Archivio mensile:febbraio 2013

Perché proprio adesso negli Usa i giornali passano di mano

Se alcuni grandi editori americani vendono le loro testate non è solo perché c’è un fuggi fuggi dalla carta stampata, per qualcuno condannata al declino dai media digitali. Un’altra chiave di lettura può aiutare a capire perché proprio adesso molti giornali americani siano sul mercato. Se c’è chi vende, c’è anche chi compra.

L’articolo di Usa Today fa il punto sui casi aperti negli Stati Uniti.

Time Inc. vende 21 testate su 24, conservando soltanto Time, Fortune e Sport Illustrated. Le risorse della società vengono concentrate dunque sulle altre attività, quelle di Time Warner, il cinema su tutte.

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Quanto guadagnano i giornalisti americani dei periodici

Vi segnalo una ghiotta infografica di foliomag.com su come sono cambiate le retribuzioni dei giornalisti americani dei periodici negli ultimi cinque anni. Va letta così. I giornalisti “come noi” lavorano nei periodici consumer. Vengono messi a confronto il direttore (editor in chief), il capo redattore (executive editor) e il capo servizio (managing/senior editor). Uomini e donne. Nelle varie aree geografiche. Un capo servizio uomo di un periodico generalista oggi guadagna in media 63 mila 600 dollari l’anno. Una ricerca di cui parlavo tempo fa dava risultati simili.

Foliomag: stipendi nei periodici americani

Folio

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Nella testa degli editori che ristrutturano i periodici – 5 fine

Giungo alla fine della serie di post che prendono spunto dagli stati di crisi presentati dai principali editori italiani di periodici (e quotidiani), eventi che mi hanno spinto a rileggere lo studio di The Boston Consulting Group intitolato: Transforming Print Media. Leggete qui la prima, la seconda e la terza e la quarta parte.

Aiuta a entrare nella testa degli editori, capire il presente, immaginare come e perché vengano presentati piani di riorganizzazione che prevedono chiusure e cessioni di testate, esuberi, revisione delle redazioni, addirittura l’uscita dal mercato dei periodici.

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Guide televisive del futuro, Axel Springer e l’operazione TunedIn

TunedIn Media, la società tedesca che ha lanciato la “social Tv” app Tunedin, è stata acquistata oggi dal gigante dell’editoria europea Axel Springer, editore di quotidiani, periodici e proprietario di siti di e-commerce in 36 paesi, a partire dalla Germania.

L’app per iPhone di Tunedin trasforma il guardare la televisione in un’esperienza sociale, perché mette insieme le indicazioni di una guida televisiva, le segnalazioni degli spettatori, gli show più visti, una community, la possibilità di postare su Facebook. Era stata lanciata nel dicembre del 2011 e in aprile era già presente in Germania, Austria, Svizzera. Ma la startup è nata in realtà a New York, a fine 2010, e poi si è trasferita a Berlino, come spiega l’articolo in link alla fine di questo post.

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Nella testa degli editori che ristrutturano i periodici – 4

Torno allo studio di Boston Consulting Group che ho riletto alla luce degli stati di crisi aperti dai maggiori editori italiani di periodici (e quotidiani). È una specie di guida per le società che vogliono provare a trasformarsi per trovare una via d’uscita dal declino.

Ieri si parlava del taglio dei costi, oggi di sviluppo dei ricavi (questa è il quarto post della serie. Se v’interessa, leggete qui la prima, la seconda e la terza parte).

Come può un editore, nel pieno della crisi economica e strutturale, sostenere i ricavi e magari incrementarli? Dopo aver fatto una ricognizione su 1600 editori a livello globale, Boston Consulting Group (Bcg), pur scartando (naturalmente) formule miracolistiche, crede che si possa intervenire sui prezzi dei giornali. In altro punto, che rinvio al prossimo, conclusivo post, l’attenzione va invece alle nuove aree su cui investire, direzione ben più corposa e promettente.

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Nella testa degli editori che ristrutturano i periodici – 3

C’è bisogno di una guida, una specie di mappa, per capire cosa c’è nella testa degli editori di periodici che, con poche eccezioni, hanno avviato una seconda stagione di ristrutturazioni (a volte senza dichiararlo).

Riprendo il filo del discorso avviato in altri post (questa è la terza parte. Se v’interessa, leggete qui la prima e la seconda parte). Prendo lo spunto da uno studio della multinazionale della consulenza Boston Consulting Group (che ha lavorato per alcuni editori italiani). Non sposo la loro prospettiva, fornisco un elemento utile per capire cosa ci sta succedendo. Partendo dal presupposto che, come dice Boston Consulting Group (Bcg), limitarsi a tagliare i costi in ogni caso non basta.

Gli editori devono iniziare un viaggio di trasformazione delle loro aziende e dei prodotti editoriali. E la prima mossa, secondo Bcg, è sbloccare risorse, cash, per finanziare la transizione e tener buoni gli azionisti (quando ci siano).

L’organizzazione aziendale va rivista con l’occhio severo e distaccato di un private-equity buyer: come se la si dovesse comprare e non si fosse i proprietari.

Il consiglio, per gli esperti ovvio, è di agire su tre elementi: i costi (operativi e strutturali); i ricavi (copie e pubblicità); il valore per gli azionisti.

Il mix delle leve da utilizzare cambia a seconda dell’azienda, ma l’effetto è sempre positivo.

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Nella testa degli editori che ristrutturano i periodici – 2

Leggo che Pietro Scott Jovane, ad di Rcs Mediagroup, ha così commentato il piano di tagli e cessioni di testate della casa editrice: «Sui Periodici ci é stato chiesto di essere precisi, ‘perimetrati’, avendo definito le testate con strategia chiare e facendo chiarezza sull’efficienza». Più in generale, l’obiettivo è «portare Rcs da un mercato difficile con un ruolo leader dell’editoria ad essere i primi attori nel digitale».

Da frasi come questa nasce l’interesse per lo studio di The Boston Consulting Group, multinazionale della consulenza e della ricerca per le imprese, indirizzato agli editori. Come ristrutturare la propria azienda e gestire la transizione al digitale (Seconda parte. Se v’interessa, leggete qui la prima parte). Non sposo questa prospettiva, fornisco un elemento utile, una bussola, per capire cosa ci sta succedendo.

Ci sono editori che si limitano a tagliare i costi. Un aggiustamento inadeguato (dice Boston Consulting).

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Time e il più lungo articolo mai scritto: 36 pagine

Steven Brill ha stabilito un record per Time: il suo pezzo di copertina di 36 pagine intitolato «Bitter Pill», tour de force di giornalismo investigativo sul perché il conto per i ricoveri e le prestazioni mediche sia cosí alto negli Stati Uniti, è la più lunga storia mai pubblicata sul newsmagazines più prestigioso del mondo.

Potete leggerlo online, nella versione integrale.

Sui blog, anche italiani, fa spesso capolino il tema della lunghezza degli articoli di giornale. Segnalo, tra i più recenti, un post de Il Giornalaio, intitolato Avercelo lungo, che riprende una ricerca della Columbia University di New York sulle dimensioni dei pezzi nei principali quotidiani americani. In 10 anni il numero di storie più ampie di 2 mila parole si è ridotto dell’86%. Noi giornalisti sappiamo qual è stato l’impatto del digitale e della frammentazione dell’attenzione prodotta dai new media sul nostro lavoro. Senza contare che nelle riviste è avvenuta una rivoluzione grafica che ha dato maggiore spazio alle foto e alla parte visiva, come effetto combinato sulla carta stampata di tv e comunicazione online. E vista la natura del mio blog glisso sulla trasformazione dei quotidiani e il loro addio al piombo.

Time: l’articolo più lungo di sempre

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Piani di crisi, editori, giornali e l’entusiasmo degli italiani per i tablet

Piani di crisi, riorganizzazione delle redazioni, cessioni e chiusure di testate, esuberi tra i giornalisti, licenziamenti. Ma cosa c’è davvero nella testa degli editori di periodici (e di quotidiani) che negli ultimi mesi, uno dopo l’altro, hanno avviato pesanti ristrutturazioni? (Prima parte).

Che cosa abbiano in mente lo spiegano le società di consulenza che hanno seguito, senza gridarlo in piazza, i progetti di riorganizzazione e le strategie per il futuro. Che i piani possano funzionare, lo vedremo. Che siano accettabili, lo dicano altri.

Riporto con una serie di post i contenuti di uno studio presentato alcuni mesi fa da una multinazionale di ricerca e, appunto, di consulenza: Boston Consulting Group.

La prima cosa che mi ha colpito è un passaggio sullo sviluppo digitale (un passo che tutti gli editori dovranno compiere). Si tratta di questo: l’entusiasmo del pubblico per i tablet.

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Mondadori France accelera sul digitale

L’articolo di Les Echos racconta, in sintesi, gli obiettivi di Mondadori France, in ritardo nel digitale.

L’amministratore delegato della società editrice spiega che al momento il digitale rappresenta solo l’1,9% del fatturato (ci sono editori tedeschi, primo Axel Springer, che sfiorano il 50%). Entro tre, quattro anni si vuole arrivare almeno al 10%. La redditività, sul digitale, è invitante.

« Les marges sont de 10 % à 12 % pour les éditeurs dans le print, quand elles atteignent 30 %, 40 %, voire 50 % sur certaines activités dans le numérique », a expliqué Ernesto Mauri.

Come raggiungere l’obiettivo? Lanciando siti di testate, proponendo app dei periodici, acquisendo società che fanno e-commerce o vendono servizi online.

Il Punto: lo sviluppo digitale dei periodici.

Les Echos: Mondadori France accelera sul digitale

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Smartphone, pubblicità e i problemi di editori e Google

Serio e ampio articolo dell’Atlantic sulle incognite della pubblicità sugli smartphone: la nuova frontiera della pubblicità.

Un americano su due possiede uno smartphone, in Italia ne sono stati venduti oltre 20 milioni: insieme ai tablet, i cellulari intelligenti saranno il supporto su cui leggere e per cui ridisegnare contenuti informativi, news, giornali, periodici. Ma il passaggio digitale, come sappiamo, risulta problematico quando si parla di ricavi per le società, a partire dagli editori.

Perfino due giganti del digitale, Google e Facebook, temono impatti negativi e potenzialmente catastrofici per il loro business.

Il punto è questo: gli smartphone, insieme ai tablet, sono destinati a diventare il principale punto di accesso per informazione, news, servizi vari. Ma la raccolta di pubblicità sul mobile presenta problemi ancora irrisolti. Non piace alla gente perché è fastidiosa, invadente, poco leggibile. Le dimensioni dello schermo di un cellulare intelligente sono davvero ridotte e inserzioni e spot, per farsi notare, devono essere aggressivi. Ma proprio per questo la gente non li ama. E le aziende non sono disposte a pagare molto per la pubblicità via mobile. A questo si aggiunge la difficoltà di misurare il rendimento e il livello di interazione dell’utente, rilevazioni più complicate rispetto alla fruizione sul computer di casa.

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Francesca Delogu nuovo direttore di Cosmopolitan

La diaspora di Grazia, settimanale di Mondadori, continua a tenere banco. Francesca Delogu, vicedirettore del femminile più prestigioso della casa editrice di Segrate, ha preso la strada di Cosmopolitan, giornale di Hearst Magazines Italia. A fine gennaio era stata Mondadori a strappare ai concorrenti un direttore in ascesa, Annalisa Monfreda, che lasciava proprio Cosmo per andare a dirigere Donna Moderna. Colpo su colpo, Hearst non ha lasciato correre tempo. C’è da dire che a Grazia si susseguono le sorprese. A fine 2012 se n’è andato un direttore famoso, Vera Montanari. Subito dopo, con l’arrivo del successore Silvia Grilli, ha lasciato la condirezione Nicoletta Polla-Mattiot. I giornali sono fatti così: per molto tempo non cambia nulla, poi, d’improvviso, parte lo sciame sismico.

 

Lettera43: Delogu direttore di Cosmopolitan

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L’Espresso, Panorama e le prime E-single italiane

Arrivano le prime E-single italiane. Inchieste, video esclusivi, instant book proposti, con un prezzo a parte, dai siti dei giornali.

L’Espresso online permette di scaricare dalla sezione download, a 3,90 euro, il documovie Girlfriend in a Coma di Bill Emmott, ex direttore di Economist, e della giornalista Annalisa Piras. Opera criticata, un viaggio nell’Italia dei talenti bloccata da malaffare, criminalità, burocrazia e ottusità varie, considerata da qualcuno denigratoria per il paese, questa storia indipendente è uno dei primi esempi di prodotto aggiuntivo che un giornale può offrire ai lettori nella sua declinazione digitale. Se ne è parlato molto nelle scorse settimane, prendendo spunto dal successo delle prime E-single americane, e partendo da considerazioni sulla necessità, per i giornali di ampliare il ventaglio dei ricavi nel digitale con un’offerta di contenuti diversa da quella originaria (leggete l’ultima parte di questo articolo di Ken Doctor). In fondo non è niente di rivoluzionario: da sempre quotidiani e periodici vengono proposti con allegati, libri, cd, dvd. Guardate anche l’instant book Avevamo una banca, scritto da tre giornalisti di Panorama, scaricabile per 1,99 euro dal sito del settimanale.

Il Punto: più fonti di ricavo per i giornali nel digitale.

l’Espresso: e-single italiana

espresso

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Perché il direttore di Wired crede nei periodici

Dall’intervista di Adweek a Scott Dadich, direttore di Wired Usa.

Lei crede ancora nei periodici?

«Assolutamente». Cos’altro può dire un direttore? Ma la metafora usata da Dadich non mi dispiace.

«I periodici sono un mezzo di espressione duraturo, che sia sulla carta o su pixel. Li paragono ai film: possiamo guardare un film sul nostro smartphone, possiamo vederlo in streaming su Netflix, possiamo andare al cinema, può essere in 3-D, ma alla fine della fiera, sempre di un film si tratta. Dobbiamo considerare i periodici allo stesso modo. Il supporto può cambiare ma la nozione fondamentale di una raccolta di idee e pensieri che sono stati bene impaginati e accuratamente trattati è qualcosa destinato a rimanere».

La metafora è suggestiva. Mi chiedo solo cosa possano diventare i periodici una volta trasformati in applicazioni per tablet e arricchiti con video, grafiche, animazioni. In quale misura cadranno le distinzioni tra i vari media? Repubblica.it, per dire, è un quotidiano, una televisione, un archivio? E, nel lungo periodo, cosa la distinguerà da Tgcom o dal sito di news di una televisione?

Domande.

Il Punto: cosa sono i periodici.

Scott Dadich, direttore di Wired

Scott Dadich, direttore di Wired

 

adweek: intervista al direttore di Wired Usa

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Chiude in Australia il settimanale Grazia

Il primo e unico settimanale di moda australiano, Grazia, chiude con il numero del 25 febbraio 2012.

La testata di Mondadori, pubblicata in licenza da Bauer Media dal 2008, ha perso nell’ultimo quarto del 2012 la bellezza del 24% delle copie.

In media un numero del giornale viene acquistato da 197 mila lettrici.

Chiude proprio quando viene lanciata Grazia in Spagna.

Ma il mercato dei periodici (per non parlare dei quotidiani) in Australia si trova in acque agitate. Leggete al link qui sotto.

Bauer Media: chiude Grazia Australia

Bauer-Media-Group

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I periodici inglesi minacciati dal “mobile blinder”

I periodici in Gran Bretagna, nel secondo semestre del 2012, perdono in edicola anche il 30% delle copie.

Il settore del gossip sembra del tutto “bruciato” e reso insignificante dalla concorrenza dei website gratuiti sulle celebrity, come riportato in un recente post sul mercato americano.

Si sottolinea, nell’articolo dell’Indipendent che trovate in link alla fine di questo post, un nuovo fenomeno di allontanamento dai periodici inizialmente rilevato negli Stati Uniti: il “mobile blinder“, il disinteresse per i giornali causato dall’uso forsennato e ipnotico degli smartphone. Lo si vede alla fila per la cassa del supermercato (l’americano e l’inglese comprano lì i giornali): tutti se ne stanno con gli occhi incollati allo schermo del telefono, a leggere sms, scrivere su facebook e cercare news, e trascurano i periodici e i quotidiani messi in bella vista sugli stand. E’ qui, con un acquisto d’impulso, che fino a qualche anno fa si faceva incetta di testate cartacee. Oggi non più.

In Inghilterra la transizione al digitale, se si pensa alle versioni replica per iPad dei periodici, sembra promettente solo per i maschili, come Men’s Health e GQ. Maschi, di tendenza, portati per la tecnologia, edonisti e con soldi in tasca: ecco qual è, al momento, il lettorato dei giornali su tablet.

Ma è interessante un’osservazione del giornalista dell’Indipendent sui giornali che avranno un futuro nel digitale. Sono quelli che hanno contenuti unici e differenziati, ricchi di valore aggiunto, strutturati per la lettura sul mobile.

Il Punto: la crisi dei periodici in UK.

the indipendent: stato di salute dei periodici in UK

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Previsioni per i quotidiani europei nel 2013

Riporto un’intervista fatta da Wan Ifrra, l’associazione mondiale degli editori di quotidiani, sulle prospettive per i quotidiani europei nel 2013.

L’articolo fa parte di una serie che riguarda tutti i continenti.

In sintesi: per i quotidiani europei si prevede che il calo della raccolta pubblicitaria non sarà compensata, né quest’anno né negli anni a seguire, dalla crescita delle copie digitali vendute. Pertanto, in attesa di una stabilizzazione, altri giornali chiuderanno i battenti, dopo la moria del 2012.

Solo i settimanali con contenuti di particolare pregio potranno reggere al colpo.

Si prevede che in futuro la trasformazione del settore permetterà la sopravvivenza di soli due gruppi di interpreti: i principali quotidiani, i cosiddetti powerbrand; e i giornali piccoli, specializzati, flessibili.

Ma il problema dei fatturati svuotati rimane. Per gli editori non c’è che da cercare altre fonti di ricavo, e si fanno esempi che riguardano gli eventi, il marketing, merchandising, contenuti aggiuntivi.

Buona lettura.

Wan Ifra: prospettive per i quotidiani europei nel 2013

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Ipc Media: tagli anche per il grande editore inglese

Ipc Media è il principale editore di settimanali e mensili in Gran Bretagna, 60 titoli tra cui Marie Claire, InStyle, e prodotti molto di nicchia, da Country Life alle riviste sulle fotocamere digitali, al giardinaggio.

The Guardian ne parla nella rubrica settimanale sui media perché la casa editrice che ha gli headquarters sulle rive londinesi del Tamigi fa parte del network internazionale di Time Inc., il colosso americano dei magazine che starebbe trattando la vendita di 21 testate, praticamente tutte tranne Time, Fortune e Sport Illustrated. Un affare da oltre 2 miliardi di dollari che vede come potenziale acquirente Meredith.

I dipendenti inglesi, che già due settimane fa hanno ricevuto l’annuncio che l’azienda vuole tagliare 150 posti, equivalenti all’8% dei giornalisti, temono altri interventi. Ma la cosa più interessante dell’articolo riguarda l’analisi di come va il business della casa editrice, e il giudizio che se ne dà.

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Tablet venduti in Italia a fine 2012

Copie digitali dei giornali sì, ma bisogna avere gli strumenti per leggerle.

Negli Stati Uniti più di un quarto della popolazione possiede un tablet.

In Italia, paese che secondo una ricerca di Boston Consulting è il più entusiasta verso il nuovo supporto digitale e dove c’è la più alta propensione a spendere per dotarsene, in Italia, dicevo, siamo indietro.
I dati di Sirmi, società di consulenza e di ricerca nel digitale, dicono che nel 2012 sono stati venduti 2 milioni 100 mila apparecchi. La stessa fonte aveva calcolato per il 2011 un numero di poco superiore al milione. Nel 2010, anno della presentazione del re dei tablet, l’iPad, gli apparecchi mobili venduti nel nostro paese erano stati circa 400 mila. Totale: in Italia sono stati venduti, verosimilmente, circa 3,5 milioni di tablet.

Teniamo presente che i lettori di periodici sono 30 milioni.

Su come debba essere visto il bicchiere mezzo pieno, lascio a ciascuno la risposta.

Il Punto: dove siamo con la transizione al digitale.

il sole 24 ore: tablet venduti in Italia
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I quotidiani più belli del 2012

Sono europei 4 dei 5 quotidiani premiati per il 2012 dalla Society for News Design (SND), associazione non profit americana che si occupa di giornalismo visuale.

Qui sotto potete ammirare alcune slide di SND con le pagine delle testate che hanno superato la selezione. Non fanno rimpiangere di essere diventati giornalisti, uno dei mestieri più belli.

Riporto alcune delle frasi con cui SND ha motivato l’assegnazione del premio ai cinque quotidiani (di quattro paesi: Germania, Danimarca, Norvegia, Canada).

«Cosa contraddistingue un giornale che riceve il nostro premio? Una cultura dell’editing attenta a ogni aspetto del contenuto; che sappia mettere il lettore al primo posto, attraverso una costante attenzione al dettaglio».

«Troppi art director non si lasciano guidare dal contenuto; essi si limitano a muovere gli elementi che compongono la pagina. Nei giornali ben disegnati, la connessione tra design e contenuto balza all’occhio».

«Troppi giornali arrivati alle nostre selezioni mancavano degli elementi basilari dell’arte tipografica, come l’uso dello spazio bianco e la gerarchia dei contenuti».

«Ma c’è una bella differenza tra essere un prodotto accurato e uno eccellente. A partire dalla personalità».

«Nei cinque giornali premiati il dettaglio li porta a prevalere sui concorrenti. Ogni pagina conta».

slideshare: i quotidiani più belli del mondo
SND: sono europei i migliori quotidiani 2012

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Le 3 lezioni di Condé Nast Traveller

La testata di Condé Nast torna in edicola e diventa un trimestrale. La redazione paga un prezzo caro ma, forse, temporaneo, pur di non perdere il posto di lavoro. Una storia che ha tre insegnamenti.

1) Traveller, rivista di turismo, per cui nei mesi scorsi era stata decisa la chiusura, torna in edicola ma cambia periodicità: da mensile a trimestrale. E per una settimana al mese è in abbinata a Vanity Fair a prezzo ridotto. Premessa dell’operazione è stato un accordo con il sindacato per sfoltire la redazione. La prima lezione che si ricava è che gli editori accorti, prima di chiudere una testata, ci pensano mille volte. Lo so, Rcs Mediagroup ha appena annunciato la vendita di dieci testate (o, in subordine, la chiusura). Time Inc. sta pensando di cedere i suoi 21 periodici tranne Time, Sport Illustrated e Fortune. Ma rinunciare a un brand, un marchio su cui per anni si è investito, si è costruito, si sono sviluppate competenze, rimane un atto estremo, nonostante cinque anni di fila di risultati economici deludenti o catastrofici per i periodici.

2) A Traveller, si è stabilito che il giornale si farà con appena due giornalisti, dei sette presenti prima, di cui uno solo a tempo pieno e con lo stipendio ridotto del 40%. Gli altri cinque sono stati ricollocati nei giornali di Condé Nast, ma con formule che prevedono il part time o stipendio più basso (dopo accordo con il giornalista). In attesa che passi la crisi. La seconda lezione è che la trattativa sindacale può spingere l’editore a cambiare idea sulla chiusura del giornale.

3) Leggete l’articolo riportato in link per vedere come viene ripensata la formula editoriale della rivista e in che modo si vuole rafforzare l’interazione con chi compra il giornale (engagement) attraverso il digitale. Si parla di una cartolina da inviare ogni giorno ai lettori attraverso un’app. La terza lezione dice che va ripensata la formula editoriale, ridefinito i pubblico del giornale, e che il digitale non è solo un arricchimento ma una dimensione di rapporto senza la quale non è che il giornale non ha qualcosa di più ma ha qualcosa di meno. Le riviste devono essere attive nel mondo digitale. Là dove si trovano le persone. Carta e digitale insieme, dunque.

Il Punto: salvezza e sviluppo dei giornali, di questi tempi, sono facce della stessa medaglia.

Economia web: traveller non chiude

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I periodici spiegati ai pubblicitari

I periodici reggono alla crisi della carta stampata meglio dei quotidiani. Questi sono a rischio di estinzione. I magazine, invece, conservano una maggiore presa sui lettori. La rapida diffusione dei tablet ha ricreato una prospettiva di sopravvivenza per settimanali e mensili. E la pubblicità sulle riviste rimane molto efficace. Un solo problema: gli inserzionisti lo sanno?

Questo il punto di vista di Marketing Mag che offre, con l’articolo riportato in link alla fine di questo post, alcuni spunti di riflessione. Naturalmente la discussione avviene in Australia, in Italia siamo invece travolti da una crisi che ha cause molto endogene, interne. E il tema di questi giorni è il tracollo della pubblicità nel 2012, scesa di quasi il 18% nel 2012.

Marketing Mag ragiona intorno al valore della pubblicità sui magazine. E gli inserzionisti, come sapete, sono una delle due gambe su cui si regge la sopravvivenza delle testate (l’altra sono le copie vendute. E qualche editore aggiunge i ricavi da oggetti allegati ai giornali).

I magazine, si spiega, conservano una grande efficacia per la pubblicità. Nei siti i lettori sono infastiditi da banner, finestre che si aprono all’improvviso, video sovrapposti per lunghi secondi sugli articoli da leggere o messi in testa a filmati.

Invece i periodici sono l’unico mezzo su cui la pubblicità viene guardata con lo stesso interesse degli articoli, e il fluire delle pagine di Vogue ha solo da guadagnare dalla presenza delle inserzioni degli stilisti.

Dov’è il problema? Perché sappiamo in quale pantano siano piantati, da alcuni anni, i nostri giornali.

Secondo Marketing Mag le nuove leve di pubblicitari e di venditori, tradizionalmente giovani, non sono cresciute con i periodici in mano. E non ne riconoscono il valore. A questo si sommano i tagli dei budget delle società, che se devono rinunciare a parte della comunicazione, sacrificano per primi i vetusti prodotti di carta.

Dimenticano che il Roi della pubblicità sulla carta (un indice di efficacia sul lettore: guardate il link sotto) è tra i più alti. E amplifica la sua portata se associato ad azioni promozionali parallele in tv e sull’online.

Come rispondere? Rieducando i pubblicitari, cioè chi lavora nelle agenzie.

Naturalmente tutto questo non basta. I giornali dovrebbero sviluppare la parte digitale, stabilire una relazione su base quotidiana con il lettore attraverso siti, facebook, twitter, mobile. E aumentare la presenza nell’area degli eventi, necessari per sostenere e diffondere i brand dei periodici, e per avere una nuova voce di ricavo. Ma questa è un’altra storia.

Il Punto: ragioni per essere ottimisti sul futuro dei periodici.

Marketing Mag: il valore dei periodici

Roi ( argomento di cui mi sono già occupato)

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Perché le donne leggono periodici digitali

Buone notizie per i periodici. Le donne iniziano a leggere le versioni digitali dei giornali. Il merito è dei nuovi tablet con lo schermo piccolo che sta in borsetta o in una tasca dei jeans: si chiamano 7 pollici. Una strada da percorrere per i magazine, anche se la crescita delle copie digitali vendute è molto lenta. Se lo è in America, figuriamoci in Europa, dove il numero di tablet in circolazione è dieci volte inferiore.

Ne ha parlato una vecchia conoscenza di questo blog, David Carey, presidente dei magazine di Hearst negli Usa (Cosmopolitan è la testata principale della casa editrice), viso simpatico, che vi ho fatto conoscere anche attraverso una videointervista.

Carey, in una conferenza, ha spiegato che gli abbonamenti digitali ai giornali fino a oggi non sono decollati, soprattutto tra le lettrici. Ma le cose stanno cambiando grazie all’arrivo di schermi dalle dimensioni più piccole.

I tablet da 10 pollici sono stati acquistati in prevalenza dai maschi, che li utilizzano, tra l’altro, per leggere i quotidiani. Sono i normali iPad che vedete in giro.

Invece i 7 pollici, apparecchi dalle dimensioni ridotte, che stanno anche in una tasca dei pantaloni, come il nuovo iPad e uno dei Nook, stanno allargando alle donne la platea dei lettori.

Tutto questo va inquadrato in modo corretto. Negli Stati Uniti, paese all’avanguardia nel digitale dei giornali, gli editori ricavano solo il 3% dei fatturati dalle versioni per tablet dei periodici. Carey dice che spera di raggiungere il 10% entro il 2016: tre anni.

Nel frattempo l’editore ritiene che i giornali di carta continuino ad avere un ruolo di primo piano nel business. Carey pensa che l’immagine dei periodici sia stata ingiustamente intaccata dal drammatico declino dei quotidiani (quotidiani di carta). Ed obietta che i periodici continuano a godere di grande presa e popolarità tra le donne, cosa che rende forte la posizione di Hearst.

Il Punto: perché i periodici hanno una prospettiva di crescita nel digitale.

paidcontent: anche le donne leggono giornali digitali

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I periodici che vendono più copie digitali in Uk

Non saranno molte. Ma le copie digitali dei periodici britannici vengono finalmente rilevate, ufficialmente. Da ieri.

And the winner is… Men’s Health. Seguito da GQ.

Men’s Health, il maschile più venduto, ha fatto 12 mila 676 copie digitali, pari al 6% delle copie vendute (carta e digitale). Merito della qualità visuale del giornale, ha spiegato il publishing editor inglese della testata, di proprietà della americana Rodale.

GQ di Condé Nast è il secondo più venduto con 11 mila 779 copie, equivalenti al 9% del venduto totale.

Le copie digitali, come sapete, vengono acquistate nelle edicole online, prima tra tutte l’Apple App Store.

Altri titoli con molte copie sono Cosmopolitan, che arriva a 10841, ed Esquire, 5900, pari a circa il 10% delle diffusioni. (vedete anche il mio post sulle copie digitali vendute negli Usa).

Il Ceo di PPA, associazione di oltre 200 editori britannici, ha spiegato che «la rapida diffusione dei tablet in questi anni ha cambiato dalle fondamenta il modo in cui vengono consumati i periodici. E il modo in cui vengono percepiti dal lettore. Per questo PPA, in occasione del suo centesimo compleanno, ha deciso di affiancare ai tradizionali rapporti sulle copie cartacee vendute, anche quello sul digitale». E da gennaio un’analoga misurazione viene eseguita anche in Italia da Ads.

Riporto i risultati di altre testate. Una goccia nel mare della stampa periodica britannica, la quale fattura annualmente 2,23 miliardi di sterline.

Condé Nast Traveller 1648, Elle 7070, Glamour, 4200, Harper’s Bazaar, 5524, Hello! 2860, Marie Claire 905, The Economist continental edition europe 11624 (vendono molto anche le altre edizioni del settimanale economico), Vanity  fair 7700, Vogue 3703, Wired 6961.

The Guardian: quante copie digitali vendono i periodici inglesi

Ppa: copie digitali vendite in UK.

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Time Inc. vende i periodici People, Real Simple, InStyle

Time Inc., principale editore americano di periodici, proprietario di Time, gigante del cinema e della tv, starebbe trattando con Meredith, editore di Better Homes and Gardens, che i lettori di Futuro dei Periodici conoscono bene.

Oggetto: cedere tutte le testate tranne Time, Fortune, Sport Illustrated.

Da una parte il sangue blu dell’editoria Usa, con sede al 1271 Avenue of the Americas, New York, giornalisti che negli anni d’oro si muovevano con l’autista e in elicottero. Dall’altra l’editore di giornali per la donna media americana, in 1716 Locust Street, Des Moines, Iowa.

Come in Italia?

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Compleanno digitale per il Financial Times

Autorevole, britannico, uno dei giornali più antichi, il Financial Times festeggia oggi i 125 anni sotto il segno del digitale.

La storia di questo quotidiano va approfondita. Leggete l’articolo del New York Times (riportato in link alla fine di questo post).

Le copie in edicola stanno calando vertiginosamente, la pubblicità fa acqua, ma le copie digitali sono in rapida crescita e questo, nonostante i tagli al numero dei giornalisti, ha garantito la sopravvivenza della testata. Come altri quotidiani, per il FT si può dire che è al tempo stesso un prodotto di successo, grazie al digitale, e un giornale che può essere venduto in qualsiasi momento, a causa del suo precario equilibrio (la pubblicità non va).

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Riflessioni su Rcs, 640 esuberi, 10 periodici da vendere (o chiudere)

Il maggiore editore italiano affronta la crisi di Gruppo e della carta stampata annunciando interventi straordinari e d’emergenza. In Italia saranno tagliati 640 posti di lavoro, una parte dei quali tra i giornalisti, e si prevede la vendita, o, in alternativa, la chiusura, di dieci testate periodiche. Trasferimento in arrivo per i quotidiani del Gruppo, Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport: si avvicina l’addio alla storica sede di Via Solferino del più prestigioso giornale del nostro Paese.

La notiza era da tempo nell’aria. Ma il colpo è stato più forte del previsto. Rcs Mediagroup ha annunciato interventi durissimi sulle proprie testate come misura per fronteggiare la crisi della carta stampata.

Naturalmente sono molte le inquietudini che accompagnano queste notizie: se uno dei principali attori abbandona il campo dei periodici, o quasi, quale futuro si può immaginare per settimanali e mensili? Osservo che crescono solo gli editori che fanno della gestione “all’osso” una filosofia: Cairo Communication e Guido Veneziani. Probabilmente l’editoria low cost vivrà una stagione di espansione, perché, tra l’altro, si approprierà delle testate messe in vendita da editori in difficoltà. Hanno ancora uno spazio i giornali di Condé Nast, che occupano la fascia alta, quella che punta su prodotti di altissima qualità per un lettorato ambizioso o elitario. Ma una stagione del giornalismo italiano sembra volgere al tramonto. E poiché Mondadori ha annunciato da settimane tagli e chiusure di giornali, viene da pensare che la sofferenza degli editori che un tempo si dividevano il mercato nazionale corrisponda alla crisi non solo delle testate pensate e realizzate per il ceto medio, ma del ceto medio stesso. Sì, diranno. Ma c’è anche il cambiamento delle abitudini di consumo, le novità nella tecnologia, l’offerta infinita di contenuti nel digitale.

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La pubblicità c’è ma non si vede: native advertising

Vi consiglio di dare un’occhiata a questo articoletto, riguarda il fenomeno del native advertising.

Ne siamo circondati.

I marketers la presentano come una cosa nuova, legata allo sviluppo della comunicazione digitale, imposta dalla difficoltà di far digerire ai lettori banners e altri strumenti pubblicitari che proprio non vanno giù: quando entriamo in un sito scartiamo mentalmente qualsiasi forma di pubblicità ci piombi addosso, ci ostacoli nella lettura, si faccia avanti con aggressività. Tutta, o quasi.

Ecco l’esigenza, per il marketing, di cambiare strada.

Il native advertising si pone l’ambizioso obiettivo di proporre contenuti e offerte così interessanti (pensate a Groupon) che il lettore neppure percepisce più la differenza tra informazione e pubblicità.

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Dieci strumenti per il giornalista digitale

Alcuni utili strumenti che il giornalista digitale, dei magazine ma soprattutto dei quotidiani, dovrebbe conoscere e utilizzare.

Sono stati selezionati da Michael Maness del Journalism and Media Innovation program del Knight Center for Journalism (Texas).

Tra questi, DocumentCloud, Panda, Poderopedia, Scraper Wiki.

Leggete anche Le cinque qualità del giornalista digitale su Futuro dei Periodici.

Il Punto: strumenti e skill dell’era digitale.

Chi lo dice: «The Knight Center for Journalism at the University of Texas at Austin is a professional training and outreach program for journalists in Latin America and the Caribbean».

The Knight Center: 10 strumenti per il giornalista digitale

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Rcs, Mondadori, Repubblica e i numeri della crisi dei giornali

Le preoccupazioni in Rcs Mediagroup per l’arrivo di un piano di crisi che potrebbe colpire duramente i periodici. I tagli annunciati in Mondadori, dove saranno chiusi quattro mensili. La ristrutturazione a l’Espresso, Radiocor, la Stampa. I tuoni su altre società. L’editoria è nella bufera. E i giornalisti sanno che le difficoltà sono moltiplicate dalla fragilità di chi dovrebbe sostenere i lavoratori che perdono il posto.

Da varie parti (ne cito una: Reuters) si ricorda che domani in Rcs Mediagroup inizia un percorso che dovrebbe portare, per l’inizio di marzo, alla presentazione da parte dell’azienda di uno stato di crisi per le proprie testate, quotidiani e periodici, nel quale sarebbero previsti sacrifici pesanti soprattutto per i secondi.

In questi giorni in Mondadori si procede all’analisi interna della situazione e ogni giorno escono i numeri degli esuberi tra i redattori di testate grandi e piccole, da Panorama a Ciak (sono numeri certi? Lettera43 e Italia Oggi li rivedono ogni giorno).

Nel frattempo all’agenzia del Sole24Ore, Radiocor, c’è fibrillazione, come riporta Franco Abruzzo, per la modifica al contratto di solidarietà: il taglio alle retribuzioni dei giornalisti dovrebbe passare dal 9% al 35% dello stipendio (il contratto di solidarietà applica il principio “lavorare meno, lavorare tutti”: non si licenzia nessuno ma si riduce il reddito dei lavoratori per un certo periodo, nella speranza che basti a superare le avversità).

Una situazione molto seria, perché, come racconta un articolo di Lettera43 che riprendo dal sito di Franco Abruzzo e riporto in link (trionfo del gioco degli specchi su internet e dell’aggregazione moderna: ma credo che qualche pezzo originale di Futuro dei Periodici, farina del sacco, abbia ispirato articoli di apprezzate testate online), dicevo, situazione molto seria perché cigola sotto il peso della crisi l’istituto di previdenza dei giornalisti, Inpgi, che sostiene il costo dei contratti di solidarietà e della cassa integrazione, gli strumenti con cui le aziende e i giornalisti cercano di alleggerire l’impatto della crisi sui lavoratori e di conservare i posti di lavoro.

Dal 2009 sono 37 le aziende per cui è stata riconosciuta la crisi, 591 giornalisti sono stati pensionati, 1210 sono finiti in cassa integrazione, 1019 hanno contratti di solidarietà.

Il Punto: è in discussione la tenuta del sistema. Il sistema creato da editori e giornalisti.

Lettera43 feat. Franco Abruzzo: crisi dell’editoria 2013

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La crisi dei giornali di gossip

Negli Stati Uniti i giornali di gossip stanno andando a fondo. Le notizie sulle celebrities vanno a ruba su Internet, ma l’informazione digitale, con i suoi tempi rapidi di propagazione, brucia le riviste che si occupano delle star dello spettacolo, di Tom Cruise, Rihanna, Kelly Clarkson. Un destino che accomuna il giornalismo del pettegolezzo e quello delle hard news, le notizie sulla politica e la cronaca.

I giornali che si occupano di celebrities e di lifestyle hanno subito pesanti cali nelle vendite in edicola, secondo l’ultimo rapporto di Alliance for Audited Media, di cui si è occupato questo blog. Tutti i settori dei magazine sono stati colpiti dalla riduzione delle diffusioni, ma i giornali gossipari pagano il prezzo più alto.

People flette del 12,2% nel secondo semestre del 2012, dopo un calo del 18,6% nella prima metà dell’anno. Altri lo seguono. In Touch Weekly, Us Weekly, Life & Style e Star Magazine (quest’ultimo perde il 21% delle copie in edicola).

La causa? Oltre alla crisi economica, pesa il cambiamento nel modo in cui la gente consuma le notizie. Con la diffusione dei tablet e degli smartphone, e la presenza capillare dell’informazione online, qualsiasi indiscrezione o scoop sulla vita delle star viene subito “catturata” dalla Rete e propagata in tutte le direzioni attraverso i social media. Quando il giornale arriva in edicola, la notizie è già vecchia. Bruciata.

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Ci sono anche i periodici nel record dell’e-commerce

Tra i prodotti acquistati online i periodici sono una delle categorie che crescono di più.

Negli Stati Uniti cresce l’e-commerce, che per la prima volta ha superato acquisti online per 50 miliardi di dollari nell’ultimo trimestre del 2012 (56.8 miliardi di dollari, +14% rispetto a un anno fa). In un anno gli americani hanno speso 186,2 miliardi di dollari.

Ma la cose che vale la pena di riportare in questo blog è la rilevanza dei contenuti: tra le categorie di prodotti che hanno avuto il maggiore incremento negli acquisti ci sono i contenuti digitali (giochi, film…) ma anche libri e periodici. Sì, i periodici.

Proprio l’altroieri sono usciti dati sulle diffusioni dei settimanali e pmensili americani e, in un mercato in crisi, spicca l’incremento delle versioni digitali dei magazine. Sono raddoppiate in un anno, anche se, per ora, rappresentano solo il 2,4% del venduto.

Il Punto: nel mondo digitale c’è ancora spazio per prodotti editoriali e giornalistici di qualità. (Non so cosa sia la qualità, ma è sicuramente qualcosa di diverso dai contenuti frammentari, non verificati, sempre parziali, incompleti, spesso scritti male che troviamo su internet, magari dopo aver speso due o tre ore in navigazione tra siti e blog).

Chi lo dice: «comScore is a global leader in measuring the digital world and preferred source of digital business analytics».

comScore: e-commerce e magazine

comScore

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Il boom dei video nel digitale

Il boom dei video nei siti web dei giornali va di pari passo con l’esplosione dei clip pubblicitari. Sono due fenomeni trainati dal diffondersi di apparecchi che permettono di vedere filmati digitali: smartphone, tablet, smart tv (quelle collegate a Internet). Negli Stati Uniti la crescita dei video è superiore a qualsiasi altra forma pubblicitaria online.

Mi ha colpito la velocità con cui il principale quotidiano italiano, il Corriere della Sera, ha imbottito di video il suo sito. Quando non riesco a vedere il telegiornale, so che posso avere una sintesi delle notizie della giornata attraverso le news filmate del giornale di Via Solferino.

Si tratta di un’offerta di contenuti giornalistici che viene creata per soddisfare una domanda di informazione legata al diffondersi dei device mobili, ovvero smartphone e tablet.

Ma all’offerta di informazione corrisponde un’analoga offerta di video pubblicitari. I due prodotti vanno di pari passo. Proprio come a ogni pagina di contenuto editoriale corrisponde una pagina di pubblicità sui periodici.

Il sito statunitense eMarketer calcola che i video siano la forma pubblicitaria online a più forte crescita: l’incremento nel 2012 è stato del 46%. Complessivamente si sono investiti per i filmati pubblicitari 2,93 miliardi di dollari nel 2012, pari al 10% di tutta la pubblicità online. Si è però lontani dalla pubblicità sui canali televisivi (per la quale si sono spesi 68 miliardi di dollari nel 2011).

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Calano dell’8,2% le vendite dei periodici americani

Le copie vendute in edicola calano dell’8,2%. Questo è l’indicatore più attendibile di come va il mercato, visto che gli abbonamenti possono essere proposti a prezzi stracciati, quando non vengono dati in omaggio. La crisi della carta stampata continua, seppur con minore asprezza rispetto all’Europa (e all’Italia).

Sono usciti i dati sulle diffusioni dei periodici americani nella seconda metà del 2012: negli Stati Uniti la misurazione non avviene mese per mese, come in Italia, ma ogni semestre. Li ha pubblicati l’Alliance for Audited Media (equivalente dell’Ads italiana).

Per le 402 testate sottoposte al monitoraggio, il numero di copie vendute complessivamente, in edicola e in abbonamento, è sceso dello 0,3%. Ma gli abbonamenti salgono dello 0,7%, mentre i giornali in edicola flettono dell’8,2%.

Allo stesso tempo sono usciti dati sulle copie digitali dei periodici vendute nel secondo semestre del 2012: potete leggerli in un altro  post di Futuro dei Periodici.

Nella prima tabella qui sotto potete vedere l’andamento in edicola dei 25 principali magazine americani. Testate conosciute anche in Italia hanno forti cali: Cosmopolitan, People, Glamour, Vanity Fair.

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Copie digitali dei periodici vendute negli Usa

Sono usciti i dati sulle copie digitali dei periodici americani. Li ha diffusi l’Alliance for Audited Media (equivalente della nostra Ads).

Il 65 per cento dei giornali ha una replica digitale, ma queste edizioni equivalgono ad appena il 2,4 per cento delle copie vendute, circa 7,9 milioni di copie.

 

Pochissimo.

In compenso alcuni titoli hanno registrato una crescita fortissima. Ecco i 25 più venduti.

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Il prossimo lavoro di noi giornalisti? Nei siti dei brand

Se la Coca Cola non compra spazi per inserzioni sui giornali ma crea il proprio sito di contenuti giornalistici, su cui c’è anche la pubblicità e la comunicazione aziendale, allora bisogna alzare le orecchie.

Un articolo del New York Observer racconta le storie di giornalisti americani, tra cui un’ex redattrice di Newsweek iPad edition, Melissa Lafsky, o Michelle Kessler, ex redattrice tecnologia di USA Today, che hanno lasciato testate prstigiose ma in crisi nera per diventare direttori di siti di importanti brand o di società che si occupano di attività tra le più disparate, come il dating online.

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2012, anno orribile per la pubblicità sui periodici

Nel 2012 crollo della pubblicità nei periodici.

Sono i dati di Osservatorio Stampa FCP sull’intero 2012 a consegnare una fotografia che, bisogna ammetterlo, era ormai prevista. Il fatturato della pubblicità nella carta stampata è sceso del 17,7%.

Peggio di tutti fa la free press, i quotidiani gratuiti distribuiti nelle metropolitane. Preoccupano di più i dati dei periodici, settore che dà lavoro a migliaia di giornalisti e non.

Rispetto al 2011 i periodici registrano un calo del 18% nei fatturati e del 13,9% negli spazi occupati sui giornali. I settimanali fanno, rispettivamente, – 20,4% e -12,2%; i mensili -15,3% a fatturato e negli spazi -16%.

La notizia che ha gelato tutti nelle redazioni, diffusa qualche giorno fa, riguarda la raccolta su Internet. Perfino nel digitale i mesi di novembre e dicembre hanno avuto una flessione.

primaonline: la pubblicità su carta stampata nel 2012.

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Gli inserzionisti e il giornalismo di qualità

La crescita nel digitale dei giornali, la produzione di contenuti di qualità, gli spazi per inserzionisti alla disperata ricerca di prodotti editoriali efficaci: sono alcuni dei punti toccati dal capo del marketing di Zinio, la più grande edicola online.

L’articolo mi è piaciuto in due passaggi.

Il primo riguarda i contenuti di qualità.

Jeanniey Mullen, Global Executive Vice President e Chief Marketing Officer di Zinio, spiega che il digital publishing è la categoria che cresce di più (inclusi ricerca, mobile e video) nelle classifiche di comScore.

In altre parole, i lettori cercano nel digitale contenuti di qualità.

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Le vere tendenze del giornalismo 2013

Leggo nel sito di Franco Abruzzo, ex presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia e insostituibile, infaticabile macinatore di notizie sul nostro mondo, un articolo de Il Post sulle tendenze del giornalismo del 2013, nel quale vengono riproposti i contenuti di un pezzo di Pandodaily, a firma Hamish McKenzie, sulle tendenze del giornalismo nel 2013. E ci sta che Futuro dei Periodici esca con un pezzo sulle tendenze del giornalismo nel 2013. Gioco di specchi del mondo digitale.

Ma…

Non credo che le tendenze indicate dal Post siano qualcosa di più che novità stuzzicanti del giornalismo digitale americano. Per carità, spaccio anch’io di questa merce. Ma bisogna fare attenzione a non confondere le tendenze del giornalismo in campo espressivo, i nuovi strumenti, le potenzialità con…

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Giornali che cambiano sede e periodicità

La crisi obbliga gli editori a fare economie. Sia nella revisione dello “stile di vita” delle società (Condé Nast negli Usa ostentava fino al 2009 una proverbiale grandeur) sia nella fattura dei giornali. E non si tratta solo di tagli al numero di giornalisti e ai loro stipendi.

Proprio Condé Nast, racconta questo pezzo di WWD, ha deciso l’altro giorno di ridurre la frequenza di uscita di uno dei suoi mensili, W, da 12 a 10 numeri. La notizia ha qualcosa di sorprendente perché lo scorso anno la raccolta pubblicitaria era cresciuta del 10%. Le copie sono ferme a 450 mila al mese. Ma il giornale è uno dei più sottili di Condé Nast. E cambiare la periodicità permette all’editore di fare più profitti, nel gioco tra costi e ricavi. Un segno della crisi.

Non è la prima pubblicazione a diminuire le uscite. Nel settembre del 2011 era toccato ad Harper’s Bazaar di Hearst.

Ma tra gli editori in crisi c’è un’altra strada al risparmio spesso imboccata. Parlo del cambio di sede. In questi giorni il Washington Post sta valutando se vendere la prestigiosa sede nel centro della capitale federale. Il palazzo dove si è scritta la storia dello scandalo Watergate. Non è l’unico giornale. Mentre i giornali sono in crisi e le redazioni dimagriscono, il valore degli immobili è in crescita (dice un pezzo dello stesso Washington Times).

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Il New York Times si è trasferito nel 2007 nel bellissimo grattacielo disegnato da Renzo Piano, ma due anni dopo è stato costretto a vendere l’edificio e a firmare un contratto di affitto, per non abbandonarlo. Stesso copione nel settembre del 2010 per Forbes, sulla quinta Avenue di Manhattan.

In Italia hanno cambiato sede, negli anni, il Gruppo L’Espresso a Roma, e, tra gli altri, Hearst Magazines a Milano. Ogni tanto ritornano le voci un trasferimento di Mondadori, che lascerebbe il palazzo di Oscar Niemeyer a Segrate, e sono soggete a stop and go quelle che prevedono un trasferimento dei giornalisti del Corriere della Sera, che abbandonerebbero lo storico palazzo milanese di Via Solferino.

Il Punto: come risparmiano gli editori di giornali.

Wwd: periodici che cambiano frequenza di uscita

Washington Post: il giornale cambia “casa”

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Accordo tra Google ed editori francesi

Firmato l’accordo tra Google e la Francia. L’annuncio è arrivato dall’Eliseo con un… tweet (…stucchevole).

L’intesa è stata raggiunta dal presidente Francois Hollande ed Eric Schmidt, capo di Google.

Come sapete, gli editori francesi, al pari di quelli italiani e tedeschi, vogliono che Google riconosca ai giornali un compenso per le notizie che il motore di ricerca indicizza online. In altre parole, riducendo all’osso la questione, Google fa l’editore utilizzando notizie pubblicate da altri, perché offre agli utenti che fanno ricerche su Internet una sintesi degli articoli dei giornali, a cui poi rinvia attraverso un link.

L’intesa raggiunta ieri sera stabilisce che Google versi 60 milioni di euro a un fondo per aiutare i media francesi a sviluppare una dimensione digitale. Del pacchetto fanno parte anche sconti sulle piattaforme pubblicitarie della società di Mountain View.

Prevedendo l’esito della trattativa, più di una voce ha proclamato la fine dell’era in cui su Internet si potevano fruire gratuitamente i contenuti giornalistici. Segnalo al riguardo un post sulle scelte dell’editore di periodici Hearst.

Il Punto: è la fine dei contenuti giornalistici gratuiti su Internet?

ilsole24ore: accordo Google in Francia

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Un piano B per i periodici e quotidiani di Rcs

Cessione o chiusure di giornali, esuberi tra i giornalisti, prepensionamenti: un articolo di Milano Finanza riporta indiscrezioni su un possibile Piano B di Rcs Mediagroup. L’editore del Corriere della Sera deve affrontare il problema dei debiti e decidere cosa fare delle sue riviste. Pare che anche il piano di sviluppo nel digitale, presentato appena un mese fa, sia stato messo in discussione.

L’articolo riporta anche ipotesi che riguardano alcune testate della casa editrice, ma per una clausola morale sottoscritta idealmente dall’autore di questo blog (non voglio alimentare inutilmente le preoccupazioni dei colleghi), voglio sottolineare che non sono notizie ma indiscrezioni, per quanto avanzate da un giornale di una certa autorevolezza.

Il piano industriale di Rcs, finalizzato anche a ottenere la ricapitalizzazione da parte degli azionisti, prevederebbe chiusure di testate e prepensionamenti di decine di giornalisti. Oltre all’uscita dalla società di altri dipendenti per un numero complessivo che si aggirerebbe intorno a 500 persone su 5000. Tra le voci c’è anche quella che ipotizza la creazione di una bad company in cui far confluire i settimanali e i mensili.

Naturalmene nel mirino ci sarebbero anche i giornalisti del Corriere della Sera e della Gazzetta dello Sport, sempre secondo quanto afferma l’articolo di MF, peraltro nel solco delle notizie che da mesi circolano su Rcs.

Si fa la lista di periodici che potrebbero essere ceduti a editori concorrenti, dunque Cairo e Guido Veneziani, società in forte crescita, spesso nominate anche quando si parla della crisi in Mondadori, la quale, secondo quel che raccontano gli articoli di Italia Oggi, avrebbe sposato per il futuro un modello di gestione low cost, ispirato proprio a Cairo: redazioni con pochi giornalisti, molti collaboratori, minore investimento sui contenuti.

Il Punto: viene ridisegnato il panorama dell’editoria italiana dei periodici.

Prima online: Rcs, aleggia lo spettro del piano B

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