli editori tradizionali, ma compagnie digitali che possono controllare l’informazione e la pubblicità su Internet.

Lo spunto: una grande società di siti web, Vox Media, con centinaia di titoli e giornalisti, sarebbe sul punto di comprare un’altra media company digitale, proprietaria di molti siti e blog, Curbed Network. Per un prezzo, pare, di 25/30 milioni di dollari (viene da sorridere, con “questi” americani, pensando che l’editore tedesco Axel Springer ha pagato nel 2011 oltre 600 milioni di euro per l’acquisto del portale francese di annunci immobiliari SeLoger).

Tanto è bastato per aprire un vivace confronto. Commentatori di primo piano del mondo digitale, come Mathew Ingram (è stato ospite d’onore al Festival internazionale del giornalismo, a Perugia) e voci del New York Times e di Reuters, hanno subito proiettato in avanti le conseguenze di questa acquisizione, immaginandola come il primo esempio di una serie di fusioni che porteranno alla nascita di giganti digitali del giornalismo.

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Perché i Giornalisti Usano i Social Media – Indagine in Gran Bretagna

Passano almeno 2 ore al giorno sui social media, dove vanno soprattutto per postare i loro pezzi. E per dialogare con i lettori. In appena un anno è cambiato il modo in cui i giornalisti usano Twitter e Facebook

DIGITAL FIRST Forse per i giornalisti passare le giornate su Twitter, Facebook e altri social media è il modo più diretto per essere “digital first”, termine molto usato in questi giorni in Italia.

Ma perché si va sui social e cosa si fa?

SONDAGGIO In Italia mancano indagini esaustive. Invece un pezzo uscito sul sito di Wan Ifra (l’associazione mondiale degli editori di giornali e news media) dà un quadro abbastanza completo di quel che accade in Gran Bretagna. Lo fa riprendendo una recente indagine online di Cision e Canterbury Christ Church University, cui hanno partecipato 589 giornalisti.

CI VANNO TUTTI Il 96% dei giornalisti britannici usa ogni giorno i social media come strumento professionale. Il più popolare è Twitter, ormai imprescindibile per chi lavora in quotidiani, periodici, televisione. Insomma, solo 4 giornalisti su 100 non sono sui social.

Il 63% passa su questi siti almeno 2 ore al giorno. Il 22% più di 4 ore. Rispetto al passato è aumentata la frequenza e il numero di siti visitati.

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Il Racconto Multimediale del Datagate (E Altro Storytelling Digitale)

Quattro esempi di racconto multimediale. Recenti. Proposti da giornali di carta: The Guardian, The New York Times, L’Equipe, il norvegese Aftenposten. Ripresi dal blog di Mario Garcia, designer di quotidiani, periodici, media. La nuova frontiera del racconto giornalistico. Con tecniche che tutti devono conoscere

STRETTA ATTUALITÀ Il primo novembre è stato pubblicato dal Guardian, quotidiano inglese con diffusione e rilevanza planetaria (il superamento dei confini nazionali è uno dei fenomeni resi possibili dal digitale), un racconto multimediale dello scandalo Datagate (Snowden/Nsa). Straordinario. Nelle interviste video le persone sono “scontornate” e iniziano a parlare non appena il lettore, facendo scroll sul racconto, arriva al punto. Ci sono documenti da sfogliare come se fossero fascicoli che ti vengono messi in mano. Grafiche sofisticate, animazioni. Giornalismo orientato a spiegare, passo a passo, una vicenda di spionaggio di massa che ha implicazioni sulla privacy di ciascuno di noi.

SUCCESSO NEL WEB  Il quotidiano norvegese Aftenposten ha pubblicato il 2 novembre un racconto multimediale, Hooked on Yoga, di grande successo nel Paese: la quarta “notizia” più letta, la più condivisa nel giorno dell’uscita. È la storia di un ex tossicodipendente tornato a una vita normale grazie allo yoga. Un esempio seguito da un gruppo di persone, tutte con la stessa dipendenza. Tre giorni per girarlo, tre per scriverlo, cinque per documentarsi, cinque per fare il montaggio e l’editing video.

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Tecniche di Giornalismo Digitale del New York Times: “The Russia Left Behind”

Il Punto: una grande lezione di giornalismo multimediale del New York Times. Che ha raccontato un viaggio nella Russia dimenticata, quella rimasta indietro nello sviluppo economico, spazzata via dal fenomeno dell’inurbamento delle campagne. Un reportage che utilizza in modo suggestivo, e magistrale, testo scritto, fotografia, video, interviste filmate, grafica. Una lezione da studiare punto per punto. Come a scuola di storytelling digitale

REPORTAGE MULTIMEDIALE Il 13 ottobre il New York Times ha pubblicato The Russia Left Behind, racconto della giornalista Ellen Barry di un viaggio in treno da San Pietroburgo a Mosca (durata: 12 ore), attraverso le campagne e i piccoli centri dimenticati. Villaggi diventati invivibili per il passaggio delle nuove vie di collegamento tra metropoli, paesi che si spopolano per la fuga della gente verso la capitale, tracce di una Russia del passato, tra monasteri ortodossi, icone e vita ai margini delle foreste.

È un esercizio giornalistico d’avanguardia che si inserisce nella scia del racconto multimediale del NYT pubblicato un anno fa, quel Snow Fall, premiato con il Pulitzer, che ha aperto la strada a nuove possibilità narrative nel giornalismo della transizione al digitale.

Il nuovo racconto offre spunti su due versanti. Quello dello sviluppo industriale ed economico dei giornali. E quello più strettamente giornalistico: le tecniche narrative, che a me interessano di più.

EVOLUZIONE DEL PRODOTTO Il primo punto è presto spiegato: a un pubblico di lettori che non chiede multimedialità a ogni costo, trovando più facile leggere articoli tradizionali anche nel digitale, bisogna però offrire alcuni prodotti “fuori serie” che appaghino la sete di novità rese possibili dal digitale. L’arricchimento multimediale, costoso per le redazioni in termini di tempo e di denaro, è comprensibile nel caso di Snow Fall e The Russia Left Behind, su cui gli utenti sono disposti a spendere più tempo. Nel secondo, c’è un’economia di mezzi che fa dire: è un passo avanti rispetto a Snow Fall.

TECNICHE NARRATIVE Il secondo punto riguarda invece la sete dei giornalisti di raccontare in modo nuovo, moderno, potenziato le proprie storie. L’ultimo reportage del NYT è istruttivo. La storia viene prima della scelta dei mezzi con cui costruirla. E il racconto parla a tutti i sensi.

COSA COPIARE Segnalo: 1) filmati brevi massimo di un minuto, centrati su interviste o scene d’ambiente, con pochi movimenti, quasi niente zoom, alta standardizzazione nel montaggio secondo la scuola anglosassone, audio perfetto sia nelle parole degli intervistati sia nel cogliere il suono d’ambiente, che aiuta a coinvolgere nel racconto. 2) Utilizzo di bellissime fotografie, in photo gallery di pochi scatti, facili da caricare, dimensioni a tutta pagina. 3) Si fa ricorso a una tecnica molto di moda che consiste nell’inserire nei video alcuni scatti fotografici: danno corpo al racconto, fissano protagonisti e situazioni. 4) Una grafica essenziale, che esalta le foto e gli snodi del racconto. 5) L’articolo è ben scandito, diviso in paragrafi brevi. Tutto è misurato: paragrafi scritti, video di pochi secondi, poche immagini ma valorizzate. Il segreto è questo?

 

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Il Profilo dei Giornalisti e degli Editori Digitali (Non Solo Corriere della Sera)

Come trasformare gli editori della carta stampata in editori digitali? Come cambiare mentalità, cultura, modo d’agire? E come cambiare mentalità, cultura, modi d’agire (e di lavorare) dei giornalisti? Sono domande d’attualità in tutto il mondo. Non solo al Corriere della Sera

FISCHIO D’INIZIO Curioso come in tutto il mondo ci si stia ponendo le stesse domande, nello stesso momento, su come devono cambiare i giornali. Lo penso leggendo le notizie sullo scambio di punti di vista al Corriere della Sera, un confronto avviato dal direttore del giornale. Paradigmatico. È come un programma in prima serata tv: lo seguono tutti.

Ma questo confronto sta avvenendo ovunque. E ne parla ampiamente anche il sito degli editori di quotidiani e news, quel Wan Ifra che ha appena tenuto a Berlino una serie di incontri su come cambia il lavoro di chi fa i giornali.

CHI È UN GIORNALISTA DIGITALE Giorni fa riportavo i consigli di Mario Garcia, geniale designer di media, su come accompagnare i giornalisti delle redazioni dal lavoro nel cartaceo a quello su più piattaforme. Ieri il prof della Columbia ha scritto un altro post che torna sull’argomento. Tutti sono alla ricerca di giornalisti digitali. Ma chi sono?Cosa sanno fare? Giornalista digitale, sostiene Garcia, è uno che sa cos’è il buon giornalismo, sa come le storie “girano” oggi (partono dagli smartphone), usa senza pregiudizi e con le dovute precauzioni quel che gli passano i lettori. E conclude così sui cambiamenti in arrivo:

I believe that the next five years are going to be transitional years in most newsrooms globally, a time in which traditional editors either embrace digital, or else.  It will be a good opportunity for newsroom managers to discover native digital talent among staffers already in the newsroom.
It will all begin with changing job descriptions, updating the profiles for storytellers and realizing that digital first begins long before a story is even conceived.

Credo che i prossimi cinque anni saranno anni di transizione nella maggior parte delle redazioni, un tempo in cui gli editori della tradizione abbracceranno il digitale. Sarà una buona occasione per scoprire i talenti digitali nativi presenti negli staff già al lavoro. Tutto inizierà cambiando i profili richiesti, aggiornandoli quando riguardano gli storyteller e comprendendo che l’approccio “digital first” inizia prima ancora che la storia sia concepita.

Ma ci sono altre considerazioni, riportate in un articolo di Wan Ifra (in link alla fine di questo post). Rivolte agli editori. Dicono come deve essere condotta la transizione al digitale. Parole d’ordine controverse, in qualche passaggio. Eccone alcune, in tutta la loro nettezza. (Traduzione frettolosa, so sorry).

  • Show don’t tell: show transformation by doing things, not talking about what you might do. Track projects’ success and show results (Dai l’esempio, non predicare: mostra come deve avvenire la transizione facendo cose, non sprecando tempo in spiegazioni su quel che bisognerebbe fare…).
  • Show quick results early: start change projects by picking easy issues that can be quickly solved instead of starting with a huge project (Metti in luce i piccoli passi avanti: anziché covare grandi progetti di cambiamento, mostra come si possono affrontare con successo alcuni aspetti).
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The Turning Point/ Consigli per la Riconversione Digitale dei Giornalisti

Il punto di svolta. Dal Financial Times al Corriere della Sera, il mondo del giornalismo è al Turning Point. Ai redattori si chiede di diventare giornalisti digitali. Il compito principale è lavorare su articoli e racconti che possano essere diffusi su tutte le piattaforme, non solo sulla carta. Ma come convertire le redazioni ai nuovi media?

RICONVERSIONE POSSIBILE Consigli pratici e di metodo vengono dati nel blog di Mario Garcia, uno dei più noti esperti di grafica giornalistica e media. Sono elencati in un post in cui si riferiscono le novità emerse alla Expo dell’industria giornalistica a Berlino, evento organizzato da Wan Ifra (è l’associazione mondiale dei quotidiani e media), evento puntualmente coperto da Futuro dei Periodici.

A Garcia hanno chiesto come deve avvenire la riconversione digitale. Lui risponde che:

«È più facile imparare a usare le nuove tecnologie che cambiare gli abiti mentali. Ma si tratta di obiettivi che si possono raggiungere. Senza ombra di dubbio (“it’s definitely something that can be accomplished”)». Con buona pace di quella fazione radicale che nel giornalismo italiano ha teorizzato, chissà perché, che questa operazione è impossibile.
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«L’Huffington Post svaluta il giornalismo»? – Novità dal World Publishing Expo di Berlino

Il peso crescente del mobile nel giornalismo. I nuovi prodotti pubblicitari per rendere remunerativi i media digitali. La perdita di prestigio della carta stampata. La frustrazione di chi scrive. Le idee geniali nell’e-commerce. La fame di video degli utenti. Sono frasi, notizie, analisi, provocazioni dall’Expo di Wan Ifra

L’organizzazione degli editori di quotidiani e media tiene in questi giorni a Berlino una serie di incontri in cui i principali editori europei e del Nord America si scambiano idee, risultati, e offrono spunti per costruire il giornalismo dei prossimi anni. Ecco, nelle parole dei protagonisti, le frasi più stimolanti.

Mathias Döpfner, Ceo di Axel Springer, gigante dell’editoria tedesca ed europea.

CRITICA ALLO HUFFINGTON «Credo nel mobile come strumento essenziale per leggere le notizie. Ma c’è una divaricazione di interessi. I lettori preferiscono leggere le news sullo smartphone. Invece i pubblicitari amano il tablet, perché lo schermo più grande valorizza il messaggio pubblicitario».

L’Huffington Post che sbarca in Germania? Svaluta il giornalismo (“devalues journalism”). “Quando faranno pagare i lettori per i contenuti e daranno un compenso ai giornalisti che li scrivono, saremo in un mondo migliore». (Ma, almeno in Italia, Huffington Post non è niente male”).
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In Francia Aumentano i Lettori di Giornali

In Francia i giornali conservano il loro pubblico. Grazie a tablet e smartphone, che compensano il calo dei lettori della carta. A conferma che gli editori devono puntare su più canali. E alla difesa del brand

AUMENTANO I LETTORI Già, la Francia. Ma questa osservazione è stata fatta, su questo blog, a proposito del mercato americano e australiano. Si vendono meno copie dei giornali ma rimane stabile, o aumenta, il numero dei lettori. Insomma, il nome del giornale, il brand, rimane forte. Una buona premessa per il futuro. A differenza di quanto è avvenuto in Italia nei primi 6 mesi del 2013, quando abbiamo assistito a un forte calo delle copie e dei lettori (una tendenza che forse si sta invertendo).
Vediamo la notizia di questi giorni. E’ riportata da Le Monde. In un anno i lettori di giornali su mobile (tablet e smartphone, fondamentalmente) sono aumentati del 24% tra luglio 2012 e giugno 2013 (rispetto allo stesso periodo dell’anno prima). Lo dice Audipresse One (sondaggio su oltre 35 mila lettori). Di conseguenza i lettori dei giornali sono aumentati complessivamente dello 0,4%, sommando stampa e digitale.
MULTIREADING Il digitale ha tenuto stabile il lettorato. Anche se si assiste al fenomeno del multireading: il 54% di coloro che leggono su tablet, guardano anche i giornali di carta.
Si sottolinea la forza del mobile. Il numero di lettori su tavoletta è cresciuto in un anno di 2,5 volte. Circa 8,6 milioni di persone sono “attrezzate”: possiedono o si fanno prestare la tavoletta. Mentre i lettori su sito web sono cresciuti di appena il 3%.
DIFFUSIONI IN FRANCIA Bisogna però aggiungere che in Francia i periodici hanno perso in un anno solo lo 0,6% delle copie vendute. E dei lettori che pagano per leggere la copia in loro possesso (mentre i lettori di cui parlavamo sopra includono anche coloro che si fanno prestare il giornale o lo leggono gratis su internet).
lemonde
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Quando un Giornale Passa al Digitale – Su Newsweek e Lloyd’s List

Lo dice anche The Guardian che quando un giornale lascia la carta per andare avanti solo nel digitale non è un segnale né positivo né negativo, di per sé

Ieri abbiamo visto che Lloyd’s List, il più antico giornale pubblicato nel mondo, abbandona l’edizione cartacea perché ha avuto successo nel digitale.

Ma Newsweek ha fatto la stessa mossa per disperazione: in edicola non va più.

Mi conforta vedere che le considerazioni fatta con molta cautela su un blog amatoriale come questo trovano conferma nelle parole di chi ha esperienza. Non sbaglio di molto.

Chiudo riprendendo una frase da veggente di Jeff Bezos, patron di Amazon che ha comprato quest’estate il Washington Post: i giornali di carta continueranno a vivere per decenni. Moriranno prima i siti web dei giornali.

The Guardian: successi e fallimenti dei giornali che passano al digitale.
The Guardian, logo

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Perché il Giornale Più Antico del Mondo Abbandona la Carta

Lloyd’d List, quotidiano marittimo con notizie sull’industria delle spedizioni, lascia la carta. Prosegue le pubblicazioni solo in versione digitale. E’ il giornale che da più tempo esce senza interruzioni: il primo numero è apparso a Londra nel 1734

PERCHÉ Lloyd’s List lascia la carta perché ha successo. Abbandona l’edizione tradizionale perché questa viene sfogliata da appena il 2% dei lettori. Gli altri utenti accedono alle informazioni quotidiane, aggiornate 24 ore su 24, attraverso internet e le piattaforme digitali.

DI COSA PARLA  Lloyd’s List, come potete leggere dal link diretto al comunicato del giornale alla fine di questo post, era nato come un bollettino affisso alle pareti di un coffe shop londinese. Contiene da sempre informazioni preziose per chi fa affari con la marina commerciale e nel mondo delle spedizioni. Le notizie del giornale possono condizionare decisioni importanti, contratti da siglare, Paesi verso cui indirizzare investimenti, praticabilità politica. Il giornalismo è nato così. Con la Borsa e Voltaire.

SUCCESSO DIGITALE Ma l’addio alla carta non è una battuta d’arresto. Da tempo la società sta investendo nel digitale. E questa pubblicazione di nicchia e specializzata, con oltre 16.000 abbonati in tutto il mondo, non si è sentita insidiata dalla copiosa offerta di informazione gratuita disponibile su internet.

In an online market littered with unreliable reports, unverified statements and unquestioned gossip, Lloyd’s List has committed itself to highest standards of journalistic integrity and accuracy.

In un mercato online inondato da notizie inaffidabili, affermazioni non verificate e gossip senza limiti, Lloyd’s List s’impegna a garantire i più alti standard d’integrità e accuratezza giornalistica.

lloyds list

 

L’ADDIO L’ultima copia del Lloyd’s List uscirà il 20 dicembre 2013, dopo quasi 289 anni di pubblicazioni senza interruzioni.

Telegraph: Lloyd’s List abbandona la carta.

Lloyd’s List: perché il giornale si affida solo al digitale.

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The Media Quartet – Se ha Senso Parlare di Passaggio al Digitale

The Media Quartet. Il quartetto di media. Quattro media: carta stampata, sito web, tablet e smartphone.
Perché non c’è più quell’idea, che ci ha ossessionati a lungo, in base alla quale ci si deve immaginare l’immediato futuro (dei giornali) come un passaggio al digitale. Passaggio, l’attraversamento di un fiume, lasci un tutto alle spalle.
No. Fino a dove arriva lo sguardo, la carta c’è. E la cosa cui dobbiamo saggiamente pensare è la compresenza di quattro media in uno, il Media Quartet. Pensare al quattro, ideare, realizzare, distribuire, sostenere, tutto moltiplicato per quattro.
Questa espressione, “The Media Quartet”, l’ho trovata in questa recentissima intervista a Mario Garcia, famosissimo designer statunitense (ma di origini cubane) di giornali (molti anche italiani) e docente di giornalismo alla Columbia University di New York.
Dice che i media sono quattro. Esploriamo le potenzialità di ciascun mezzo. Sviluppiamo il racconto giornalistico secondo le regole di ciascuna piattaforma. Come fare? E quanto rapidamente? Sono queste le domande che ci devono ossessionare, secondo Garcia. Il Come, non il Se.
Eh, i Quartetti di Thomas Stearns Eliot:

In my beginning is my end. In succession Houses rise and fall, crumble, are extended, Are removed, destroyed, restored (…)

WAN IFRA
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La pubblicità nel digitale: capire come cambia il rapporto con i giornali

Il mondo della pubblicità è stato rivoluzionato dal digitale. E vive una crisi paragonabile a quella della stampa. Un argomento di importanza vitale anche per i giornalisti. Che ne parlano come mai prima.

INTERESSA AI GIORNALISTI Molti dei siti giornalistici americani che riprendo in questo blog parlano di com’è cambiata la pubblicità nel digitale. Con la crisi, chi lavora in quotidiani e periodici, radio e tv, ha capito la centralità dei guadagni da pubblicità per la sostenibilità dell’attività giornalistica. Sappiamo che se l’informazione non troverà un nuovo equilibrio economico, il suo spazio si ridurrà di molto in un futuro vicino.

Da mesi sto cercando di capire come funziona la pubblicità nel digitale. Non sono un esperto dell’argomento, per niente. Ma ho provato a orizzontarmi.
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L’addio di Tina Brown – E dell’epoca d’oro dei magazine?

Tina Brown, 60 anni, inglese, una delle primedonne del giornalismo americano, storico direttore di New Yorker e Vanity, discussa (e odiata per il protagonismo. Ma anche a causa del maschilismo dell’ambiente giornalistico), lascia il Daily Beast. È lo spunto per riflettere sul destino dei periodici.

TINA BROWN, ADDIO Se ne parla su paidContent, lo fa Mathew Ingram, il quale trasforma la notizia dell’addio di Tina Brown a The Daily Beast (società e sito giornalistico digitale, che ha appena venduto Newsweek) in una riflessione sulla fine di un certo stile di direzione nei giornali. E sul declino di un certo mondo, quello dei periodici patinati.

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Riptide, il grande racconto dei cambiamenti del giornalismo dal 1980 a oggi – Opera multimediale di Nieman Lab

Uno straordinario racconto multimediale con 60 interviste raccolte dal Nieman Journalism Lab dell’università di Harvard. Si intitola Riptide: è l’epica delle grandi trasformazioni provocate dalla diffusione delle tecnologie digitali dal 1980 ai giorni nostri. Parlano i vertici di Google, Aol, Twitter, Wpp, Washington Post, New York Times, Forbes, Cnn.

CAMBIAMENTO EPOCALE Riptide in inglese significa vortice d’acqua, è il punto di scontro tra maree e correnti con direzioni diverse, un fenomeno della natura drammatico e terribile. È quello che sta accadendo al mondo dei media. Questo progetto di racconto corale e multimediale mette insieme le voci dei protagonisti, positivi e negativi, vittoriosi e forse sconfitti, di questa trasformazione epocale. Iniziata nel 1980 con la diffusione del computer nel mondo dei media. Questa straordinaria impresa narrativa, di cui tutti sentivamo il bisogno, magari non consapevole, è stata portata avanti dal Joan Shorenstein Center on The Press Politics And Public Policy e dal Nieman Journalism Lab dell’università di Harvard.

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Se il digitale inizia a (ri)pagare – Lo scenario dei media secondo l’Economist

Da più parti ripreso l’articolo dell’Economist «Counting the Change», «Misurando il cambiamento».

Descrive le trasformazioni subite dai media e dall’industria dell’intrattenimento nel passaggio al digitale. Riguarda i giornali, i libri, il cinema, la musica, la televisione.

Aiuta a comprendere che i cambiamenti della stampa s’inseriscono in un quadro più grande. E avere presente il contesto serve, come sempre, a dare un senso alle cose. A non smarrirci. A non subire a occhi chiusi gli eventi e, dunque, ad avere meno paura.

L’articolo è un fermo immagine, perché la trasformazione è così radicale che è difficile dire quale direzione, velocità, impeto prenderà anche solo tra pochi mesi.

Mi sembra un buon riferimento per la seconda metà del 2013. E il settimanale economico-finanziario britannico pone la questione che, giudicando dal mio piccolo punto di vista, può guidarmi negli avvenimenti, notizie, problemi dei prossimi mesi.

Ma per creare la cornice bisogna lavorare per sottrazione. Dobbiamo ridurre, sfrondare, eliminare, fare a meno di tanti, troppi numeri, dati, termini tecnici, gergo economico, manageriale, da esperti. (Esperti che in questo blog non sono presenti, non scrivono, non intervengono).

Dunque l’Economist prova a dirci dove siamo arrivati.

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Grandi editori al bivio: su Axel Springer che vende i quotidiani regionali e alcuni periodici

Axel Springer, colosso tedesco della carta stampata, primo editore europeo a sviluppare con successo il digitale, ha deciso di vendere i propri quotidiani regionali e alcune riviste, tra cui marchi storici.

Axel Springer, editore del più venduto tabloid europeo (quotidiano popolare) Bild e del conservatore Die Welt, ha annunciato la cessione della propria rete di quotidiani locali e di alcuni periodici a Funke Mediengruppe per 920 milioni di euro. Tra le riviste cedute, il settimanale televisivo, una guida, Hoerzu, prima testata del gruppo Springer, nata alla fine del secondo conflitto mondiale.

La decisione è motivata dalla volontà dell’editore di concentrarsi sullo sviluppo digitale delle testate più forti, i power brand del gruppo, in particolare il sito del tabloid, Bild Online.

Alcune dichiarazioni:

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Le montagne russe dei settimanali – Dati di vendita maggio 2013

Provo a fare qualche minima osservazione sui dati Ads, usciti lunedì, che dicono quante copie vendono i quotidiani e i periodici italiani. I settimanali mostrano finalmente qualche segno positivo dopo molti mesi di risultati deludenti, una conferma di quanto si era iniziato a vedere in giugno. C’è movimento anche nelle copie digitali. Ma il confronto con un anno fa fotografa la gravità della crisi dell’editoria.

Naturalmente non parlerò dei quotidiani e delle 75 mila copie digitali del Sole 24 Ore, le 61 mila del Corriere della Sera, 49 mila di La Repubblica.

Mi concentro sui settimanali.

Prendiamo i dati di vendita in edicola di maggio e confrontiamoli con aprile 2013.
Ci sono alcuni interessanti segnali di risveglio. Chi vende il 5,9 % in più, Diva e Donna fa +13,9%, Donna Moderna +10%, F +26,1%, Grazia +30,1%, Oggi +5,4%.

Invece il confronto maggio 2013 con maggio 2012 fa accapponare la pelle.
Espresso perde il 70%, il Mondo il 68%, Oggi il 39%, Panorama il 57%, Di Più Tv il 56%, perfino Vanity Fair, da un decennio gallina dalle uova d’oro, cala del 39,8%: segno che non si poteva proprio fare di meglio?

Nel digitale vedo che, mese su mese, alcune testate registrano forti incrementi.

Primaonline: dati vendita maggio 2013.

Primaonline

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11 notizie su come è cambiato il giornalismo

Ho letto a fondo il Digital News Report 2013 del Reuters Institute, importante rapporto su come cambia il consumo di notizie  nell’era del digitale. Computer, smartphone, tablet e carta stampata messi a confronto in un’indagine condotta in Europa, Stati Uniti, Brasile, Giappone. Viene fuori anche una descrizione dell’Italia come Paese votato alla dimensione social della comunicazione.

Non ho chiuso bottega, come temeva un amico che mi ha scritto ieri. Anzi, approfittando di qualche giorno di maggiore tranquillità estiva ho trovato utile rileggere uno degli studi sul giornalismo più interessanti e approfonditi della prima parte del 2013. Fare la sintesi di qualcosa che un lettore non ha il tempo di andarsi a vedere: ecco un compito del giornalista che non sarà mai superato. Vale anche per un blogger a tempo perso.

Il Rapporto sulle news digitali del Reuters Insitute risponde ad alcune domande che tutti i giornalisti si fanno.

1) Quando si pensa al modo in cui consumiamo informazione, dobbiamo ricordare che esistono ancora grandi differenze tra Paese e Paese: la cultura nazionale, il reddito, la composizione sociale, le infrastrutture della comunicazione, la politica e la legislazione creano paesaggi diversissimi. Se ne deve ricordare anche un blogger quando è tentato di vedere in una tendenza locale un fatto globale.

2) La carta stampata sta morendo e sarà sostituita dalla distribuzione digitale? La fruizione delle notizie giornalistiche è sempre più multipiattaforma: non c’è il lettore di carta stampata o del digitale. E il 33% dei lettori che legge news digitali utilizza 2 device (es. computer e smartphone), altri (il 9%) ne usano tre (il tablet si aggiunge ai primi due).

3) Il tablet è una novità dirompente nel mondo del giornalismo o solo uno dei tanti strumenti per leggere notizie? Il numero di coloro che usano il tablet per cercare e leggere notizie è raddoppiato nel giro di dieci mesi in molti dei Paesi europei passati al setaccio dal Reuters Institute. In Danimarca siamo al 25% dei lettori complessivi.

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Cresce la pubblicità nelle edizioni dei giornali per iPad – (E il mal di web degli inserzionisti italiani)

Cresce del 24% la raccolta di pubblicità nelle edizioni per iPad delle riviste statunitensi. Non è una notizia per esperti ma un piccolo segnale sui cambiamenti in atto nell’editoria e nella comunicazione delle aziende. Perché, senza questa fonte di ricavo, le inserzioni, il destino della maggior parte dei magazine è segnato.

Si dice che fare un’edizione per iPad (o tablet) del giornale è costoso: vero. Si dice che la pubblicità non se la sente di investire soldi in annunci multimediali: vero.

Ma ieri ho letto nel sito della rivista americana Adage questa notizia che ha il sapore della annotazione cronachistica che rivela un movimento lento ma profondo degli eventi.
Negli Stati Uniti la raccolta pubblicitaria sulle edizioni per iPad delle riviste è in crescita. Una crescita sensibile, significativa, dal punto di vista di chi scruta l’orizzonte in attesa del refolo di vento che rimetta in moto la navigazione dell’editoria in crisi.
Nel primo trimestre del 2013 il numero totale di inserzioni pubblicitarie sulle edizioni per iPad dei magazine americani ha visto una crescita del 23,6% rispetto al 2012 (secondo quanto riferisce un report di Kantar Media e del Publisher Information Bureau). Il rapporto fa il monitoraggio di 58 riviste. Vien fuori che le pagine di pubblicità sulle edizioni cartacee delle stesse sono state, nel periodo di cui si diceva, 10.707: più o meno come nel 2012. Ma le pagine sull’edizione per iPad sono passate da 4.824 a 5.961. Sommando carta e digitale, la crescita è del 7,5%.

Nell’articolo si rivela (curiosità!) il prezzo di una pagina di pubblicità su Bloomberg Businessweek (85 mila dollari nell’edizione per iPad, 161 mila in quella di carta). E c’è la conferma che il mondo delle aziende è al bivio riguardo alla possibilità di investire in comunicazione multimediale, “arricchita”, sulle edizioni digitali delle riviste.

One impediment for iPad ads is cost. There are more production costs required for interactivity, and some publishers, including Condé Nast and Meredith, have charged advertisers for interactive elements.

Un ostacolo sull’iPad sono i costi. Ci sono costi di produzione maggiori dovuti all’interattività e alcuni editori, inclusi Condé Nast e Meredith, hanno scaricato sugli inserzionisti il prezzo degli elementi interattivi.

Tutto questo mi ricorda un pezzo su la Lettura, inserto domenicale di cultura del Corriere della Sera, in cui si raccontava dell’immobilismo e dei profondi cambiamenti di mentalità nel mondo della comunicazione pubblicitaria in Italia. Non dipende solo dagli editori se i giornali non fanno investimenti e sperimentazione! Anche la pubblicità è ferma. L’intero sistema è in stand-by, si è spettatori, si tagliano i costi, manca la convinzione di poter investire in modo sensato. In Italia. Negli Usa, invece…

Adage: cresce la pubblicità nelle edizioni per iPad dei giornali.

Advertising Age

Rivista sul mondo della pubblicità negli Stati Uniti.

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Il futuro digitale dei newsmagazine (e delle notizie a pagamento) – Reuters Institute Digital News Report 2013

Lettura consigliata a chi segue lo sviluppo dell’informazione giornalistica nel digitale: il Rapporto Digital News 2013 del Reuters Institute. Cito solo una parte dello studio, quella in cui si fa riferimento al futuro dei periodici che si occupano di public affairs, i cosiddetti newsmagazine, tipo l’Espresso, per intenderci. E le considerazioni sulla propensione degli utenti a pagare per il consumo di notizie sulle nuove piattaforme, alternative alla carta stampata.

Il capitolo che a me interessa di più del corposo Digital News Report 2013 del Reuters Institute s’intitola: The Bottom Line: Do and will Consumers Pay for Digital News? Fatturati: quanto i consumatori sono o saranno disposti a pagare per le news digitali?

C’è questa frase, dell’autore del capitolo, Robert G. Picard, direttore della ricerca al Reuters Institute:

Public-affairs magazines are also finding it easier to get the public to pay than newspapers, especially on tablets, because digital payments for magazines are becoming the norm and they offer news analysis and commentary in ways general news sources do not.

I newsmagazine stanno trovando più facile dei quotidiani farsi pagare dai lettori, soprattutto sul tablet, perché il pagamento digitale sta diventando la norma per i periodici, i quali offrono analisi e commento delle notizie in modi che le fonti di general news non praticano.

Una considerazione che definirei controintuitiva, viste le cose deprimenti scritte a proposito di Newsweek, il newsmagazine che a dicembre 2012 ha lasciato le edicole e che nelle ultime settimane è stato messo in vendita dopo i risultati poco incoraggianti nella dimensione solo digitale. Ma previsioni poco promettenti incombono anche sulla strada di Time.

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Cronache dal mondo fluttuante: Banzai, e-commerce e futuro dei giornali

Il nome della società è Banzai: sono quelli di alcuni popolari siti web come Giornalettismo, Giallo Zafferano, Liquida, Soldionline. Partono all’attacco di Amazon. Puntano sull’e-commerce, la vendita di prodotti online, con cui si stanno affermando. Si sono allargati ora a giocattoli, elettrodomestici, casalinghi, tempo libero. E mettono insieme vendita al dettaglio e contenuti editoriali.

Se ieri il mio post quotidiano descriveva lo stato di crisi dei giornali, e la difficoltà di far tornare i conti delle case editrici, con l’emorragia di copie vendute e pubblicità della carta stampata, il pensiero oggi va al futuro dei periodici. E alla strada considerata da molti come l’unica che, al momento, possa ridare fiato e prospettiva alle società che pubblicano giornali.

Riprendo un articolo del Corriere della Sera (lo trovate in link alla fine di questo post) per mettere in luce la relazione tra commercio elettronico ed editoria.

Si parla di Banzai, la società digitale, attiva nel commercio elettronico, che ha acquistato tre dei principali siti di e-commerce italiani: MisterPrice, ePlaza, Bow. Rafforzando la leadership nelle vendite online. Banzai, infatti, porterà da 130 a 170 milioni di euro il giro d’affari per quest’anno, con l’obiettivo di arrivare a 200 milioni. Una frazione, è vero, del commercio elettronico in Italia, che ha un fatturato di 9,5 miliardi di euro. Paolo Ainio, Matteo Arpe, sono i nomi di Banzai, dicono molto a chi legge di queste cose, se non li conoscete date un’occhiata all’articolo del Corriere.

Ma il punto vero da sottolineare è che Banzai vuole fare la guerra ad Amazon.

Faccio tre considerazioni. La prima è che Amazon vende articoli di ogni tipo, esposti all’interno di un’unica vetrina, mentre Banzai vuole creare contenitori specifici per ciascuna categoria merceologica: elettonica, casa, giocattoli. Insomma, si punta sui siti verticali per sconfiggere l’avversario generalista. E io noto che generaliste sono molte delle testate giornalistiche italiane. Ma questa è solo una suggestione.

La seconda sottolineatura riguarda i gusti degli italiani: la fetta maggiore dell’e-commerce è locale. Vuol dire che la gente compra solo da siti nazionali, non dai portali internazionali.

La terza osservazione riguarda la natura doppia di Banzai: c’è Banzai negozio on line, c’è Banzai editore. Quello, appunto, di Liquida, Giallo Zafferano, Giornalettismo.

Ecco il pensiero. Gli editori di periodici dovrebbero prendere maggiormente in considerazione il commercio online come sostituto della pubblicità, la quale, nella dimensione digitale, vale molto poco e non può aspirare a compensare le perdite subite dagli editori nella carta stampata. In altre parole, gli editori di giornali non possono pensare di ricreare nel digitale quel mix di ricavi da copie vendute e pubblicità che ha tenuto in piedi per decenni le testate in edicola. L’unica strada vera è l’e-commerce, per volumi di scambio e ricavi. Ma in Italia siamo in ritardo. L’esempio di Axel Springer o Burda, editori tedeschi che stanno affrontando in modo promettente la transizione dei giornali al digitale, non è stata replicata. Sorge allora un dubbio. Società come Banzai soppianteranno un giorno gli editori tradizionali? Non ci vuol molto denaro per comprare brand giornalistici storici. Soprattutto se si fa e-commerce con successo.

Corriere.it: Banzai sfida Amazon.

Corriere della Sera

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Negli Stati Uniti aumentano i lettori dei periodici – Dati sulla readership primavera 2013

Negli Stati Uniti sale il numero dei lettori, l’audience dei periodici, al contrario dell’Italia, dove il lettorato dei periodici è in discesa. Vi chiedo di dare un’occhiata ai numeri ma anche al tipo di testate che ottengono le performance migliori. Incluse quelle che vendono di più in ambito digitale (tra cui Tv Guide).

Il Survey of the American Consumer di GfK MRI dice che l’audience complessiva dei periodici statunitensi è cresciuta in un anno del 3%, raggiungendo 1,2 miliardi di lettori. Ricordo che questo numero somma i lettori di tutte le riviste, sia quelli che acquistano o ricevono in abbonamento la testata, sia quelli che la trovano in casa, perché comprata dai familiari, o in luoghi pubblici (il barbiere…).

L’articolo di Adweek elenca i titoli a maggiore crescita, tra cui (tenetevi forti) Diabetes Forecast, Yoga Journal, Psychology Today. Tante testate che parlano di cibo, da Food Network Magazine a Eating Well. Ma anche The Atlantic, The Economist, New York magazine e The New Yorker.

Perdono in maniera rilevante i giornali di moda e i maschili (American Hunter, Golf Digest, Maxim).

Nel digitale si osserva che la percentuale è ancora una frazione ridotta delle letture complessive, 1,4% del totale, con crescita annuale dell’83% a 16,9 milioni di lettori. Osservo che tra i più letti in versione digitale c’è Tv Guide, con 705.000 lettori: un buon segno per le guide televisive, giornali che hanno un futuro segnato ma continuano a vendere moltissime copie e dunque sono uno degli assi portanti di qualsiasi editore abbia un titolo in quest’area. La crescita nel digitale indica una strada per queste testate.

La domanda vera, tuttavia, è questa: perché il numero di lettori aumenta e le copie vendute in edicola calano vertiginosamente? E per quale ragione si calcola la readership? Al primo quesito è arduo rispondere. Mentre il secondo mi fa venire la voglia di dire che gli editori raccolgono stime sulla audience complessiva per dimostrare che i loro giornali sono ancora efficaci a livello pubblicitario (per approfondire, guardate qui: http://www.consterdine.com/articlefiles/42/HMAW5.pdf): nonostante la crisi, continuano a raggiungere fasce larghe di popolazione.

Adweek: l’audience dei periodici statunitensi. 

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Intervallo: 7 infografiche sui trend di Internet

7 infografiche. Riassumono le tendenze di Internet nel 2013. Fanno capire cosa sia il mondo digitale. Parlano di privacy, contenuti online, comportamenti. Su pc e smartphone.

Spudoratamente riprendo alcune chart sui trend di Internet pubblicate da The Atlantic, il newsmagazine mensile, messe a punto da Mary Meeker, general partner di Kpcb.

Mi hanno aiutato a capire, con un colpo d’occhio, cosa sia oggi il mondo digitale.

1) Il tempo speso sui media e la pubblicità raccolta su ciascuno.

Qui bisogna osservare che sulla carta stampata si spende relativamente poco tempo, il 6%, rispetto agli altri media. Ma la raccolta di pubblicità su questo mezzo è enormemente più elevata, il 23%. Riprendendo, in forma interrogativa, una frase del “boss” di WPP (colosso della pubblicità): la stampa è sopravvalutata come veicolo promozionale? Se così fosse, quali altri smottamenti avverranno nei prossimi anni a vantaggio di tv, Internet, mobile?

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Apriresti un sito di e-commerce del tuo giornale? – L’editore di Men’s Health lancia il negozio online

Rodale, l’editore di Men’s Health, si lancia nell’e-commerce con un sito web di prodotti naturali e molto fashion che portano il marchio della società. Per la prima volta i giornali non fanno da tramite tra venditori e lettori ma propongono una propria selezione, garantita dal brand. Il giornale apre il proprio negozio.

Ci sono l’asciugamano di microfibra per lo yoga, intessuto di strisce di cocco di riciclo, e un paio di jeans fatti con cotone non trattato chimicamente. Tazze di porcellana per noodle realizzate a mano con materiale “sostenibile” e articoli per il fitness, la bellezza, la piscina.

Rodale ha scelto 500 articoli che ritiene coerenti con la propria filosofia improntata al benessere, la salute, la forma fisica, incarnati dalle testate Men’s Health, Women’s Health, Prevention.

 

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Giornali gay a Singapore: digitali per forza

Singapore è una società conservatrice in cui i rapporti tra persone dello stesso sesso possono essere puniti con il carcere fino a due anni. E la stampa è soggetta a un esame governativo per la licenza prima della pubblicazione. Due ragioni che hanno spinto la rivista bimestrale Element, che si occupa di moda, spettacolo, fitness e argomenti di interesse per i lettori omosessuali, al primo numero, a scegliere la strada del digitale. Lo si acquista su Apple Store o Android Marketing (come spiega l’articolo di Atlantic, in link alla fine di questo post). Chiaramente l’host server si trova all’estero, negli Stati Uniti, ma il lettorato è distribuito nei paesi asiatici limitrofi, tra cui la Malesia, dove essere gay può costare la galera per molti anni. Ma anche in Asia, come nel resto del mondo, la comunità gay viene considerata un mercato remunerativo per la pubblicità, non a caso tra gli inserzionisti di Element c’è Paul Smith, e poi catene di hotel di lusso, cibo di qualità, tecnologia, nightlife, viaggi. Inutile dire che a Singapore tutto quel che è digitale ha una grande presa. L’Asia sta superando l’Europa, l’Italia di sicuro.

M’interessa perché: 1) tra i vantaggi del digitale c’è la libertà per le minoranze e la riservatezza (date un’occhiata al precedente post su Playboy); 2) l’Asia sta superando il Vecchio Continente nella conversione al digitale;

The Atlantic: Element, rivista digitale gay di Singapore.

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Write, read, inspire, connect – Gli imperativi del giornalista digitale

Come li traduciamo questi verbi? Scrivi, leggi, stimola, stabilisci una relazione? L’imperativo è rivolto ai giornalisti del digitale, e a quelli dei giornali di carta che, come me, vogliono impadronirsi degli strumenti digitali per creare una relazione moderna con i lettori (utenti/consumatori).

Riprendo allora un passaggio di un’intervista a Troy Young, il direttore digital di Hearst Usa, il primo, nominato la scorsa settimana. C’è la frase con write, read, inspire, connect. Le parole chiave per fare i giornalisti, oggi.

Ma va letta anche la parte sul modo in cui si deve misurare il successo dei contenuti digitali. Nella carta stampata si contano le copie vendute. Nel web, fino a oggi, gli utenti unici. Un sistema superato, dice Troy Young.

Concetto analizzato ieri in un post de ilgiornalaio di Pier Luca Santoro, blog che ha l’inspire nel sangue.

Advertising Age: You mentioned that part of your job is changing the way Hearst builds relationships with consumers online. In that case, what does your hiring mean for readers?

Mr. Young: We’ll be very analytical about what they’re reacting to and what’s engaging them. Like everyone else in the industry, we’ll be looking for new measurements of engagement that go beyond uniques and pageviews. If you’re looking for a measurement of relationship quality, a unique and a pageview doesn’t describe that quality of the reader. That will be a big focus: recalibrating what success means.

Ad Age: Lei ha detto che parte del suo lavoro sarà cambiare il modo in cui Hearst costruisce la relazione con i consumatori online. Quali saranno le novità?

Mr.Young: Misureremo con precisione quel che coinvolge i lettori e li spinge a interagire. Come chiunque nell’industria, cercheremo nuovi modi di misurare il coinvolgimento che vadano oltre gli unique visitor e le pageview. Se cerchi un metro della qualità della relazione, gli unique e le pageview non descrivono il valore di un certo lettore. Questo sarà uno degli impegni principali: ridefinire cosa significa aver successo.

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Ma voi la fareste una versione per iPad delle riviste italiane? – Diffusioni digitali marzo 2013

Poche copie digitali vendute nel marzo 2013 per i periodici italiani. Meno di quel che sembra, se considerate che Io Donna e D – La Repubblica delle donne sono trainate dai quotidiani cui vengono allegate per un piccolo sovrapprezzo. E allora domandiamoci: ma voi la fareste un’edizione per iPad delle riviste italiane? Una versione appositamente disegnata per il tablet, con un’intera redazione grafica dedicata all’impresa? Calcolato a spanne il rapporto tra costo e copie vendute, direi che è meglio lasciar perdere, per il momento.

Questo il link alla tabella sulle diffusioni digitali.

http://www.primaonline.it/wp-content/plugins/Flutter/files_flutter/1368092779Classifica_Ads_sett_marzo13.xls

Prima comunicazione: copie digitali dei periodici italiani nel marzo 2013.
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Cambiare la mentalità dei periodici? – Hearst nomina un presidente dei media digitali

Una notizia tutta americana che illumina un problema anche italiano.
Ieri Hearst Magazines, la divisione dei periodici di Hearst, ha creato una nuova figura dirigenziale, quella del presidente dei media digitali.

Troy Young, 45 anni, sarà responsabile dei brand digitali del gruppo, non di quelli sulla carta. Dunque guiderà Cosmopolitan.com e non il giornale per l’edicola. Elle.com e non il prodotto stampato.

Ma la cosa che può, anzi deve riguardare anche l’Italia, è la ragione che ha spinto Hearst a fare questa scelta.

Il presidente dei magazine ha spiegato che la società aveva bisogno di acquisire la mentalità delle società “pure play”, quelle che, nel gergo di Internet, esistono solo in una dimensione digitale. Come Amazon.

Non solo. Hearst sente la necessità di diventare più veloce nello sviluppo dei progetti, più propensa a prendere dei rischi, più adatta a relazionarsi con gli utenti in tempo reale.

Aveva bisogno del “pulse” del pure play.

Il Punto: come deve cambiare il modo di agire, quanto a velocità e mentalità, degli editori tradizionali.

The New York Times: Hearst nomina un presidente del digitale.

New York Times

New York Times

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L’editore tedesco che ha scoperto come superare la crisi – Primo trimestre 2013 di Axel Springer

Vorrei non fosse un post per esperti. Si snocciolano numeri ma la sostanza regala, a chi sa capire, un pizzico di emozione. Emozione per chi lavora nella carta stampata e teme di essere finito in un vicolo cieco. Invece c’è un editore tedesco di quotidiani e periodici, Axel Springer, che ha trovato la strada per cambiare, trasformarsi, adattarsi al mondo digitale. E crescere, prosperare, aprire il futuro. Forse anche a carta stampata e magazine.

Axel Springer ha presentato i conti dei primi tre mesi del 2013. Chiariamo subito che si tratta di una società più grande, per volume d’affari, di Mondadori, Rcs Mediagroup, Hearst Italia, Condé Nast Italia, Cairo Communication.

Parliamo di un editore internazionale che pubblica in tutta Europa, dalla Germania alla Repubblica Ceca, dalla Francia alla Polonia. Un gigante per dimensioni e attività. Presente da tempo nel digitale con i siti dei propri giornali, radio, tv, con applicazioni, con portali che nulla hanno a che fare con il giornalismo: siti di annunci di lavoro, case, articoli per la caccia e la pesca.

La tendenza che viene fuori in Axel è la crescita strepitosa del digitale, che ormai è la prima area aziendale per fatturati e guadagni. Ma la carta stampata non è in rosso, e anche se continua a veder decrescere i fatturati e le copie vendute, rimane ampiamente remunerativa: guadagna un sacco di soldi. C’è dunque un aggiustamento strutturale, un ridimensionamento, che però non è il cancellamento, la scomparsa. E il digitale non è un mondo alieno rispetto al giornalismo.

Ecco la parte tecnica.

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Quanti italiani usano il tablet? 3 milioni 660 mila – Accesso ai contenuti digitali a marzo 2013

Insieme ai dati sull’audience online a marzo e ai trend dei primi tre mesi 2013, pubblicati da Audiweb, è uscita la tabella che vedete qui sotto: fa vedere come gli italiani accedono a Internet. Cliccate per ingrandire.

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Nel primo trimestre 2013 il 68,2% delle famiglie italiane (14,8 milioni) dichiara di disporre di un accesso a Internet da casa.

Il 71,6% delle famiglie connesse, 10,5 milioni, dichiara di avere una connessione veloce.

A me interessano gli altri dati.

37,8 milioni di italiani dicono di accedere a internet da qualsiasi luogo e device.

Al primo posto c’è il computer di casa. Poi lo smartphone. Poi il computer del lavoro. Segue il computer dal luogo dove si studia. Infine le connessioni con tablet.

Gli italiani che usano Internet attraverso uno smartphone sono 17,9 milioni. Quelli che usano i tablet sono quasi 3 milioni 660 mila.

Il Punto: quante persone possono accedere ai contenuti digitali dei giornali. E come.

Prima Comunicazione: dati Audiweb primi 3 mesi del 2013.

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I periodici sono superati o modernissimi?

Sollecitato da una persona che legge il mio blog, prendo in mano un’intervista pubblicata da Italia Oggi.

Parla Giacomo Moletto, amministratore di Hearst Magazines Italia, dirigente di grande concretezza.

L’intervista prende le mosse dal rilancio di Gioia, femminile storico, nato nel 1934. Detto per inciso, pochi si rendono conto che alcuni periodici italiani hanno una grande storia. Per dire, Rcs Mediagroup vuole sbarazzarsi di Novella 2000, nata nel 1919, e di A – Anna, femminile che continua la storia di Annabella, creata nel 1933.

Torno in carreggiata. Moletto, che chiaramente vuole sostenere una delle proprie riviste in un momento in cui Condé Nast ripensa la formula di Vanity Fair, Mondadori rilancia Grazia, Donna Moderna, Tu Style, e Rcs Mediagroup mette in vendita, oppure chiude, 10 titoli, fa alcune riflessioni sulla modernità dei periodici.

Sostiene che «i magazine sono modernissimi, poiché una rivista la fuisci da sempre in maniera non lineare, saltando di qua e di là, ai segmenti del giornale che più ti interessano, tornando indietro. I magazine soffrono sui tablet proprio per questo: perché lì, invece, sei obbligato alla successione delle pagine, modalità alla quale un lettore di periodici non è abituato».

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L’editore che vende un milione di copie digitali

L’iPad è arrivato nel gennaio del 2010, e supporta i periodici da metà 2011; da allora gli editori di riviste hanno trovato la strada del tablet: una prospettiva di sopravvivenza.

Per questo la notizia che Hearst, l’editore di Cosmopolitan, ha raggiunto un milione di abbonati alle proprie riviste negli Usa segna una data a suo modo storica. È tanto, è poco? Un milione di lettori equivale ad appena il 3% degli abbonati di Hearst. E l’obiettivo è stato centrato con tre mesi di ritardo rispetto alle attese.

Bicchiere mezzo pieno, bicchiere mezzo vuoto… Ma per il 2016 l’editore prevede di arrivare a tre milioni di lettori su tablet, il 10% della leadership. Non molto. E allora, prima di attaccarci al tablet, cerchiamo di tornare a vendere tanta, tanta carta stampata.

Macgasm: hearst 1 milione di abbonati su tablet.

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Le video serie nel web: è il trend dei periodici nel 2013

Se il vostro editore lancia serie web sui siti delle vostre testate ricordatevi che non è l’unico, ma si sta muovendo sulla strada tracciata dai periodici negli Stati Uniti. O magari ci si muove in contemporanea con i giornali americani, perché ormai è chiaro che gli editori della carta stampata hanno deciso di puntare su questi prodotti per attrarre visitatori nei loro spazi web e inserzionisti. Spiega l’articolo del New York Times riportato in link alla fine di questo post: l’anno scorso il trend nei periodici era il lancio di una versione per iPad. Quest’anno sono i video.

Lo dimostra la presentazione fatta mercoledì 1 maggio a New York da Condé Nast, l’editore dei giornali patinati di fascia alta come GQ, Vogue e Glamour. Sono stati mostrati 30 clip dimostrativi come assaggio di 30 nuovi show (potete vedere i trailer  nell’articolo di Ad Age alla fine di questo post). Le serie web sono simili, come concetto, alle serie televisive, magari perché compaiono gli stessi attori, nelle stesse situazioni, con sketch ogni volta nuovi. O perché viene trattato sempre lo stesso argomento. Esempi. Condé Nast ha presentato la serie Angry Nerd per la rivista Wired, quella di tecnologia. Single Life è per i lettori di Glamour. Casualties of the Gridiron è un documentario di GQ molto serie che parla delle lesioni fisiche dei giocatori di football americano della NFL. Elevator Makeover fa vedere come può cambiare il look di una ragazza nel tempo di una corsa in ascensore. In questo blog ne avevo già parlato a inizio marzo raccontando il lancio di serie video in Glamour e GQ.

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Com’è la redazione giornalistica digitale (e il Feedback Loop)

Se siete giornalisti digitali, saltate questo post. Lo stesso se lavorate alla Stampa o al Sole24 Ore.

Lo schema che vedete qui sotto, infatti, per voi è vecchio.

Ma se siete dei comuni mortali, e il vostro tran tran si svolge in un qualsiasi periodico italiano, forse questo schema, tracciato prima del 2010 da Lewis DVorkin, mefistofelico e stimolante capo dei contenuti di Forbes, potrebbe farvi riflettere.

Come cambia il flusso del lavoro nelle redazioni, i processi, quali nuove figure devono affiancare i giornalisti, come viene valutato il nostro lavoro?

A tutte queste domande risponde Lewis DVorkin nell’articolo riportato in link.

Per ingrandire l’immagine basta cliccare sopra.

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È chiaro che il giornalista, oltre a scrivere in modo efficace e preciso, deve anche pagare grande attenzione alla scelta degli argomenti e all’interazione con il lettore. Per meglio centrare gli obiettivi di traffico nello staff giornalistico vengono inserite figure di specialisti di social media, analisti del traffico. A Forbes, anche figure del marketing.

E il giornalista, nel crescere come professionista, deve tenere conto del feed back di lettori e analisti. Ma, specifica DVorkin, la pioggia di dati, la visualizzazione dei risultati di traffico, aggiornati secondo per secondo, devono spingere a far meglio, non sono la legge del giornalista.

The data is to help inform their journalism, not rule it.

Forbes: come cambiano le redazioni dei giornali.

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Cos’è la qualità nel giornale, cos’è nel digitale – A lezione da Lewis DVorkin di Forbes.com

Continuo a subire la fasciazione professionale di quel Lewis DVorkin che è a capo dei contenuti di Forbes nel giornale di carta e nel digitale. Ripesco quindi alcuni concetti da un suo post.
Le sue parole possono anche non piacere. Nulla fa sprizzar scintille in redazione come parlare dei cambiamenti nel lavoro, nel mestiere, indotti dal web. Anche se sono stati pochi, finora. Ma le parole di DVorkin hanno il merito di far pensare, e questo per me vale più di mille cose. Di sicuro vale più di sentirsi dire quel che piace. Parole da cui traspare, oltre a una straordinaria vocazione per l’autopromozione, una altrettanto straordinaria capacità di lavoro.
Questa volta Mr DVorkin tiene una lezione su cosa sia la qualità. Fa una distinzione: da una parte c’è la qualità nel giornale di carta, dall’altra la qualità nel web. Qui si tratta della qualità attesa dal consumatore e pretesa dal capo.

«(…) we recognize that notions of “quality” for print and digital are somewhat different. In magazines, craftsmanship that produces a high level of “fit and finish” is critical. So is grammar, accuracy and sourcing, particularly given the finality of each issue. The reader expects the brand to provide a rewarding, self-contained and intimate experience that is highly professional and perfectly honed. In the ruckus of the online universe, quality is evolving. Right now, it’s more about timeliness; iterative and updated story-telling; relevance; aggregation; individual voice; and dialogue. Digital news consumers help create their own experience through Search, RSS feeds and increasingly the sharing and recommendation tools of social media. The “link” and commenting provide digital consumers with an easy discovery mechanism to check accuracy».

«… riconosciamo che la nozione di “qualità” per la carta stampata e per il digitale sono in qualche modo diverse. Nei magazine, la maestria che produce qualcosa di straordinariamente curato è determinante. Così sono la grammatica, l’accuratezza, la citazione delle fonti, in rapporto anche agli obiettivi di ciascun numero del giornale. Il lettore ha l’aspettativa di un brand che fornisca contenuti pienamente soddisfacenti, esaustivi, un’esperienza profonda che sia altamente professionale e perfettamente rifinita. Nella confusione dell’universo online, la qualità sta evolvendo. In questo momento, è legata soprattutto al tempismo, alla puntualità, alla frequenza, all’aggiornamento delle storie. Si richiede selezione di quel che è importante, aggregazione di contenuti, una voce distinguibile e individuale, il dialogo. I consumatori di notizie digitali contribuiscono alla creazione della loro esperienza di lettura attraverso la ricerca, i feed RSS e con lo sharing e le raccomandazioni sui social media. Il ricorso ai “link” e il commento di altri lettori permette all’utente di verificare  l’accuratezza di quanto è stato scritto».

Vi consiglio di leggere il lungo articolo da cui questo breve passaggio è tratto. Si dice che ci sono giornalisti che, per le loro particolari qualità e propensioni, è bene utilizzare sul giornale di carta (Forbes, grazie alla crescita del sito, ha aumentato le copie in edicola); altri invece sembrano nati apposta per l’attività nel digitale. Insomma, non ci sono vecchi e giovani ma modi diversi di fare questo mestiere che rimane il più bello del mondo (se non il più antico 🙂 ).

Il Punto: differenze tra vecchio e nuovo mestiere del giornalista.

Forbes: cos’è la qualità.

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Qual è la forza dei giornali nel digitale – I conti del primo trimestre 2013 dei quotidiani Usa

C’è una frase che infonde ottimismo in un articolo piuttosto negativo sulla sfida tra giornali e digitale. Si parla di come sono andati i quotidiani americani nel primo trimestre del 2013. Non bene, naturalmente, perdono pubblicità anche nell’online. E il New York Times è in affanno. Ma ci sono potenzialità inesplorate.

Infatti i primi tre mesi del 2013 si sono chiusi per il quotidiano più famoso del mondo con una perdita del 4% nella raccolta pubblicitaria nel digitale. La raccolta complessiva del New York Times, carta stampata inclusa, va indietro dell’11%, a 191 milioni di dollari. Una doccia fredda per il giornale che più ha innovato il prodotto. E che aveva chiuso il 2012 con una crescita dell’1,9%, la prima inversione di tendenza dal 2006.

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L’Era di Google: dove e quanti soldi investe la pubblicità sui media digitali

Dove e quanto la pubblicità investe nei media digitali. Ovvero, l’Era di Google: presto il gigante di Mountain View supererà News Corp e diventerà il primo media per raccolta pubblicitaria nel mondo.

Sir Martin Sorrell, Ceo di una delle tre maggiori società internazionali di pubblicità, la WPP, ha spiegato mercoledì 24 aprile alla FT Digital Media Conference di Londra dove e quanto investe in pubblicità. Dove viene speso il budget di cui dispone.

Sorrell ha precisato che il digitale rappresenta il 34% degli investimenti della società da lui fondata. Pari a 72 miliardi di dollari.

«Da zero a più di un terzo degli investimenti in dieci anni: è l’Età di Google» ha commentato il Ceo di WPP.

Ma dove vanno i soldi? Vediamo i dati sugli investimenti di WPP nell’ultimo trimestre.

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