Archivio mensile:settembre 2012

Pubblicità e contenuti giornalistici sul digitale in People

La pubblicità sulla pagina Twitter del giornale. Grande, a coprire lo spazio solitamente lasciato a iniziative autopromozionali. Lo ha fatto People StyleWatch, derivazione del settimanale People.

Ma riprendo un post di Futuro dei Periodici del 16 settembre scorso. Riportava una notizia che riguarda Time Inc., il maggiore editore di periodici negli Usa. La società ha annunciato una revisione delle strategie di raccolta della pubblicità nei propri magazine. La Ceo Laura Lang spiegava che gli inserzionisti potranno utilizzare diversamente il canale digitale delle testate. E altre cose. Arriva ora questa prima cosa di People, magazine di Time Inc.

M’interessa perché: 1) mi fa pensare alle polemiche scoppiate in alcune case editrici italiane quando l’editore ha deciso di utilizzare i siti di testata innanzitutto come contenitori di iniziative autopromozionali e pubblicitarie.

Il punto: è il solito, e cioè se il digitale dei magazine sia destinato ad avere una bassa densità di contenuto giornalistico e una componente principalmente promozionale, social, pubblicitaria e votata a una funzione di raccordo con i lettori attraverso eventi, concorsi, casting.

Ad Age: come People fa pubblicità su Twitter

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Usa / Con il digitale cresce la raccolta pubblicitaria

Rispetto agli scenari plumbei dell’Italia, negli Stati Uniti filtra un raggio di sole: quest’anno la raccolta pubblicitaria nei periodici dovrebbe crescere del 2.6%, fino a 18,33 miliardi di dollari, secondo le stime dell’istituto di ricerca eMarketer. Con una importante distinzione: la pubblicità sulle edizioni cartacee cresce in modo imprcettibile mentre sale del 15% la raccolta nel digitale dei giornali. Guardate per i dettagli.

M’interessa perché: 1) fa vedere come lo sviluppo digitale sia indispensabile per i periodici.

Il punto: come sviluppare il digitale dei magazine.

Market Watch: cresce la roccolta pubblicitaria negli Usa

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Economist garantisce gli abbonamenti digitali

Economist garantisce ai propri inserzionisti una base sicura di abbonamenti digitali. Ad aprile 2012 questa tipologia di abbonamento (abbonamento originale, non replica di un abbonamento cartaceo. E neppure singola copia venduta nell’edicola digitale) aveva raggiunto per la testata le 48 mila copie, a fine settembre è salita a 50 mila. Questa è la soglia garantita agli inserzionisti.

In questo pezzo di Ad Week si spiega che gli inserzionisti sono innanzitutto interessati a ricevere garanzie di efficacia sul canale scelto. Il digitale, se è digitale, o la carta. Anche entrambi. L’importante è che i canali possano essere misurati, “pesati”, separatamente, senza riversare i numeri degli abbonamenti digitali nel computo delle copie cartacee vendute.

Più in dettaglio, si dice che i pubblicitari hanno bisogno di sapere se il lettore ha guardato la pagina di pubblicità digitale e se questo ha avuto una qualche conseguenza (cercare altre informazioni sul prodotto, comparare prezzi, entrare nel sito del produttore, acquistarlo).

M’interessa perché: 1) spiega come cambia la raccolta pubblicitaria nei magazine con l’arrivo del digitale.

Il punto: ma quali contenuti bisogna mettere nei siti e nelle piattaforme digitali dei magazine? Contenuti giornalistici, editoriali, promozionali?

Adweek: le copie digitali di Economist.

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Condé Nast annuncia il lancio di Vanity Fair in Francia

La domanda è quando, esattamente. E perché annunciarlo ora, molti mesi in anticipo rispetto all’estate, stagione prima della quale (un po’, molto…) dovrebbe avvenire, dunque, alfine, il lancio di Vanity Fair in Francia.

Ma sono domande che forse interessano meno di tutte le altre considerazioni fatte dal New York Times. Si riflette sull’andamento del mercato francese dei magazine (che quest’anno cresce lievemente, ma cresce, mentre i quotidiani perdono pesantemente), sul perché Condé Nast abbia atteso anni prima di pianificare il lancio di Vanity in Francia, su come è cambiato il rapporto dei politici con la stampa e come gli inserzionisti non ritirino più la pubblicità da quei giornali che frugano nella vita privata dei politici (un mutamento avvenuto sotto la presidenza di Nicolas Sarkozy e balzato all’occhio un anno fa, con lo scandalo di Dominique Strauss-Kahn), del perché ci sia preoccupazione nel settore editoriale del lusso sulla tenuta di una raccolta pubblicitaria finora non anticiclica ma quasi.

M’interessa perché: 1) permette un confronto indiretto con il mercato italiano, molto più in difficoltà di quello francese.

Il punto: anche nel mezzo di una crisi si può lanciare un prodotto editoriale forte?

(leggete qui l’articolo) The New York Times: Condé Nast lancerà la versione francese di Vanity

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Profilo del giornalista multimediale

Ci vogliono così. Lo dice Bob Cohn, direttore dell’Atlantic Digital. Gli editori vogliono una nuova razza di giornalisti. Gente che sappia fare un po’ di tutto questo: riferire notizie e raccontarle, scrivere titoli e fare cucina, selezionare e caricare foto, controllare e riscrivere i pezzi di altri, compilare classifiche e fare piccoli interventi di grafica, curare la dimensione social del giornale, gestire i collaboratori. In conclusione: i nuovi giornalisti sopno tutti caporedattori. Direttori. E il passaggio al digitale coincide con il passaggio (attenzione, attenzione, la parola che fa rimescolare il sangue a molti) da una organizzazione verticale del lavoro a una orizzontale. Del lavoro e delle redazioni. «I can’t say whether this is a sign of trouble or triumph for journalism. Probably both. But it is definitely a matter of fact».

(cliccate qui per leggere l’articolo) The Atlantic: ritratto del giornalista digitale 

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Altro che Internet: la pubblicità in tv rimane la più efficace

Prima la tv, poi quotidiani e magazine: la pubblicità è più efficace sui vecchi media, non su Internet. Questa la sorprendente conclusione a cui arrivano Deloitte and GfK Media dopo aver condotto una ricerca su un campione di 4 mila utenti inglesi.

Ad World News: la pubblicità in tv rimane la più efficace

M’interessa perché: 1) solo il 4 per cento degli intervistati dicce di rimanere colpito dalla pubblicità su internet; 2) l’offerta dei digitali sembra dunque conservare un suo perché.

 

Il punto: ma i magazine sono davvero superati per gli investitori?

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Marie Claire e il video nel giornale di carta

Il numero di ottobre di Marie Claire Uk ha un video pubblicitario nella rivista. Ma a causa degli alti costi di produzione, comparirà solo in 10 mila copie. Come dobbiamo immaginare il video? Come una specie di cartolina di Natale animata, ma con lo schermo, spiegano nell’articolo di The Drum.

The Drum: Marie Claire mette un video pubblicitario tra le pagine

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Usa/ La pubblicità se ne va sui telefonini

Crescita ridotta, diminuzione nei periodici, forte calo nei quotidiani e una flessione tutta da spiegare in Internet. Ecco i dati sulla raccolta pubblicitaria nei media statunitensi relativamente al secondo quadrimestre del 2012 e, complessivamente, nei primi sei mesi del 2012, secondo quanto elaborato da Kantar Media e pubblicato su Business Insider. Il calo su internet è a valore: significa che, anche se la pubblicità è in aumento nel digitale, le tariffe scendono e dunque si guadagna meno. A pagare il prezzo della crescita in volumi di Internet è, tra gli altri, il settore dei magazine. In altre parole, cosa fa oggi la gente per ingannare il tempo? Naviga con il portatile a caccia di intrattenimento e informazione.

Business Insider: gli smartphone tolgono pubblicità ai periodici

 

M’interessa perché: 1) è possibile fare un paragone con l’Italia; 2) si vede che anche negli Usa c’è un rallentamento; 3) si cerca di capire dove va la pubblicità dei grandi investitori.

Il punto: capire come mai la gente non compra più periodici, al netto dell’effetto della crisi economica.

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Harper’s Bazar si butta nell’e-commerce: ShopBazaar

Hearst Magazines lancia negli Usa un sito di e-commerce, ShopBazaar, che è strettamente legato alle pagine di Harper’s Bazar, con continui rimandi tra oggetti e accessori fotografati e mostrati sulle pagine del giornale e opportunità di shopping nel sito. Leggete perché troverete dettagli di un certo interesse. Hearst Magazines sta cercando di spingere sull’e-commerce e di diversificare i ricavi, vista la debacle con edicola, abbonamenti e pubblicità normale.

Ma con questa iniziativa a Hearst si dice (leggete meglio nell’articolo): “This is our brand moment. We will be a brand you read about and a brand you shop”. Lo stesso brand è un giornale da leggere e un luogo dove acquistare.

Chi se ne occupa è una manager di Hearst che ha già lanciato, in una precedente esperienza lavorativa, Elle Shop nel 2002, sul sito della rivista.

Critico il ruolo dei giornalisti in questa stretta relazione tra testi informativi e necessità di vendere. Se ne parla qui ma anche nell’altro post di Futuro dei Periodici di oggi, 16 settembre 2012, riguardante le strategie di Time Inc. per il digitale.

Harper’s Bazaar diventa ora un… bazar!

M’interessa perché: 1) fa capire che i periodici devono d-i-v-e-r-s-i-f-i-c-a-r-e; 2) il brand, ah il brand; 3) il futuro dei giornalisti: commessi intelligenti? (ma lo sono già, si parla infatti di giornalismi, da Repubblica ad Harper’s Bazaar).

Il punto: sotto il cappello del brand giornalistico, della testata, si possono far crescere attività che non hanno nulla di giornalistico ma portano ricavi. Diranno che è sempre stato così. No, non in modo così diretto.

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Bloomberg: il nuovo digitale di Time Inc.

Laura Lang, Ceo di Time Inc. (ne ho già parlato in un post del 22 agosto di Futuro dei Periodici), è stata chiamata alla guida del gigante dei periodici americani perché ha un’esperienza di pubblicià nel web. Non di editoria. Si è messa al lavoro per ridisegnare le strategie del gruppo con attenzione soprattutto verso il passaggio al digitale e le esigenze degli inserzionisti. In questo articolo di Bloomberg si spiega quali passi sta per intraprendere. E’ un articolo chiave perché contiene molti nodi su cui stanno ragionando gli editori. E perché si riporta anche il pensiero di alcuni grandi inserzionisti relativi ai magazine, al digitale e ai lettori dei magazine.

Partiamo dalla fotografia dei magazine di Time Inc. quest’anno: il fatturato della raccolta pubblicitaria è sceso del 6 per cento, quello degli abbonamenti (rilevantissimi nel mercato Usa) del 7 per cento (guardate il post del 20 agosto di Futuro dei Periodici). Ma il gruppo editoriale conta comunque su 21 testate e una audience potenziale, tra carta e digitale, di 127 milioni di lettori. Su questo Laura Lang vuole far leva e ritrovare una presa sulla pubblicità.

“Advertisers I’ve met with have all said the same thing: ‘I love your print product, but find a way to let me do it with other channels.’”, dice la Ceo di Time Inc. «Gli inserzionisti mi dicono sempre la stessa cosa, che amano la carta ma hanno bisogno di operare anche su altri canali».

Da qui un cambio di strategia. Gli inserzionisti potranno sviuluppare le loro campagne su tutti i brand di Time e su tutti i media, carta e digitale insieme. Finora, invece, ciascun brand si muoveva da solo, spesso combattendo guerre pubblicitarie con altre testate del gruppo editoriale.

Punto secondo, delicato per noi giornalisti: gli inserzionisti, le aziende potranno comprare pagine dei giornali, articoli già usciti o in uscita intendo dire, allo scopo di ripubblicarle sulle proprie pagine Facebook e lanciarle su Twitter. Saranno articoli su commissione o almeno ispirati dalla pubblicità? Ovviamente Laura Lang dice di no. «Articles also won’t be produced at the behest of advertisers, Lang said. Given the depth of Time Inc.’s editorial well, sales executives should be able to find articles or features relevant to any campaign, she said».

I cambiamenti di Time Inc. rimandano subito alle trasformazioni avviate in queste settimane da Hearst Magazines. Qui si sta lavorando per ampliare il numero di abbonamenti alle edizioni dei giornali per tablet, arrivate già a 700,000. E la compagnia ha lanciato il sito di ecommerce ShopBazaar, un website che rinvia direttamente alle pagine di Harper’s Bazar. Quelli di Hearst (riporta l’articolo di Bloomberg) stanno rivisitando alcuni dei dogmi che per molto tempo hanno regolato i rapporti tra contenuti giornalistici e vendite di prodotti. Soprattutto nella chiave dello sviluppo digitale. Da questo punto di vista, sia a Time Inc. che ad Hearst, c’è la consapevolezza che il proprio database di lettori e clienti ha un grande valore commerciale ed è una assicurazione sul proprio futuro. Solo Time Inc. può offrire agli inserzionisti i dati su 65 milioni di abbonati, online e offline, sui quali i pubblicitari possono impostare campagne molto mirate.

Non a caso nell’articolo di Bloomberg si riporta una frase di Dionne Colvin, national media marketing manager di Toyota America: «Time Inc. ha una audience già in qualche modo selezionata, un magnifico, ricco database di potenziali clienti».
E tra i fan di Laura Lang c’è Johnson & Johnson, la multinazionale dei prodotti per l’igiene e la casa.

Bloomberg: il nuovo digitale di Time Inc.

M’interessa perché: 1) vede gli aspetti positivi delle riviste periodiche, ad esempio l’ampio lettorato, ghiotta preda degli inserzionisti; 2) riflette su come devono cambiare i confini tra informazione e pubblicità; 3) riporta il punto di vista di grandi inserzionisti, per niente negativi verso il futuro dei periodici.

Il punto: l’evoluzione della strategia sul digitale e una reale possibilità di sviluppo o almeno tenuta dei periodici.

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Variety in vendita per $ 40 milioni. Ma nessuno lo vuole

Sì, non si riesce a vendere Variety. E l’articolo di International Business riporta i dubbi e i tentativi di cambiamento dei trade magazine dell’intrattenimento, quelle pubblicazioni che si rivolgono ai professionisti dello spettacolo e che offrono notizie, approfondimenti e strumenti di lavoro per gli addetti. Variety, ma anche Advertising Age, Hollywood Reporter e Backstage.

Il cambiamento parte da riconcepimenti delle riviste, con riduzione di formato (che fa risparmiare sulle spese di spedizione) e l’introduzione della pagina patinata (costi che aumentano). Un nuovo equilibrio dei costi che è anche un tentativo di sopravvivere all’attacco dell’informazione su internet, capace di bruciare la parte di hardnews.

Come sta andando, allora, nei trade magazine? I tentativi, secondo quanto si ricava dall’articolo di International Business, sono meritevoli di verifica, intanto però Variety è stato messo in vendita a 40 milioni di dollari  e l’affare non si chiude. Previsto uno sconto del 25 per cento.

Il Ceo di Backstage spiega che il suo giornale è una promotional commodity, qualcosa che non può essere offerto da un sito online. Ma questa è una raffinatezza per esperti: continuate?

International Business e l’impatto del digitale.

M’interessa perché: 1) fa vedere come un intero segmento dei periodici affronta la concorrenza del digitale; 2) riflette le ansie sulla sopravvivenza stessa della carta; 3) un concetto su cui ritornare: magazine come promotional commodity… quanti esempi in Italia, pensate solo alla Vogue Night della moda e dei negozi di abbigliamento a Milano.

Il punto: divisi tra una nuova funzione dei periodici, più promozionale, e l’abisso (cito dall’articolo) dell’informazione abbondante, confusa e gratuita su internet.

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Men’s Health e l’offerta su Facebook

Rodale si allarga nel digitale su Facebook e da martedì utilizza il social network per offrire ai lettori delle sue testate di punta, Men’s Health e Women’s Health, contenuti del giornale, contenuti extra, programmi d’allenamento, diete, proposte d’esercizi per il week end, video, insomma una serie di proposte GIORNALISTICHE senza che il lettore debba lasciare Facebook, un arricchimento dell’offerta cartacea. Le app delle due riviste vanno sotto il nome di Get More.

Men’s Health e la proposta di Rodale per il digitale

 

M’interessa perché: 1) prima o poi sul digitale bisogna mettere contenuti, tutto il resto non basta.

 

Il punto: come crescere nel digitale.

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Francia/ Ecco quante copie digitali vendono i periodici

Date un’occhiata a queste tabelle, sono le diffusioni dei principali settimanali e mensili francesi. Riguardano il primo semestre del 2012. Il dato interessante è quello delle copie digitali, copie replica del giornale di carta vendute nell’edicola online. Fa meglio di tutti Le Monde Magazine, che supera le 16 mila copie digitali. Non molto, non molto.

Journal du net: diffusioni e copie digitali in Francia

M’interessa perché: 1) come per i dati sulle diffusioni Usa (guardate il mio post del 20 agosto 2011), anche in Francia s’iniziano a rendere pubblici quelli delle copie digitali; 2) anche in Francia, come negli Usa, è davvero difficile vedere per il momento nella “copia” digitale una offerta che possa in seppur minima misura compensare le perdite, rilevanti, dell’edicola, del newsstand.

Il punto: riflettiamo su cos’è lo sviluppo digitale dei priodici, se bisogna offrire “giornali” completi o invece puntare su altro, un bouquet di servizi, scambi di opinioni, iniziative e una spruzzata di contenuti giornalistici che alimentano un dialogo con il lettore e rafforzano il brand, allargandone il raggio d’azione al di fuori dell’ambito prettamente giornalistico.

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Australia/ Più tablet, più periodici

L’agitazione che c’è in questi giorni in Australia per l’arrivo del Gruppo Bauer, editori tedeschi, promuove riflessioni sui magazine e, guardate un po’, sul digitale. In questo pezzo del Canberra Times si dice, in sostanza, che aumenteranno i lettori di periodici, i lanci di nuove testate, e si diffonderà un fenomeno nuovo, reso possibile dal comparire delle edicole digitali: l’acquisto globale di testate un tempo confinate in mercati nazionali. Un solo dato per spiegare perché si fanno queste (facili?) previsioni: si prevede che nel 2016 metà della popolazione australiana avrà un tablet.

Canberra Times: tablet e periodici

 

M’interessa perché: 1) vede i tablet come amici dei periodici (ma addio al lato glossy); 2) descrive un nuovo fenomeno internazionale: l’edicola senza confini. Beati gli editori in lingua inglese. Pare che alcuni quotidiani britannici vendano bene negli Usa e forse non è un caso che l’ex direttore della Bbc sia approdato negli sates, al New York Times.

 

Il punto: le acque sono meno torbide, si inizia a vedere cosa c’è sotto e (ahi, qui son facili le ironie) pare che ci sia una strada per non affondare.

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Una indagine sul futuro dei periodici

Succosa ricerca di IbisWorld sull’industria dei periodici. Lo scenario è mondiale ma troviamo tante delle angosce che agitano i sonni in Italia e la ricerca fornisce una cornice nella quale inquadrare tanti problemi che, da una prospettiva unicamente nazionale, rimangono nebulosi.

E’ succoso. Declinano i ricavi dei magazine nei Paesi occidentali, ma si apre una finestra per crescere nel digitale e compensare le perdite nella carta, che continueranno negli anni a venire. Il digitale può ridare un senso alle testate tradizionali, a patto che ci sia una conversione alle nuove logiche comunicative e di business; altre testate nasceranno, solo digitali, anche di nicchia, e si potranno fare utili. A livello globale è in corso un processo di concrentrazione che porterà molti piccoli editori a sparire, perché in difficoltà di fronte al digitale e privi della liquidità necessaria per fare un salto in avanti. Vi ci ritrovate? Bene.

Il primo articolo presenta la ricerca, il secondo link porta al sito di IbisWorld e ai risultati riportati in modo ampio. Buona lettura. E non buttatevi troppo giù.

Daily Markets: indagine sulle trasformazioni nell’industria dei mag.

IbisWorld: indagine sull’industria dei magazine

M’interessa perché: 1) è una guida alle trasformazioni che ci hanno presi in pieno.

Il punto: i periodici (pare, speriamo) non moriranno ma per adattarsi al nuovo mondo servono soldi e investimenti che pochi, al momento, si possono permettere. Ripeto, i periodici probabilmente sono ora investiti da processi di concentrazione come è avvenuto nelle banche e nelle auto.

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Blog / Un watchdog per i periodici femminili

Liz Jones, ex direttore di Marie Claire Uk, mette alla berlina alcuni vezzi e cattive prassi dei periodici femminili britannici, da Elle a Grazia. Didascalie a prova di bambino, pubblicità così poco occulte da suonare derisorie verso il lettore, contraddizioni tra nobili propositi e basse operazioni di ritocco fotografico (vedi la copertina di Vogue America con Lady Gaga).

Per chi sa l’inglese (d’obbligo per chi vuole apprezzare a pieno il mio blog) è una lettura divertente.

The Daily Mail e un watchdog dei femminili

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Cosa vogliono davvero i lettori

Malinconiche meditazioni sui periodici in Australia dopo il blitzkrieg del Gruppo Bauer, che ha preso il controllo del principale editore nazionale.

Si discetta di media, di come 24 ore siano poche e la tecnologia riempia il tempo dei più, tra smartphone e social media. Per i magazine è rimasto poco posto.

Di fronte al calo delle diffusioni, un fenomeno iniziato dal almeno un DECENNIO, gli editori, dicono al The Australian, dovrebbero fare il mea culpa per non essersi interrogati a sufficienza su cosa vogliono i lettori e la qualità dei prodotti.

 

The Australian, una riflessione sui mag dopo arrivo Bauer

M’interessa perché: 1) si è arrivati a un punto di svolta, ci si deve fare una serie di domande (lo fanno perfino in Australia); 2) al tempo stesso la tecnologia avanza inarrestabile, tra nuovi telefonini e social media, che assorbono il tempo libero della gente.

Il punto: ha senso incolparsi per il collasso dei periodici o c’è una strada da percorrere?

 

 

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Collasso della pubblicità: nei periodici è -14,8%

Naturalmente è questa la notizia del giorno. Nei primi sei mesi del 2012 la raccolta pubblicitaria nei periodici è calata, secondo i dati Nielsen, del 14,8 %, più che nei quotidiani (-13,3%), meno che nel settore cinema/sale (-21,9%). Cresce nei media solo Internet, con un +11 %. Ma sarebbe bello vedere come se la cavano singolarmente i principali editori.

Negli Usa la pubblicità dei periodici ha perso solo l’1,4 % nel primo quadrimestre del 2012. Ma è l’unico settore dei media in perdita (guardate il post del 29 agosto 2012).

Italia, collasso pubblicità nei primi sei mesi 2012

M’interessa perché: 1) allarme, allarme rosso; 2) il mercato italiano è un disastro se confrontato con quello degli Usa.

Il punto: in che misura i giornali, i direttori, i giornalisti sono responsabili? In che misura i magazine sono antiquati in rapporto alle esigenze della pubblicità? Solo domande su questo.

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In Uk Hello! non sarà più un magazine gossipparo ma…

… ma un femminile di lifestyle e moda. Così l’editore di Hello! ha chiesto che venga rivisitato il magazine, spin-off dello spagnolo !Hola!, e questo viene chiesto a chi gestisce i newsstand, le edicole: mettere la rivista accanto a Grazia, Elle, Marie Claire. Ricorda analoghe operazioni tentate in Italia, seppur in modo non così deciso (Chi di Mondadori). E la corsa verso i femminili di fascia alta che sta avvenendo un po’ ovunque.

Hello!, celebrity mag, dice addio ai vip e diventa un women’s lifestyle mag

M’interessa perché: 1) anche all’estero sono in crisi i giornali sulle celebrity, dopo 10 anni di indigestione di personaggi.

Il punto: la celebrity è chip, il lusso hot. Per i periodici dei grandi editori, chiaro, non per i piccoli che puntano sul pubblico popolare e il prezzo di copertina contenuto.

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I tedeschi di Bauer fanno razzia di magazine in Australia

Il gruppo Bauer, che nel mondo pubblica oltre 400 magazine, ha acquistato per 500 milioni di dollari ACP Magazines, il maggiore editore di periodici australiano. Bauer, fondata nel 1875, dichiara fiducia nel futuro dei magazine. E crede che i magazine asutraliani e neozelandesi di ACP siano una “piattaforma perfetta” per l’espansione in area digitale. Leggete bene: magazine piattaforma ideale per l’espansione in area digitale. Bauer possiede 100 website e 50 tra radio e tv in 15 paesi, inclusi Uk, Stati Uniti, Messico, Russia, Cina. Buona lettura.

Bauer fa shopping di periodici in Australia

M’interessa perché: 1) fa vedere come grossi gruppi editoriali si muovano sul mercato globale (do you remember Hearst e Lagardère?); 2) c’è chi investe nei periodici, ci crede; 3) i periodici vengono visti (lo dico per la terza volta, sarà vero?) come una perfetta posizione di partenza per la creazione di un business digitale.

Il punto: i periodici hanno (forse) un futuro ed è in atto un processo di concentrazione a livello globale (ma non è successo anche con le auto, le banche etc etc?).

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Il paradosso dei quotidiani: mai così letti, mai così poveri (quelli occidentali)

L’Associazione mondiale dei quotidiani (Wan-Ifra) ha diffuso i dati sulla circolazione dei quotidiani nel mondo. La sintesi è che mai come ora la gente legge quotidiani e mai come ora i quotidiani, nel mondo occidentale, si trovano in difficoltà economiche. Metà della popolazione mondiale legge giornali ogni giorno, 2,5 miliardi di persone sfogliano i quotidiani di carta, 600 milioni guardano le edizioni digitali (leggete tutto, è interessantissimo). Ci sono grandi differenze tra Asia ed Europa, Paesi emergenti e Stati Uniti e Sud America, tra realtà dove si assiste a un boom della stampa e altre dove si assiste a una crisi da cui sembra difficile uscire. Ma, dice la sintesi del pezzo, il problema non è la pervasività di questi prodotti editoriali bensì la difficoltà degli editori nel trovare un modello di business che metta insieme brand importanti, carta e digitale. Enjoy.

 

Quotidiani più letti ma più poveri.

 

M’interessa perché: 1) individua il punto critico per la stampa: trovare un modello di business nel digitale, con il digitale.

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Crea il tuo giornale – Un gioco

Si chiama Zeen. Date un occhiata e giocate a fare il vostro giornale con questo programmino: potete disegnarlo, riempirlo di contenuti e diffonderlo online. Come si faceva da piccoli, a casa, immaginando di essere grandi e fare i giornalisti. Ma senza carta, al computer.

Se il digitale imita la carta (dei magazine).

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Mondadori e la via al digitale

Mondadori prosegue in Francia con la politica di acquisizione di siti di piccoli annunci. Dopo il portale per la compravendita di case di quello di auto, ora tocca a NaturaBuy, sito specializzato in prodotti per la caccia, la pesca e il tempo libero (all’aria aperta). Vi viene da ridere? Sbagliereste. Mondadori France, tanto per cominciare, edita la rivista leader del settore, «Le chasseur français» e pensa chiaramente a un effetto volano sia per gli scambi sul sito sia per le vendite della testata, sia per il consolidamento del brand. In secondo luogo, NaturaBuy, fondato nel 2007, è di per se un bel bocconcino, con il suo giro d’affari da 24 milioni di euro l’anno e gli alti margini (leggete quel che dice Ernesto Mauri, presidente di Mondadori France). Non a caso la casa editrice si propone di portare le transazioni sul sito a 100 milioni di euro entro cinque anni. In altre parole, tanto per andare al nocciolo, Mondadori segue la scia di Springer in Germania, che crea legami forti tra attività editoriale e commerciale su internet, fa crescere i giornali nell’online e utilizza il brand per fare ricavi anche in altri settori. O i siti di scambi per fare ricavi e consolidare i giornali, nell’anno della grande caduta e per il futuro. Il digitale non è solo giornalismo e gli editori moderni cambiano così.

Mondadori France compra il sito Naturabuy

 

M’interessa perché: 1) mostra quale può essere una linea di sviluppo sul digitale per gli editori di periodici; 2) giornali e attività commerciali si sostengono a vicenda, cn efetti positivi sui ricavi (come minimo di consolidamento.

Il punto: come gli editori di periodici possono fare soldi con il digitale.

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Germania, il femminile Brigitte riporta le modelle in copertina

Nel mondo dei femminili era stata una novità considerevole: eliminare le modelle dalle copertine. Fotografare le lettrici e donne normali, come tutte le altre. Magre e in carne, giovani e in età di nipoti, belle e non belle ma con fascino. L’esperimento l’ha fatto Brigitte, il femminile più venduto in Germania (ora fa circa 600 mila copie), bisettimanale edito da Gruner + Jahr, in edicola dal 1954. In Italia la strada è stata seguita da Donna Moderna (Mondadori), di gran lunga il settimanale femminile più diffuso, diretto da Patrizia Avoledo. Ora, dopo due anni, Brigitte sta riflettendo sulla scelta e potrebbe tornare indietro. Non c’è stato incremento di vendite e per i fotografi lavorare con delle modelle “per caso” è più faticoso e richiede più tempo.

Brigitte ci ripensa, dopo due anni tornano le modelle in copertina.

M’interessa perché: 1) parla di un femminile per un pubblico ampio, il ceto medio, non un lettorato elitario, da glossy magazine.

Il punto: il ceto medio… esiste ancora nell’editoria?

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Cosa vogliono le donne da un giornale

Che cosa cercano e vogliono leggere le donne quando comprano un periodico femminile? Su questo sito australiano si capiscono quali cambiamenti sono avvenuti con l’arrivo della tecnologia digitale. Facebook, fotografie, condivisione rapida di esperienze, emozioni. Parlano Edwina McCann, editor di Vogue in Australia, e Sarah Wilson, ex editor australiano di Cosmopolitan.

Perché le donne leggono riviste.

 

M’interessa perché: 1) si ragiona sul modo in cui possono cambiare i periodici femminili nell’era digitale.

 

Il punto: digital e ancora digital

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Condé Nast e alcune buone notizie per i giornali

Condé Nast torna a fare i muscoli esibendo i risultati in Gran Bretagna e nel Vecchio Continente. L’articolo del London Evening Standard riporta che l’anno scorso nel Regno Unito Condé Nast ha visto crescere i ricavi del 5,2 per cento a 117,9 milioni di sterline e gli utili prima delle tasse del 14 per cento a 17,3 milioni. In Europa, Condé Nast International ha fatto ancora meglio con un incremento del fatturato del 7,7 per cento a 460,2 milioni di sterline e con un margine di 43,5 milioni di sterline, incluso, BADATE BENE, un buon risultato in Spagna e Italia.

Condé Nast continua a far soldi con copie e pubblicità in Uk.

 

M’interessa perché: 1) i glossy magazines, è confermato, reggono meglio la crisi; 2) forse hanno anche un futuro.

 

Il punto è: ci sono magazine che rispondono meglio alla crisi.

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