Laura Lang, Ceo di Time Inc. (ne ho già parlato in un post del 22 agosto di Futuro dei Periodici), è stata chiamata alla guida del gigante dei periodici americani perché ha un’esperienza di pubblicià nel web. Non di editoria. Si è messa al lavoro per ridisegnare le strategie del gruppo con attenzione soprattutto verso il passaggio al digitale e le esigenze degli inserzionisti. In questo articolo di Bloomberg si spiega quali passi sta per intraprendere. E’ un articolo chiave perché contiene molti nodi su cui stanno ragionando gli editori. E perché si riporta anche il pensiero di alcuni grandi inserzionisti relativi ai magazine, al digitale e ai lettori dei magazine.
Partiamo dalla fotografia dei magazine di Time Inc. quest’anno: il fatturato della raccolta pubblicitaria è sceso del 6 per cento, quello degli abbonamenti (rilevantissimi nel mercato Usa) del 7 per cento (guardate il post del 20 agosto di Futuro dei Periodici). Ma il gruppo editoriale conta comunque su 21 testate e una audience potenziale, tra carta e digitale, di 127 milioni di lettori. Su questo Laura Lang vuole far leva e ritrovare una presa sulla pubblicità.
“Advertisers I’ve met with have all said the same thing: ‘I love your print product, but find a way to let me do it with other channels.’”, dice la Ceo di Time Inc. «Gli inserzionisti mi dicono sempre la stessa cosa, che amano la carta ma hanno bisogno di operare anche su altri canali».
Da qui un cambio di strategia. Gli inserzionisti potranno sviuluppare le loro campagne su tutti i brand di Time e su tutti i media, carta e digitale insieme. Finora, invece, ciascun brand si muoveva da solo, spesso combattendo guerre pubblicitarie con altre testate del gruppo editoriale.
Punto secondo, delicato per noi giornalisti: gli inserzionisti, le aziende potranno comprare pagine dei giornali, articoli già usciti o in uscita intendo dire, allo scopo di ripubblicarle sulle proprie pagine Facebook e lanciarle su Twitter. Saranno articoli su commissione o almeno ispirati dalla pubblicità? Ovviamente Laura Lang dice di no. «Articles also won’t be produced at the behest of advertisers, Lang said. Given the depth of Time Inc.’s editorial well, sales executives should be able to find articles or features relevant to any campaign, she said».
I cambiamenti di Time Inc. rimandano subito alle trasformazioni avviate in queste settimane da Hearst Magazines. Qui si sta lavorando per ampliare il numero di abbonamenti alle edizioni dei giornali per tablet, arrivate già a 700,000. E la compagnia ha lanciato il sito di ecommerce ShopBazaar, un website che rinvia direttamente alle pagine di Harper’s Bazar. Quelli di Hearst (riporta l’articolo di Bloomberg) stanno rivisitando alcuni dei dogmi che per molto tempo hanno regolato i rapporti tra contenuti giornalistici e vendite di prodotti. Soprattutto nella chiave dello sviluppo digitale. Da questo punto di vista, sia a Time Inc. che ad Hearst, c’è la consapevolezza che il proprio database di lettori e clienti ha un grande valore commerciale ed è una assicurazione sul proprio futuro. Solo Time Inc. può offrire agli inserzionisti i dati su 65 milioni di abbonati, online e offline, sui quali i pubblicitari possono impostare campagne molto mirate.
Non a caso nell’articolo di Bloomberg si riporta una frase di Dionne Colvin, national media marketing manager di Toyota America: «Time Inc. ha una audience già in qualche modo selezionata, un magnifico, ricco database di potenziali clienti».
E tra i fan di Laura Lang c’è Johnson & Johnson, la multinazionale dei prodotti per l’igiene e la casa.
Bloomberg: il nuovo digitale di Time Inc.
M’interessa perché: 1) vede gli aspetti positivi delle riviste periodiche, ad esempio l’ampio lettorato, ghiotta preda degli inserzionisti; 2) riflette su come devono cambiare i confini tra informazione e pubblicità; 3) riporta il punto di vista di grandi inserzionisti, per niente negativi verso il futuro dei periodici.
Il punto: l’evoluzione della strategia sul digitale e una reale possibilità di sviluppo o almeno tenuta dei periodici.