Ieri abbiamo visto che Lloyd’s List, il più antico giornale pubblicato nel mondo, abbandona l’edizione cartacea perché ha avuto successo nel digitale.
Ma Newsweek ha fatto la stessa mossa per disperazione: in edicola non va più.
Mi conforta vedere che le considerazioni fatta con molta cautela su un blog amatoriale come questo trovano conferma nelle parole di chi ha esperienza. Non sbaglio di molto.
Chiudo riprendendo una frase da veggente di Jeff Bezos, patron di Amazon che ha comprato quest’estate il Washington Post: i giornali di carta continueranno a vivere per decenni. Moriranno prima i siti web dei giornali.
The Guardian: successi e fallimenti dei giornali che passano al digitale.
PERCHÉ Lloyd’s List lascia la carta perché ha successo. Abbandona l’edizione tradizionale perché questa viene sfogliata da appena il 2% dei lettori. Gli altri utenti accedono alle informazioni quotidiane, aggiornate 24 ore su 24, attraverso internet e le piattaforme digitali.
DI COSA PARLA Lloyd’s List, come potete leggere dal link diretto al comunicato del giornale alla fine di questo post, era nato come un bollettino affisso alle pareti di un coffe shop londinese. Contiene da sempre informazioni preziose per chi fa affari con la marina commerciale e nel mondo delle spedizioni. Le notizie del giornale possono condizionare decisioni importanti, contratti da siglare, Paesi verso cui indirizzare investimenti, praticabilità politica. Il giornalismo è nato così. Con la Borsa e Voltaire.
SUCCESSO DIGITALE Ma l’addio alla carta non è una battuta d’arresto. Da tempo la società sta investendo nel digitale. E questa pubblicazione di nicchia e specializzata, con oltre 16.000 abbonati in tutto il mondo, non si è sentita insidiata dalla copiosa offerta di informazione gratuita disponibile su internet.
In an online market littered with unreliable reports, unverified statements and unquestioned gossip, Lloyd’s List has committed itself to highest standards of journalistic integrity and accuracy.
In un mercato online inondato da notizie inaffidabili, affermazioni non verificate e gossip senza limiti, Lloyd’s List s’impegna a garantire i più alti standard d’integrità e accuratezza giornalistica.
L’ADDIO L’ultima copia del Lloyd’s List uscirà il 20 dicembre 2013, dopo quasi 289 anni di pubblicazioni senza interruzioni.
Telegraph: Lloyd’s List abbandona la carta.
Lloyd’s List: perché il giornale si affida solo al digitale.
In my beginning is my end. In succession Houses rise and fall, crumble, are extended, Are removed, destroyed, restored (…)
ALLEANZA TRA EDITORI Leggo su Italia Oggi che dalla prossima primavera sarà possibile acquistare giornali sulla tanto attesa Edicola Italiana. Si tratta dell’edicola virtuale, tutta tricolore, creata da sei editori: Rcs Mediagroup, Gruppo L’Espresso, Mondadori, Gruppo Sole 24 Ore, Gruppo Caltagirone, La Stampa. Ma altri potranno aggiungersi.
COME COMPRARE Si tratta di un importante strumento per permettere a chiunque di comprare giornali ovunque ci si trovi (connessione a internet permettendo) e senza uscire di casa.
Potremo comprare singole copie, fare abbonamenti o comprare un voucher con cui poi acquistare giornali.
Si potranno leggere i giornali su smartphone e tablet. La notizia esce nel giorno in cui Jeff Bezos annuncia il lancio di 3 nuovi tablet di Amazon.
PRO E CONTRO Un bene, un male?
-Un bene se si vuole incoraggiare il progressivo passaggio al digitale, con relativo contenimento di costi per gli editori sulla stampa e la distribuzione.
-Un bene se si vogliono avvicinare quelle persone, soprattutto giovani, che vogliono leggere su tablet e smartphone e trovano vecchia la carta (ma i giornali digitali sono semplici copie della testata cartacea).
-Un bene perché Edicola Italiana bypassa la mediazione di Apple e della sua edicola: Apple trattiene il 30% del prezzo pagato dal lettore e non passa agli editori i dati sui lettori, materiale prezioso per fare offerte mirate, incoraggiare le campagne pubblicitarie, proporre nuovi prodotti.
-Un male per gli edicolanti, che da tempo chiudono punti vendita a causa di mille problemi, ultimo il calo delle diffusioni.
Ma quanto vende un’edicola digitale?
IN FRANCIA Ho trovato i numeri delle edicole virtuali francesi. L’offerta è vivace e aperta alla concorrenza: si confrontano vari siti, in particolare Relay, ePresse, Lekios (presente anche in Italia).
I dati riguardano gli ultimi sei mesi. La crescita è continua: anche il pezzo di Italia Oggi dice che in Francia c’è stato un incremento del 30% in estate.
Relay.com, che vende 158 titoli e appartiene a una società dell’editore Lagardère (gigante della stampa, presente fino al 2010 in Italia con Hachette Rusconi, oggi Hearst), ha il 44% del mercato e ha venduto 687 mila copie in sei mesi.
Lekiosk è secondo con il 33% del mercato e 508 mila copie.
Segue l’edicola internazionale Zinio, con il 10% del mercato e 140 mila copie vendute.
ePresse, con appena 95 titoli in esposizione, ha il 7,8% e vende 120 mila copie.
Pare di capire che per un po’ di tempo edicole tradizionali ed Edicola Italiana dovranno convivere. Amandosi, si spera.
I PIÙ INNOVATIVI Alcuni degli editori più innovativi, secondo il consulente media Peter Kreisky che ha parlato ieri al Congresso di Fipp a Roma, sono: Hearst, Axel Springer, Conde Nast, Atlantic Media e The Economist. Kreisky ha individuato sei lezioni da trarre dalle azioni di queste società.
Ne riporto una per esteso. Delle altre c’è solo il titolo. Ma le potete leggere nel link a fine post.
P.S. Ieri è uscito il rapporto di Fipp di cui avevo parlato qualche giorno fa, dando anticipazioni. Potete leggere qui l’estratto (il rapporto intero è a pagamento).
L’EDITORE AMERICANO MODELLO Il primo punto inizia con questo imperativo nel titolo:
1) “Strutturati intorno a un mercato, non intorno a un prodotto”.
Tradotto in italiano, scegli un pubblico, e affettalo, analizzalo, spremilo. Se capisci i bisogni di quella fascia di lettori, studiati con tutti i dati messi oggi a disposizione dal digitale, puoi proporre nuovi prodotti.
LE RIVISTE RIMANGONO IMPORTANTI Ho capito questo, rileggendo il rapporto di PwC, società internazionale di consulenza. Che i periodici, quanto a capacità di farsi leggere dagli italiani e di raccogliere pubblicità, diventeranno un mondo ancora più piccolo di quanto non siano nel 2013. La spesa complessiva su questo media in Italia (copie in edicola, abbonamenti, annunci) passerà da circa 2 miliardi di euro a circa 1,5 miliardi nel 2017. Ma le riviste di carta, e le loro estensioni digitali, resteranno comunque una forma di intrattenimento e comunicazione rilevante per il giro d’affari complessivo, seppur ridimensionato rispetto al 2008. Inferiore a tv, gioco (lotterie e azzardo, anche online), quotidiani, libri, internet. Ma superiore a cinema, musica, radio.
PESERANNO MENO Il nostro paese è più di altri legato a questa formula giornalistica, come rivela il confronto con il resto dell’Europa (il settore media e intrattenimento italiano è il 9,2% del totale europeo; ma i periodici italiani sono il 9,7% del totale europeo). Le edicole sono piene di riviste. Ma, rispetto ad altre forme di intrattenimento, arretreranno di molto da qui al 2017. Più di tutte le altre (un calo del 5,8%, superiore a quello dei quotidiani. Gli altri settori, invece, cresceranno nei prossimi 5 anni, con eccezione di libri e musica: tv, internet, gioco, cinema etc etc).
Una delle ragioni, spiegano gli analisti di PwC, è il peso delle copie vendute in edicola: a causa della crisi, la gente ha speso meno e c’è stato il tracollo delle diffusioni. Gli abbonamenti, un canale poco rilevante in Italia, reggono invece meglio, perché la gente tende a rinnovare le sottoscrizioni. O comunque non prende decisioni di settimana in settimana, o di mese in mese, come per i prodotti in edicola. Lo si è visto negli Usa, dove le copie vendute in abbonamento sono 9 su 10, e difatti non si è registrato un crollo delle diffusioni. Ma nel nostro paese le tariffe postali, e la qualità del servizio di consegna a domicilio, scoraggiano gli editori dall’investire in questa direzione. Non è un investimento: è una perdita.
COME MIGLIORARE Come reagire? Il rapporto contiene solo due indicazioni. La prima sulle copie digitali delle riviste. Ha senso proporle anche se non compenseranno il calo in edicola. Consentono infatti di raggiungere lettori benestanti, che si possono permettere l’acquisto di tablet, dunque un pubblico appetibile come target pubblicitario. La seconda raccomandazione riguarda la creazione di community intorno ai siti e alle app e all’attività social delle riviste, il digitale. Solo così i periodici resteranno un media rilevante.
Ma queste sono solo previsioni. E sarebbe bello riprendere i rapporti di PwC degli anni passati e vedere di quanto si siano avvicinati alla realtà.
Rapporto PwC: i media tra 2013-2017.
IL PUNTO DI VISTA DEGLI EDITORI Ascolto chiunque parli di giornali. Ma l’attenzione raddoppia se a prendere la parola è chi guida un grande gruppo editoriale. Perché sicuramente sa fornire un quadro d’insieme in cui è possibile distinguere tra quel che è vitale e quel che è accessorio.
Riprendo parte del discorso fatto ieri da Ernesto Mauri, Ceo di Mondadori, alla apertura del Congresso mondiale di Fipp a Roma. Dove si ritrovano anche oggi i più grandi editori internazionali, in prima fila Hearst, Time Inc., Axel Springer. Dalle parole dei loro rappresentanti al convegno sono usciti innumerevoli esempi di strategie e scelte per lo sviluppo dei periodici.
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READERSHIP Non parliamo di copie vendute in edicola o in abbonamento, giornali di carta o copie digitali. I numeri di questo post riguardano i lettori. Coloro che sfogliano o consumano i contenuti di una testata anche senza comprarla. I dati di Audipress mettono a confronto il periodo da aprile a giugno con i primi tre mesi del 2013.
PERDE LA CARTA STAMPATA Viene fuori che i settimanali hanno perso il 3,4% dei lettori (tenendo conto delle testate chiuse nel frattempo). I mensili hanno visto scendere i lettori del 2,4%. Complessivamente i magazine hanno “smarrito” il 4,1% del proprio pubblico. I quotidiani si limitano a un -1%. Passando alle singole testate periodiche, si nota che sono quasi tutte in negativo, le pochissime eccezioni non sono rilevanti per la comprensione del fenomeno. È il punto più basso della crisi? Le copie in edicola, stando agli ultimi dati, sono invece in ripresa.
Primaonline: dati Audipress sul lettorato dei periodici.
UNA STRADA OBBLIGATA I video: non a tutti i magazine accadrà come a Penthouse, la rivista erotica che ha cessato le pubblicazioni in questi giorni, piegata dalla concorrenza del porno in streaming. C’è chi vuole svilupparsi nel digitale. Riporto allora la notizia relativa a Time Inc., la principale società di periodici negli Usa, che sta raffinando la strategia dei video nei propri siti di testata. Ci sarà una cabina di regia e maggiore coordinamento. Sono state fatte assunzioni, è stato aperto uno studio che consente il live streaming a New York. L’editore è già partito con la testata Sports Illustrated, proseguirà investendo in Entertainment Weekly, Real Simple, Time.
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COME GUARDIAMO LA TV Ci penso dopo aver visto alcune ricerche che descrivono come cambia il modo di passare il tempo libero. E il boom previsto nei prossimi anni di internet come media e della pubblicità nel digitale. Hanno a che fare con i periodici? Forse sì.
Avanza il fenomeno second screen. La gente guarda un programma in tv e allo stesso tempo utilizza smartphone e tablet. Per lavorare e farsi gli affari suoi. Ma anche per condividere con altre persone quel che sta passando in tv. Ve ne accorgete quando su Facebook si giudicano con dei like i personaggi di un talent show. Quando su Twitter si sbertucciano i politici ospiti di Ballarò, e lo si fa mentre il talk show va in onda. E ancora, con i commenti a caldo delle partite di calcio e mille altre cose.
UN PROBLEMA DELLA CARTA STAMPATA In luglio i periodici hanno perso a valore (quanto s’incassa) il 24,1% rispetto allo stesso mese del 2012. Come i quotidiani. Peggio fa solo il cinema. Sono numeri diffusi ieri dall’istituto Nielsen. Il dato complessivo del calo degli investimenti in pubblicità è invece “solo” del 5,4%, e da inizio anno il mercato ha perso il 16%. Le buone notizie sono limitate alla tv, che torna a vedere una crescita (1,6%) al termine di 21 mesi di risultati negativi (2 anni!). Mentre internet, dopo 4 mesi in calo, segna una crescita del 5%.
Se avessi trovato maggiore consistenza nella notizia, oggi avrei pubblicato un post sul survey di Deloitte, società di consulenza presente in tutto il mondo, intitolato State of the Media Democracy.
PASSIONE DIGITALE Anticipato ieri da Corriere Economia, il rapporto dice, innanzitutto, che gli italiani sono onnivori di internet. La propensione a usare computer portatili, smartphone e tablet è tra le più alte registrate nei paesi avanzati. Questa è una notizia, perché conferma e rafforza quanto era stato messo in luce quasi un anno fa da una ricerca di Boston Consulting Group, altra grande società di consulenza, sull’entusiasmo degli italiani per i device usati per navigare su internet e il digitale. Forse possiamo dire senza sbagliare che il nostro mercato è promettente per quegli editori che sapranno giocare bene le carte della transizione al nuovo mondo della comunicazione.
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CONSIGLI AI QUOTIDIANI I consigli vengono dispensati da uno che se lo può permettere, quel Frédéric Filloux, collaboratore del Guardian, che guida il consorzio francese ePress. Sulla Monday Note per il quotidiano britannico, Filloux si rivolge a Bezos, fondatore di Amazon, per ragionare sulle possibili strategie per il Washington Post, comprato a inizio agosto da Bezos. Una riflessione che vale la pena riprendere perché tocca tutti i quotidiani, incerti sul passaggio al digitale.
I PERIODICI SONO PIU’ INNOVATIVI Riporto solo un passaggio, riguarda il design e il taglio dei contenuti del Washington Post. Come svecchiare un quotidiano che sfida la pazienza del lettore quanto a veste grafica? Filloux addita il mondo dei periodici. Sono sempre stati all’avanguardia, dice. Le innovazioni grafiche, nella carta stampata, sono sempre arrivate dalle riviste, per passare poi ai quotidiani.
INTERESSA AI GIORNALISTI Molti dei siti giornalistici americani che riprendo in questo blog parlano di com’è cambiata la pubblicità nel digitale. Con la crisi, chi lavora in quotidiani e periodici, radio e tv, ha capito la centralità dei guadagni da pubblicità per la sostenibilità dell’attività giornalistica. Sappiamo che se l’informazione non troverà un nuovo equilibrio economico, il suo spazio si ridurrà di molto in un futuro vicino.
Da mesi sto cercando di capire come funziona la pubblicità nel digitale. Non sono un esperto dell’argomento, per niente. Ma ho provato a orizzontarmi.
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Alla fine il Miami Herald, storico quotidiano della Florida, con mille dipendenti, ha traslocato. Ecco una foto della cerimonia d’addio, dopo la riunione di redazione delle 3 del pomeriggio, il 16 maggio.
Il progressivo impoverimento del giornale è stato oggetto di articoli in tutto il mondo. La sede aveva una bellissima vista sul mare. Ma per tirar su qualche soldo un enorme cartellone pubblicitario era stato appeso alla facciata principale, oscurando le finestre di parte della redazione, proprio quelle che davano verso l’oceano. L’episodio è stato narrato in apertura di un importante rapporto del 2012 sulla transizione dei media, The Story so Far, della Columbia University. Non era sfuggito un diabolico dettaglio: la pubblicità che copriva il palazzo era di iPad di Apple, simbolo del digitale che avanza e manda in crisi i media tradizionali.
TINA BROWN, ADDIO Se ne parla su paidContent, lo fa Mathew Ingram, il quale trasforma la notizia dell’addio di Tina Brown a The Daily Beast (società e sito giornalistico digitale, che ha appena venduto Newsweek) in una riflessione sulla fine di un certo stile di direzione nei giornali. E sul declino di un certo mondo, quello dei periodici patinati.
CONFERMA Viene confermato anche dalle rilevazioni del mese di luglio il trend favorevole che abbiamo visto nei due mesi precedenti. Si è passati da poche testate a un gran numero di settimanali e mensili che recuperano copie vendute, mese su mese.
COS’È L’app non è una copia replica del giornale per l’edicola, che come noto parla di moda, musica, film. Ma un prodotto multimediale pensato per la dimensione digitale. Il concetto è: la tua settimana in 20 minuti. Ci sono funzioni interattive e video, con in più la possibilità di fare e-commerce senza uscire dall’app (in-built) per comprare i prodotti segnalati.
L’EDITORE CAMBIA ROTTA Gruner und Jahr, controllato dal gruppo Bertelsmann, editore del settimanale Stern e del femminile Brigitte, ha annunciato di essere pronto a investire centinaia di milioni di euro nello sviluppo digitale e in acquisizioni in questo mercato.
L’investimento avverrà in un periodo dai 3 ai 5 anni. E, si legge nel lancio di Reuters che cita un comunicato di Gruner, non ci saranno tagli secchi di posti di lavoro ma un “allineamento” della forza lavoro progressivo, settore per settore, rispetto agli obiettivi. In altre parole, saranno create anche nuove posizioni nelle aree di sviluppo.
CAMBIAMENTO EPOCALE Riptide in inglese significa vortice d’acqua, è il punto di scontro tra maree e correnti con direzioni diverse, un fenomeno della natura drammatico e terribile. È quello che sta accadendo al mondo dei media. Questo progetto di racconto corale e multimediale mette insieme le voci dei protagonisti, positivi e negativi, vittoriosi e forse sconfitti, di questa trasformazione epocale. Iniziata nel 1980 con la diffusione del computer nel mondo dei media. Questa straordinaria impresa narrativa, di cui tutti sentivamo il bisogno, magari non consapevole, è stata portata avanti dal Joan Shorenstein Center on The Press Politics And Public Policy e dal Nieman Journalism Lab dell’università di Harvard.
UNA RACCOLTA DI DATI E STORIE DI SUCCESSO È indispensabile sapere cosa dicono gli studi e le statistiche raccolte dagli editori sullo sviluppo digitale dei giornali e dei media, con una serie di esempi concreti da guardare bene, di case history. Sono esposti nel World Digital Media Factbook 2013. È già disponibile un estratto del testo che verrà diffuso in coincidenza con il congresso della Fipp, l’associazione mondiale degli editori di giornali, in programma a Roma dal 23 al 25 settembre.
FENOMENO E-COMMERCE Condé Nast, che pubblica Vogue, GQ, Glamour, ha acquistato per 20 milioni di dollari una quota di Vestiaire Collective, sito francese che vende abiti e accessori di lusso. Si tratta di un marketplace, una vetrina, in cui si possono proporre capi e oggetti usati, ma accuratamente selezionati, dal valore di migliaia di euro. Anche di più. La società proprietaria del portale trattiene il 33% della somma pagata.
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NON CHIAMATELI PERIODICI Il piano strategico di RCS Mediagroup, che rileggiamo a 5 mesi dalla pubblicazione, cambia il nome dei periodici. Il passaggio dedicato alle trasformazioni delle riviste usa un termine nuovo: verticali. Si dice esplicitamente che si passerà da un portafoglio di testate periodiche a “ecosistemi” editoriali, strutture di produzione multimediali, specializzate in uno specifico target (verticali, appunto): donna, lifestyle, casa/design, bambino.
RILEGGERE UN PIANO Sì, rileggere serve non solo a capire meglio. Se fatto a giusta distanza di tempo, le esperienze arricchiscono di significato la prima lettura. Posso così dire che riprendere in mano e sfogliare a 5 mesi dalla diffusione il Piano 2013-2015 di Rcs Mediagroup mi ha dato una maggiore profondità di visione. È come avere una mappa che ti dice dove ti trovi. Sto parlando del piano proprio di questo editore non per giudicarne le scelte ma semplicemente perché la società ha reso pubbliche le sue strategie nella fase della ricapitalizzazione.
Riporto alcuni punti del piano, quelli più vividi alla luce degli avvenimenti di questi mesi. Mesi in cui Rcs, ma non solo, ha chiuso testate, rivisto l’offerta di prodotti, avviato tagli dei costi e novità digitali.
LA PREMESSA: C’E’ UN VALORE DA DIFENDERE 1) I cambiamenti aziendali sono dettati non solo dalla crisi che ha colpito il settore della carta stampata ma anche dalla comparsa di concorrenti non tradizionali che non stampano giornali ma offrono contenuti e servizi nel digitale. Con la conseguenza di togliere pubblicità e audience agli editori. Come scritto su questo blog, perdi un lettore anche se questo decide di passare il suo tempo libero non leggendo giornali ma cazzeggiando sui social network. 2) Un editore di giornali importante (nel caso di Rcs, un leader) parte dalla consapevolezza di possedere attività ritenute ancora autorevoli, forti, popolari, utili e interessanti per milioni di persone, testate capaci di fornire contenuti di valore. 3) L’obiettivo è dunque conservare rilevanza. Lo si fa, a leggere il Piano, offrendo al pubblico nuovi prodotti, anche digitali; riorganizzando le attività per dare più agilità ai processi; riducendo i costi, soprattutto nelle aree che stanno sperimentando una caduta dei fatturati e degli utili; cambiando cultura aziendale. Si dice che bisogna farlo in modo “rapido” e “radicale”.
Non è possibile dare un giudizio decisivo perché l’intesa è lontana dal passaggio parlamentare. Soprattutto, non è stata trovata la copertura finanziaria per una misura che prevede una disponibilità di 40 milioni di euro all’anno, per tre anni. 120 milioni.
COSA PREVEDE Risorse rilevanti? E rispetto a quali tra gli 11 obiettivi fissati nell’accordo? Sono previsti, tra l’altro, il sostegno alle start-up digitali, all’innovazione tecnologica, al ricambio generazionale e delle competenze nelle redazioni, la modernizzazione della rete di distribuzione (edicole), il finanziamento dei prepensionamenti e alla sicurezza sociale nei casi di crisi aziendale (prepariamoci: presto altri editori apriranno stati di crisi). E dunque, quale può essere l’efficacia dell’intesa in rapporto ai fini che essa si pone?
I PERIODICI HANNO FUTURO La notizia su Lagardère aiuta a fare un confronto con l’Italia, a capire che le difficoltà della stampa nel nostro Paese non sono un unicum. Al tempo stesso, l’editore francese fa vedere che si può portare avanti una politica di lanci mirati. Un segnale che il settore, seppur ridimensionato, non sarà smantellato.