Archivio mensile:dicembre 2012

Cosa sono i periodici e il loro dibattuto futuro

Cos’è un periodico?

Più che domandarmi se in futuro i periodici saranno di carta oppure diventeranno prodotti solo digitali, per me conta capire se ci sarà spazio per quell’esperienza di lettura di cui i periodici sono lo strumento.

Un periodico non è un contenitore di notizie che esce una volta alla settimana o al mese.

Un periodico non è l’approfondimento di notizie già uscite.

Un periodico non è neppure un dispensatore di servizi, come le ricette di cucina, i consigli per l’arredamento, una guida alla scelta dello smartphone.

Tutto questo, ammetterete, viene ampiamente dato dalle mille voci che parlano in Internet e nella nebulosa senza confini del digitale.

Provo a condensare.

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Migliori copertine dei periodici nel 2012

Advertising Age ha premiato le migliori copertine di periodici del 2012. Tra le più belle, quelle sulla rielezione di Barack Obama, l’uragano Sally, la scelta di Harper’s Bazaar di non mostrare il viso di una attrice famosissima.

 

Queste gallerie sono sempre belle da vedere a fine anno.

Chi lo dice: Ad Age is the leading global source of news, intelligence and conversation for marketing and media communities.

Adage.com: migliori copertine 2012

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Huffington Post/ Come immaginare il futuro dei periodici

I giornali del futuro assomiglieranno a quelli del presente. Ma bisognerà cambiare i formati per adattarli agli strumenti della lettura digitale. E i profitti saranno enormi. O è solo un sogno?

Non so se si tratta di sponsored content, contenuto sponsorizzato, ma questo intervento su The Huffington Post del boss di una piattaforma per l’editoria digitale, Yudu, ha elementi per me illuminanti sul futuro dei periodici.

Richard Stephenson, questo il nome del Ceo di Yudu, dà per scontato che i magazine continueranno a esistere, e vivranno in una dimensione digitale, come siti o app. Insomma viene messo a tacere lo psicodramma dell’Internet che manda in rovina i giornali di carta con la sua offerta di contenuti infinita (ma frammentati, disseminati, discordanti, faticosi da cercare e raggiungere).

Ma, dice Stephenson, i periodici del futuro dovranno affrontare alcuni nodi e tener conto di certe premesse.

1) Faranno guadagnare molto, perché eliminano le spese di stampa e distribuzione: i margini saranno del 60-85 %.

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Come cambia il giornalismo: il fenomeno E-Single

Il fenomeno E-Single, reportage, ricostruzioni, indagini multimediali, pubblicati anche come e-book, fa discutere l’America. Nasce una nuova forma di giornalismo, si allargano le possibilità espressive. Ma quale spazio ci sarà in Italia?

Immaginate articoli dalle dimensioni di brevi saggi. Arricchiti con foto, video delle interviste, infografiche, ricostruzioni animate di quel che è accaduto. Inchieste, reportage, lunghi più di 5 mila battute ma non oltre le 10 mila, come non ce ne sono più nei periodici di carta. Da leggere in più di 10 minuti ma meno di un’ora. Da scaricare come applicazioni, guardare dal sito di un giornale online o acquistare come e-book con contenuti aggiuntivi.

È la descrizione di qualcosa che esiste già. Sono gli E-Single, fenomeno editoriale di cui l’America discute con entusiasmo.

Il caso del momento è questo, un esempio di giornalismo narrativo, un docudrama, pubblicato dal New York Times, che parla di un grave episodio di cronaca, una valanga di neve di cui si sono occupati a lungo i giornali: Snow Fall – The Avalanche at Tunnel Creek

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Chiusure di testate: chi ha ucciso Newsweek?

Sulla chiusura del settimanale americano si confrontano due scuole di pensiero. Chi punta il dito contro la scelta editoriale di fare un “magazine di idee”. E chi dà la colpa a Internet e alle trasformazioni strutturali del mondo della comunicazione.

L’articolo di Owen Matthews su The Spectator (potete leggerlo andando al link in fondo a questa pagina) riapre il confronto sull’Whodunit, chi è l’assassino di Newsweek, il settimanale d’informazione nato 79 anni fa, che dall’1 gennaio 2013 esisterà solo come applicazione digitale (e sito appoggiato a The Daily Beast).

Si contrappongono la lettura di Matthews e quella dell’ultimo direttore di Newsweek, Tina Brown, cresciuta a Vanity Fair, a molti invisa per lo stile disinvolto con cui ha trattato il giornale dopo averne ricevuto la guida.

LINEA SBAGLIATA. In soldoni. Matthews, ex penna di Newsweek, crede che la responsabilità del crollo di Newsweek sia da attribuire alla linea editoriale delle ultime direzioni. Dal 2006 è prevalsa l’impostazione che ha relegato in secondo piano il deep reporting, la ricerca e scavo delle notizie, per dare via libera al “magazine of ideas“.

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2013, il crollo di Google e il boom dei media digitali

Previsioni della rivista Forbes sul 2013 dei media. Smartphone e tablet veicolo numero uno per le notizie. Crescita delle app che aggregano notizie. Battuta d’arresto delle app giornalistiche. Sconfitta di Google News nella guerra con gli editori di giornali. Crescita della pubblicità nel digitale. Trionfo del “Super Blog”.

Riprendo un intervento uscito ieri sul sito di Forbes. Ashley Harrison, Ceo della piattaforma editoriale Taptu, fa le previsioni sul 2013 dei media. Potete leggerlo andando al link in inglese riportato in fondo a questo post. Harrison indica cinque punti.

MOBILE FIRST. Ormai è chiaro, il futuro di Internet è sul mobile. Smartphone (ormai sono stati venduti nel mondo 1 miliardo di cellulari intelligenti, saranno 1 miliardo 200 milioni nel 2013) e tablet saranno la principale porta di accesso al digitale, visto che il pc ormai cresce lentamente o arretra. Il 30 per cento del traffico (digitale) di The Guardian proviene da mobile. Le Figaro, sito numero uno di informazione in Francia, arriva addirittura al 50 per cento. Quindi, dice la previsione, la pubblicità si sposterà sul mobile.

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Non solo Newsweek: anche Spin tra le chiusure di periodici

Chiude Spint, testata musicale che da 27 anni raccontava la scena musicale alternativa. Il periodico, un mensile che era stato trasformato in bimestrale per tentare di salvare l’edizione cartacea, uscirà solo in formato digitale.

NON SOLO NEWSWEEK. Riporto la notizia della chiusura di Spin, magazine americano letto nel mondo, per tre motivi. Il primo è dire che non solo Newsweek abbandonerà le edicole dal 2013. Il secondo è far vedere come si è arrivati al capolinea: prima di diventare una testata che esce solo online, Spin ha cambiato periodicità, puntato su articoli più lunghi, enfatizzato l’aspetto patinato: ma diventare un prodotto “di lusso” non è bastato. Il terzo aspetto è quel che accade nel mondo dei periodici musicali, pesantemente colpiti dall’avanzare del digitale: c’erano molti concorrenti oggi, di fatto, sopravvive solo Rolling Stone.

I DATI. Spin, negli ultimi dieci anni, ha visto un declino della raccolta pubblicitaria da 661 pagine nel 2003 a 378 nel 2011, con un calo del 43%. Nei primi nove mesi del 2012 c’è stata un’ulteriore, devastante, discesa del 40%, da 287 a 171 pagine.

Quanto alle copie vendute, nel secondo semestre 2011 Spin vendeva, tra edicola e abbonamenti, 460 mila copie, sotto del 15% rispetto allo stesso periodo del 2005.

M’interessa perché: 1) descrive il percorso discendente di molti giornali; 2) fa vedere che si scende a tappe.

Il punto: testate famose sopravviveranno nel digitale?

Chi lo diceMediaPost Publications is an online resource for all advertising media professionals – Online, TV, cable, radio, print, interactive, agencies, buyers.
Madiapost: chiude il periodico musicale Spin

Spin-A

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La crisi dei periodici vista dall’Estremo Oriente

La crisi mondiale dei periodici vista dal più diffuso quotidiano della Corea del Sud. Al primo posto c’è la chiusura di Newsweek e il declino dei settimanali d’informazione americani. Al secondo la fine delle pubblicazioni di Financial Times Deutschland. Al terzo le difficoltà della stampa in Francia. Al quarto, il brusco ridimensionamento dei magazine giapponesi, un mercato grandissimo.

VISTO DALLA COREA. Dong-a Ilbo vende ogni giorno più di un milione di copie in un Paese, la Corea, che ha una popolazione di 40 milioni di abitanti, due terzi dell’Italia, un Pil pari a due terzi di quello italiano, ma lo stesso stesso Pil per persona: 30 mila dollari. E il giornale coreano più diffuso, Dong-a, fa 1 milione di copie. Altri problemi. Ebbene, l’edizione online del giornale (che ha corrispondenti nelle principali metropoli americane, asiatiche, europee ed edizioni stampate in questi Paesi) si domanda: Is print media doomed worldwide? La stampa è destinata a morire? Risponde riportando le principali sconfitte dell’editoria nell’anno che sta finendo.

I GUAI DELL’OCCIDENTE. Dopo aver ricordato la prossima uscita di scena dalle edicole di Newsweek e le difficoltà dei newsmagazine statunitensi. Dopo aver riferito delle traumatiche chiusure in Germania di Financial Times e di Frankfurt Rundschau. Passando per i problemi di France Soir e La Tribune in Francia… l’articolo arriva alla industria dei periodici in Giappone, un tempo fiorente.

PERIODICI GIAPPONESI. In un Paese con un mercato dei periodici sterminato, 158 testate hanno sospeso le pubblicazioni in edicola o chiuso del tutto i battenti. Il fatturato complessivo del settore è calato nel 2011 del 6,6 per cento, fermandosi a 984,4 miliardi di yen, scendendo così scendendo per la prima volta dopo 27 anni al di sotto del trilione di yen (un trilione di yen equivale a 11,8 miliardi di dollari: ripeto, miliardi di dollari). Lo scorso anno è anche stato il peggiore per risultati da quando, 14 anni fa, è iniziata la contrazione nella vendita dei periodici. Il picco era stato raggiunto nel 1997, con ricavi per 1,56 trilioni di yen (18,5 miliardi di dollari: ripeto, miliardi di dollari), dopo una crescita costante iniziata nel 1951. Da quel momento, solo arretramenti.

M’interessa perché: 1) offre il punto di vista, preoccupato, sulla crisi dei periodici di un grande Paese in crescita, la Corea: non siamo ai margini del mondo, ma nel cuore del mondo, cari amici che usate gli smartphone Samsung, disegnati e progettati a Seul ma assemblati in Cina; 2) anche il Giappone vive la crisi della carta stampata.

Il punto: la crisi della carta stampata riguarda tutte le economie avanzate.

Donga.com: crisi dei magazine in Giappone

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La Francia si regala tablet ed edicole online per Natale

In Francia gli editori si aspettano il boom dei tablet per Natale. Intanto hanno aperto la strada al digitale. Gli editori transalpini hanno investito nelle edicole virtuali, promuovono le versioni digitali dei giornali e si svincolano dall’abbraccio asfissiante del Newsstand di Apple. Proprio come stanno facendo gli editori italiani, alleati con i francesi nella guerra a Google e all’informazione piratata e gratuita su Internet.

TABLET PER NATALE. Siamo cugini in tutto, anche nella battaglia per tenere in vita la carta stampata. In Francia, come racconta un articolo uscito su La Croix (è riportato nel link in fondo a questo post), il diffondersi dei tablet, fenomeno che si prevede possa avere una accelerazione grazie ai regali di Natale, sta diventando la base per una strategia degli editori in difesa dei giornali e per lo sviluppo di un digitale che contribuisca ad arrestare il declino dell’editoria giornalistica, compensi con nuovi ricavi le perdite della carta e dia un futuro a quotidiani e periodici.

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Sugli editori, lo sviluppo digitale, le copie replica dei giornali e Ads

Cos’è un giornale digitale? Più della realtà e delle infinite potenzialità creative conta la definizione data da editori e pubblicitari, che hanno deciso, attraverso le loro associazioni di categoria, di certificare da gennaio le copie digitali delle testate vendute in Italia. Avremo uno strumento che aiuta a misurare lo sviluppo digitale e il successo di quotidiani, settimanali, mensili online e su mobile.

COPIE CERTIFICATE. Proprio ieri tornavo sul complesso delle azioni promosse dagli editori italiani nel campo del digitale. Avevo trascurato la notizia, peraltro anticipata in un recente post, che da gennaio Accertamenti diffusioni stampa (Ads), cioè l’associazione di editori e pubblicitari incaricata di verificare e certificare le copie dei giornali vendute nel nostro Paese, si preoccuperà di certificare anche le copie digitali degli stessi.

COS’È UN GIORNALE DIGITALE. Nel comunicato di Ads c’è un passaggio che contiene la definizione di cosa sia l’edizione digitale di un giornale. Una descrizione che è funzionale al lavoro che dovrà essere svolto dalla Accertamenti diffusioni stampa. Ma, come tutte le definizioni di natura burocratica, condizionerà il mercato. Anzi, nasce dalle esigenze dei protagonisti del mercato di regolamentarlo e, inevitabilmente, indirizzarlo.

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Non solo l’Edicola Italiana per diffondere quotidiani e riviste digitali

Nasce l’edicola online dei giornali italiani, si chiama Edicola Italiana, si possono acquistare, leggere, scaricare le versioni digitali dei quotidiani e delle riviste dei maggiori editori del nostro Paese. Sono sei gli editori consorziati: Caltagirone, Gruppo Espresso, Il Sole 24 Ore, La Stampa, Mondadori, Rcs Mediagroup. Altri potranno aggiungersi ed esporre i propri giornali, i settimanali, i mensili e le altre testate del portafoglio.

PER TABLET. L’atto costitutivo di Edicola Italiana, riferisce Il Sole 24 Ore (l’articolo è riportato in link alla fine di questo post), è stato firmato nei giorni scorsi a Milano. I lettori dei giornali e delle riviste degli editori che fanno parte di questo consorzio potranno acquistare le versioni per pc, tablet o smartphone. Si tratta di una manovra per sfuggire anche ai sistemi di prezzi imposti dalle edicole online esistenti, come Apple Newsstand (che trattiene il 30% dell’acquisto).

ALTRE AZIONI. L’Edicola Italiana fa parte di un’azione più ampia degli editori, così penso ma ormai mi sembra evidente, per incoraggiare e diffondere la lettura nel digitale, sviluppare prodotti specifici e mettersi al riparo da concorrenza scorretta, balzelli di mediatori, pirateria, come questo blog aveva tentato di approfondire in un post di qualche tempo fa. L’Edicola si aggiunge alla guerra per far pagare Google, all’uscita di tablet degli editori italiani, alla chiusura per azione della magistratura del sito pirata (che però ha riaperto nei giorni scorsi) Avaxhome, dal quale si possono scaricare gratuitamente, ma illegalmente, copie digitali complete dei giornali.

IL PUNTO: gli editori italiani si stanno muovendo nel digitale. Lo fanno anche con azioni coordinate, di difesa comune, come nel caso di Edicola Italiana.

Il Sole 24 Ore: edicola online di giornali italiani

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Il piano di un editore di periodici americano: carta e digitale, insieme

Intervista al presidente dei periodici nazionali di Meredith, casa editrice americana che assomiglia ad alcune società editoriali italiane: pubblica riviste per un pubblico femminile composito, dalle casalinghe alle donne in carriera, e crede nella carta. Ma, a differenza degli italiani, ha un portafoglio ricchissimo di pubblicazioni specializzate e investe nel digitale.

Parla Tom Harty, presidente della divisione National Media di Meredith, storica casa editrice americana, fondata nel 1902 (il quartier generale si trova nello Stato dello Iowa: non è il solito editore newyorkese), per molti aspetti somigliante ad alcuni editori italiani. Sia nell’offerta di periodici: circa 20 testate in prevalenza femminili, per casalinghe e donne in carriera, giovani e meno giovani, con contenuti generalisti. Sia nella missione, fortemente ancorata alla carta, difesa e sostenuta, ma, a differenza degli italiani, molto aperta al digitale, anzi, rivolta agli investimenti in quest’area, dove già sono attivi decine di siti web e di siti per mobile, più un’offerta di decine di applicazioni. Meredith si distingue dagli italiani anche perché non ha sfoltito il proprio portafoglio di testate ma ha creato una rete a maglie strettissime di oltre 120 pubblicazioni specializzate, rivolte agli interessi femminili e alla casa, dal giardinaggio ai menu per specifiche occasioni. Insomma, un buon cocktail con due terzi di carta e un terzo di digitale.

Meredith ha una divisione Nazionale, di cui Harty è presidente, e una locale. Possiede inoltre un network di televisioni e radio locali. Agisce sul mercato internazionale “esportando” i propri giornali, i brand, dandoli in licenza (licensing) ad editori di tutto il mondo, dalla Cina agli Emirati Arabi Uniti. C’è inoltre un’area marketing e pubblicità molto sviluppata. Complessivamente Meredith regeg bene alla crisi della editoria, quest’anno prevede ricavi per 1 miliardo 400 milioni di dollari, in calo dell’1,7% rispetto al 2011, per il 2013 gli analisti stimano una crescita a 1,5 miliardi di dollari (per una descrizione completa potete dare un’occhiata alla scheda che ho messo in link al termine di questo post).

Tom Harty

L’intervista, che rientra in un programma della rivista Folio, prende le mosse dalle difficoltà degli editori, alle prese con competitor rivoluzionari: disruptive.

FOLIO: La carta è ancora la priorità per la maggior parte degli editori. I quali, tuttavia, stanno chiaramente tentando di diversificare il più possibile. In termini di azioni, può descrivere come il National Media Group di Meredith sta affrontando il panorama dei media investiti da un cambiamento strutturale? Al riguardo, quali sono le vostre priorità?

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Quanti tablet e smartphone sono stati venduti in Italia

AGGIORNAMENTO – L’8 maggio 2013 e’ uscito su questo blog un post con i dati aggiornati sui tablet venduti in Italia. Il post del 21 dicembre 2012 (quello che state vedendo) va dunque letto tenendo conto di questa precisazione.

Il boom di acquisti di smartphone e tablet in Italia può essere la base per uno sviluppo digitale delle riviste, una strada che gli editori di giornali dovranno percorrere per provare a frenare e compensare il crollo di vendite e ricavi in quotidiani, settimanali, mensili.

Per valutare quanto sia decisivo per gli editori di periodici puntare sull’offerta di contenuti su più piattaforme (nella carta e nel digitale, scritto e video) è utile conoscere quanti smartphone e tablet sono stati venduti in Italia e quanti ne entreranno nelle nostre case nei prossimi anni. Non voglio attribuire al digitale un potere salvifico per la carta stampata, sappiamo tutti che gli editori dovranno ancora per molti anni cercare di guadagnare dalle copie vendute in abbonamento e, soprattutto, in edicola. Ma la tendenza per il futuro è chiara, e bisogna investire in questa direzione. Ho cercato a lungo dati affidabili e gli unici che ho trovato sono quelli (autorevoli) della School of Management del Politecnico di Milano, diffusi lo scorso 10 ottobre.
Si calcola che nel nostro Paese saranno venduti, complessivamente, entro la fine del 2012 circa 32 milioni di cellulari intelligenti (quelli che consentono di connettersi a internet ovunque ci si trovi) e 2,9 milioni di tablet, le cosiddette tavolette, che offrono un’esperienza di fruizione (parola orribile 1) diversa dal telefonino, più adatta, penso, alla lettura di articoli lunghi e al consumo (parola orribile 2) di contenuti multimediali articolati (al riguardo vi invito a leggere il bellissimo post uscito oggi su Il Giornalaio).
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Rcs, presentato il piano industriale: ristrutturazione e sviluppo digitale

Rcs Mediagroup ha presentato il piano triennale per il rilancio della casa editrice. Al primo posto lo sviluppo digitale, la valorizzazione delle riviste forti (power brand), la chiusura o vendita delle testate che non sono leader, i contenuti editoriali digitali di alta qualità, un’organizzazione delle redazioni innovativa, flessibile, più produttiva.

Non è facile spiegare cos’è il piano triennale di una società. In sostanza, Rcs Mediagroup, il secondo editore italiano nell’area delle riviste (ma il primo se si considera il quotidiano di cui è proprietario: il Corriere della Sera), prova a disegnare un futuro di sviluppo, con riorganizzazione e investimenti, per reagire al declino che ha investito da quasi dieci anni la carta stampata.
Il piano mette al primo posto il digitale. Significa che, oltre alla difesa dei giornali di carta (e dei libri), Rcs concentrerà gli investimenti soprattutto sui contenuti e i servizi da consumare e fruire su computer, tablet, cellulari intelligenti (gli smartphone), e gli ebook. La società punta a ottenere dalle attività digitali il 25 % del fatturato nel 2015, contro il 14% attuale. Per arrivarci, pensa di investire circa 300 milioni di euro. Da spendere anche in acquisizioni, l’acquisto di società o attività nel settore.
Importantissima la pubblicità. Si prevede di avere una crescita nella raccolta digitale del 18% in tre anni, contro una media attesa per gli editori (il mercato) dell’11%.
Naturalmente questo blog è concentrato sulle riviste, i periodici, in cui Rcs (“la Rizzoli“), è una presenza importante in Italia, sia per la storia del Gruppo sia per i risultati attuali.
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La prima donna Direttore periodici di Time Inc e lo sviluppo digitale

La prima donna a capo di tutti i periodici di Time Inc., Martha Nelson, affiancherà l’amministratore delegato Laura Lang: «Credo nella forza della stampa ma dobbiamo muoverci verso una maggiore integrazione della carta con l’attività digitale».

Per la prima volta in 90 anni di storia una donna diventa “Direttore generale” (EIC: editor in chief) della maggiore casa editrice di periodici negli Stati Uniti.

Martha Nelson è stata direttore di InStyle, che ha lanciato 20 anni fa («il lancio aveva una tabella di marcia disumana, abbiamo dormito in redazione»), ora dovrà supervisionare tutte le testate di Time Inc., dal newsmagazine Time a People, Sports Illustrated, InStyle, Fortune, 17 in tutto.

L’amministratore delegato Laura Lang ha commentato: «Martha è una creativa e ci guiderà nel passaggio verso una strategia multi-piattaforma, grazie alla sua conoscenza del consumatore potremo condurre con successo la transizione».

Martha Nelson ha detto una serie di cose che riporto perché aiutano a capire cosa sta succedendo nel mondo dei periodici: in Italia c’è parsimonia nell’uso delle parole da parte di chi amministra le case editrici.

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Scenari 5/ Crescita lenta dei periodici nel digitale

Gli editori americani si interrogano su come fare profitti con il digitale e fanno previsioni: il 20 per cento crede che entro il 2014 riceverà da siti web, applicazioni per smartphone e contenuti per tablet ricavi pari al 25 % del fatturato pubblicitario complessivo della compagnia.

I dati sono tratti dal Digital Publishing Survey 2012 di The Alliance for Audited Media (Aam), l’organizzazione che si occupa di certificare le copie di giornali vendute negli Stati Uniti. Si viene a scoprire che:

1) La maggior parte degli editori americani offre contenuti per tablet e smartphone. Ma non sempre si chiede all’utente di pagare per questi prodotti.

Il 56 per cento degli editori fa pagare per i contenuti specificamente studiati per iPad, il 42 per cento per iPhone, il 38 per cento per i contenuti per il Kindle… (nel Rapporto trovate i dati completi).

2) Naturalmente i contenuti a pagamento non possono essere l’unica fonte di guadagno. Perché sul digitale vi sia un modello di business, confermano gli editori sentiti per questo studio, le fonti di ricavo devono essere due: contenuti e pubblicità.

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Scenari 6/ Nei giornali la carta conta ancora

Infine, la carta: per gli editori americani i giornali di carta rimangono indispensabili nell’offerta al lettore. Non si può rinunciare a quotidiani e periodici tradizionali.

Il Digital Publishing Survey 2012 di The Alliance for Audited Media (ex Audit Bureau of Circulations, l’Ads del Nord America), per cui sono stati sentiti i principali editori di quotidiani e periodici, arriva alla conclusione che della carta non si può fare a meno.

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Scenari 4/ I quotidiani hanno siti a pagamento, i periodici no

Gli editori americani hanno deciso di far pagare per i contenuti gionalistici digitali: il 2012 è stato l’anno del paywall.

Non c’è solo il caso, ormai da storia del giornalismo, del New York Times: moltissimi quotidiani hanno adottato nel 2012 il paywall. Lo dice il Digital Publishing Survey 2012 di Aam, l’organizzazione che fornisce dati certificati sugli editori di quotidiani e periodici americani. Si mette fine all’epoca in cui i contenuti giornalistici venivano offerti gratuitamente ai lettori. Un errore, per molti, perché si sono abituati gli utenti a considerare le notizie alla pari di commodities, servizi per cui è giusto non pagare. Sta emergendo dunque un sistema di prezzi per il digitale, tagliato sulle nuove modalità di distribuzione dei contenuti.

Passando ai numeri, il 48 per cento dei quotidiani ha adottato un paywall e fa pagare. Tra gli editori che non lo fanno ancora, il 44 per cento conta di adottare un paywall nei prossimi due anni.

Solo una piccola parte dei periodici (il 22 per cento) ha il paywall sul sito: i periodici devono puntare sulle app?

Far pagare per i contenuti stabilizza il numero di copie vendute dei giornali. Dare i contenuti gratuitamente taglia le gambe a qualsiasi modello di business. Queste alcune conclusioni del Rapporto.

Gli editori americani adottano il paywall

Leggete il rapporto completo in inglese di Aam nel link qui sotto oppure guardate la serie di post che ho dedicato al 2012 Digital Publishing Survey.

AAM: 2012 Digital Publishing Survey

AAM 2012 Digital Publishing Survey

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Scenari 3/ Differenze tra periodici e quotidiani nel digitale

In questo studio seminale di Aam (l’organizzazione che certifica quanto vendono i giornali negli Stati Uniti),  Digital Publishing Survey 2012, emergono differenze tra quotidiani e periodici nella transizione al digitale.

Anche se il mercato sta diventando più maturo, gli editori di giornali continuano a sperimentare, procedono per tentativo ed errore sulla strada verso il digitale. Cercano quel che meglio risponde alle loro esigenze. C’è una differenza tra chi predilige le applicazioni (le famose app che tutti noi scarichiamo con gli smartphone) native, specificamente pensate per fornire contenuti giornalistici su un certo device mobile (iPhone, iPad, altri tablet) e le applicazioni per web, che possono distribuire gli stessi contenuti su più device.

Qui emerge una differenza tra quotidiani e periodici che val la pena di sottolineare, mi sembra gravida di conseguenze, anche se non sono ancora in grado di valutarla nella sua pienezza.

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Scenari 2/ Nel 2013 tutti gli editori Usa presenti nel digitale

La maggior parte degli editori americani sentiti da The Alliance for Audited Media dichiara di produrre contenuti giornalistici per i canali e le piattaforme digitali. In altre parole, il digitale è oggi la regola, lo standard per gli editori di quotidiani e periodici. Senza non si può stare sul mercato.

Nella precedente edizione del Digital Publishing Survey di Aam (ex Audit Bureau of Circulations, l’Ads del Nord America, organizzazione che dice quanto vendono i quotidiani e i periodici) circa la metà delle case editrici di giornali dicevano di produrre contenuti per i device mobili (smartphone e tablet). Tre anni dopo, nel 2012, il 90 % degli editori interpellati dice di produrre contenuti per mobile. Per l’anno prossimo, tutti gli editori lo faranno. Lo si vede nella tabella qui sotto.

Editori che offrono contenuti per mobile

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Scenari 1/ Giornali e digitale in uno studio Usa

La Alliance for Audited Media, organizzazione che certifica i dati sui giornali venduti nel Nord America, ha pubblicato uno studio sullo sviluppo digitale di quotidiani e periodici nel 2012: è una pietra miliare per chi vuole capire le trasformazioni in corso.

La Alliance for Audited Media (ex Audit Bureau of Circulations), cioè l’Ads del Nord America (però più serie dell’equivalente italiano perché certifica autonomamente i dati degli editori e non usa i numeri forniti dalle società), ha pubblicato un rapporto sulla transizione al digitale nei quotidiani e periodici, Aam 2012 Digital Publishing Survey. A mio modesto parere è uno studio fondamentale, una pietra miliare. Riprende infatti domande che tutti, nel settore, si pongono, e offre l’immagine di una realtà che si va delineando: 1) Gli editori devono investire nel digitale? 2) Su quali prodotti digitali bisogna investire? 3) Sul digitale bisogna offrire una replica del giornale di carta o contenuti originali? 4) Bisogna far pagare i contenuti digitali? 5) Come si fanno ricavi nel digitale? 6) La carta rimarrà a lungo importante?

La conclusione a cui giunge lo studio è la seguente: produrre contenuti giornalistici per i device digitali (pc, tablet, smartphone, e-reader) è ora la regola. E la realtà tecnologica è così articolata che gli editori devono fornire contenuti per device differenti.

Questo post continua in una serie di lanci (sei in tutto, compreso questo) che rendono più leggibile il Rapporto di AaM. Naturalmente chi sa bene l’inglese può accedere al rapporto completo, allegato qui sotto. Buona lettura.

AAM: 2012 Digital Publishing Survey

AAM 2012 Digital Publishing Survey

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The Guardian taglia costi, giornalisti e spera nel tablet

The Guardian, quotiano britannico di grande successo sul web ma contrario finora alla politica dei contenuti a pagamento, affronta con taglio dei costi e di 68 giornalisti il problema ormai cronico delle perdite in bilancio. La speranza? Il boom dei tablet nel 2013.

Le perdite di Guardian ammontavano qualche tempo fa a 44,2 milioni di sterline, con la revisione dei costi si pensa di recuperare almeno 7 milioni. Al tempo stesso è necessario investire, dicono gli analisti sentiti in questo articolo pubblicato dallo stesso The Guardian.

In Gran Bretagna si prevede un calo nel mercato dei magazine del 7% e non c’è crescita dal 2005. In dieci anni i top 100 tra i periodici inglesi sono crollati nelle diffusioni del 31%, da 31 milioni di copie a 21 milioni. Anche i magazine devono sviluppare il digitale, al pari dei quotidiani.

Come? I tablet possono essere la chiave, ma bisogna capire come far soldi con questi device mobili. Così dicono gli analisti ed esperti di media sentiti nell’articolo riportato qui sotto in link. Buona lettura.

The Guardian: tagli ai costi e speranze nel tablet

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Il Gruppo Time crea una redazione video per i periodici

Time Inc crea una redazione che realizza video per i periodici del gruppo. I filmati arricchiscono l’offerta informativa giornalistica e sono un richiamo per gli investitori pubblicitari.

Il Gruppo Time, che come sapete pubblica l’omonimo newsmagazine ma anche settimanali e mensili come People, Fortune, Real Simple, Wallpaper, InStyle, Sports Illustrated, Life, ha annunciato la creazione di una unità dedicata alla produzione di video digitali per i brand della casa. Fino a oggi lavoravano alla produzione di video circa 20 giornalisti. Il Ceo (amministratore delegato) di Time Inc., Laura Lang, ha spiegato la decisione dicendo che la pubblicità è particolarmente interessata ai video.

L’importanza dei video, posti al centro dell’offerta giornalistica nel digitale, è ampiamente trattata nel Global Digital Media Trendbook 2012 di Fipp (la federazione mondiale degli editori di periodici), citato in un precedente post sul crollo della pubblicità nei magazine. Alcune tabelle del Trendbook dimostrano come guardare video sia l’attività più comune su internet.

Attività su tablet.

Cosa si fa su internet.

Cosa si fa su internet.

 

 

 

 

 

 

 

 

M’interessa perché: 1) cresce la fame di video nei periodici; 2) saltano sempre più i confini tra quotidiani, periodici, tv; 3) è la pubblicità a chiedere una maggiore articolazione delle piattaforme e dei canali; 4) quando la connessione a internet sarà più veloce e meno ingolfata, anche in Italia ci sarà il boom del video (ora vanno soprattutto le fotogalleries, i video hanno problemi di caricamento e fanno poco traffico nei siti).

adweek: Time Inc crea redazione video digitali

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Con il tablet ci si abbona ai giornali digitali

Una ricerca degli editori americani di periodici rivela l’interesse dei possessori di tablet per l’informazione giornalistica, l’acquisto di giornali, la sottoscrizione di abbonamenti alle riviste digitali.

Al MPA Digital’s Social Media Summit (Mpa è l’associazione degli editori americani di magazine), che si è tenuto ieri (questa notte) a New York, sono stati anticipati parte dei risultati di una ricerca sui tablet che sarà pubblicata in gennaio.

L’indagine, condotta in collaborazione con Gfk MRI su un campione di 796 adulti che possiede un tablet, rivela che i proprietari di questi device (connessi a internet: i tablet sono dei mobile, come gli smartphone) preferiscono sottoscrivere abbonamenti annuali ai periodici digitali. Circa il 56 per cento degli intervistati preferisce acquistare una sottoscrizione annuale, il 31 per cento propende per un abbonamento mensile, l’11 per cento si abbona per sei mesi, appena il 2 per cento si impegna per più di un anno.

Una risposta sorprendente riguarda i contenuti preferiti: il 55 % dice di leggere sia i numeri della rivista appena usciti sia gli arretrati; il 45% invece si limita all’edizione più recente. Si apre uno spazio interessante per sfruttare economicamente i vecchi numeri (mi viene in mente questo articolo su Gramophone, rivista di musica classica, che ha deciso di mettere a disposizione on line, a pagamento, i 1000 numeri arretrati).

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Crescono i tablet, cala la vendita di ereader nel mondo

Dati sulla diffusione degli ereader e prospettive di crescita per i tablet, in Italia e nel mondo. Gli ereader hanno toccato il picco di vendite nel 2011. Per i tablet, invece, l’età dell’ora non è ancora giunta.

L’articolo di Italia Oggi sulla diffusione degli ereader serve come spunto per ragionare sulla diffusione del tablet, apparecchio su cui si possono leggere i giornali.

I dati riguardano la vendita a livello globale degli ereader, apparecchi sui cui si possono leggere solo libri digitali, gli ebook.

Ebbene, arriva l’ennesima conferma che il mercato degli ereader, una volta raggiunta una certa ampiezza, si ferma. Cresce invece quello dei tablet, che avrà alla fine dimensioni maggiori di quello degli ereader. In altre parole, gli ereader vengono comprati da chi è un appassionato di libri e lettura. I tablet, che consentono di leggere anche altrei tipi di pubblicazioni, come quotidiani e magazine, e sono ricchi di applicazioni come giochi e fotocamere, si rivolgono a un pubblico decisamente più grande e avranno maggiore diffusione. Una buona notizia per gli editori di periodici (e per i loro giornalisti, my friend).

Ma veniamo ai risultati della ricerca.

Nel 2010 si sono venduti nel mondo 10,1 milioni di ereader. Nel 2011 c’è stato il boom, con la punta di 23,2 milioni di apparecchi venduti. Il 2012 scende a 14,9 milioni. Per il 2013 il calo porterà le vendite mondiali complessive a 10,9 milioni e per il 2016 ci si attesterà a 7,1 milioni di device mobili.

Questi risultati, ripeto, riguardano il mercato globale, dunque soprattutto gli Stati Uniti. In Italia, dove sono stati venduti finora pochi ereader, ci sarà una crescita, crisi economica permettendo.

M’interessa perché: 1) aiuta a capire se l’attenzione degli editori si sposta sui tablet; 2) ancora prima, bisogna capire se c’è domanda di contenuti per i device mobili, tra cui l’informazione.

Italia Oggi: ereader in calo

ItaliaOggiTestata

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Crisi dei periodici, il Canada come l’Italia

Il maggiore editore canadese, presente anche negli Usa, il quarto del Nord America, affronta il calo della pubblicità nei periodici, chiude testate, si concentra sui brand forti. Sembra la fotocopia della situazione italiana.

Transcontinental Inc,editore di oltre 30 periodici, arriva a fine 2012 con una situazione a luci e ombre. I ricavi aumentano del 12 % (in questo sta molto meglio degli editori italiani) e i quotidiani del gruppo hanno conservato potere d’attrazione, ma lo stesso non si può dire per i periodici.

La raccolta pubblicitaria è debole e l’anno si chiude in perdita. Allo scopo di investire sul nucleo forte dei periodici, l’editore ha rivisto il portafoglio delle testate (ha deciso di chiuderne alcune) e pensa di riversare risorse sui 30 titoli più forti, quelli che sono leader nel loro settore, i più letti dai canadesi. Chiudono dunque More Magazine e Vita. E si preannunciano investimenti (indovinate dove, amici italiani?) nello sviluppo delle edizioni digitali e sulla dimensione multipiattaforma delle properties.

Previsioni per il 2013? Sostanziale stagnazione e solo un piccolo miglioramento nei conti di Transcontinental Inc., che è una società con oltre 10 mila dipendenti in Canada e negli Stati Uniti e vanta un fatturato di 2 miliardi di dollari canadesi (oltre 2 miliardi di dollari Usa).

Chi lo dice: «Folio, the magazine industry‘s source for news, careers, suppliers, education, features, video, multimedia and more.

foliomag: crisi magazine, canada come l’italia

Folio

Folio

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Manifesto dell’editoria ultracompatta: come deve essere un giornale digitale

Un blogger americano spiega le regole per realizzare un giornale digitale di successo, facile da leggere, poco costoso, flessibile, libero dai condizionamenti del passato: Manifesto dell’editoria ultracompatta.

Craig Mod, blogger, scrittore e designer che ha pubblicato sul The New York Times e il sito di CNN, ex componente dello staff di Flipboard, ha scritto il Manifesto del Subcompact Publishing, l’editoria ultracompatta. Il riferimento del titolo è alle auto di piccole dimensioni, le utilitarie, e il paragone implicito rinvia all’arrivo a fine anni Sessanta sul mercato americano delle prime macchine giapponesi di piccole dimensioni, così diverse dalle auto a cui si era abituati eppure capaci di conquistare parte degli americani e di cambiare il mercato, mandando in crisi i produttori dei macchinoni a stelle e strisce.

Honda, auto, ultracompact publishing, craig, mpa

Honda , auto ultracompatta

Craig Mod è un creativo, non a caso è un ex fellow della MacDowell Colony, prestigiosa istituzione culturale, nata per sostenere e fare incontrare gli artisti emergenti. E come succede con i creativi, il discorso può sembrare poco ancorato alla realtà e visionario. In realtà contiene spunti di riflessione e qualche risvolto pratico.

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Perché dobbiamo pagare per leggere le notizie online

Riprendo dal blog The Dish di Andrew Sullivan, che fa parte del sito di informazione giornalistica The Daily Beast (il giornale appartiene alla stessa società che edita Newsweek: The Newsweek Daily Beast Company), un post di due giorni fa sulla necessità di far pagare l’accesso ai contenuti dei siti giornalistici. Il confronto su questo tema è ripreso in questi giorni negli Stati Uniti dopo la notizia che il Washington Post si appresta a introdurre un paywall (il meccanismo per cui i visitatori del sito pagano).

La tabella che segue è la premessa di qualsiasi riflessione sull’argomento. Cliccateci sopra e ingranditela.

Ricavi pubblicitari quotidiani

Ricavi pubblicitari quotidiani

Si vede come è andata la raccolta della pubblicità nei quotidiani americani dal 1950 a oggi. Nell’ultimo tratto (gli ultimi 10 anni) viene aggiunta la curva rossa, che indica i ricavi pubblicitari complessivi dei giornali, inclusi quelli della raccolta di inserzioni nel sito della testata. La situazione non cambia di molto: è e rimane un disastro. Da questa amara constatazione, amara realtà, nasce la necessità per i quotidiani di trovare altre fonti di ricavo, pena la chiusura delle pubblicazioni. Agli editori non rimane che cercare di far pagare agli utenti di internet l’accesso al sito con le notizie. Naturalmente, come molti di voi sapranno, i meccanismi di paywall adottati sono intelligenti, e permettono ai visitatori meno assidui, o ai nuovi arrivati, di avere un assaggio dell’offerta informativa senza dover sborsare un centesimo (questo sistema si chiama meter). Per chi invece fa più di 10 o 20 visite al mese, scatta l’obbligo di sottoscrivere un abbonamento o di acquistare i “pezzi”. Questa soluzione viene oggi presa in considerazione anche da The Daily Beast.

Nel post ci sono altre considerazioni sulla pubblicità. Si riportano le parole di The Economist, nel quale si è spiegato che i dollari della pubblicità sul digitale non riusciranno mai a compensare le perdite nella raccolta dei giornali di carta. Un problema a cui gli editori non hanno saputo trovare una soluzione nei 18 anni di attività digitali fin qui portate avanti. Di conseguenza i quotidiani dovranno in futuro essere meno dipendenti dalla pubblicità. Tradizionalmente la raccolta pubblicitaria ha contribuito per l’80% ai guadagni dei giornali americani. Mentre oggi il New York Times riceve il 55% dei ricavi  dalle diffusioni (le copie vendute in edicola o abbonamento). Nel 2001 era solo il 29%. Chiaramente cambia tutto, bisogna trovare un nuovo equilibrio tra spese e ricavi, o altre fonti di ricavo.

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Lancio di nuovi periodici: arrivano 195 riviste nelle edicole di Usa e Canada

Nel 2012 gli editori americani e canadesi, vecchi e nuovi, hanno lanciato un totale di 195 nuove riviste di carta, più dell’anno scorso, quando ci si era fermati a 181.

Solo 74 titoli hanno chiuso le pubblicazioni rispetto ai 142 del 2011.

MediaFinder.com ha anche censito 32 nuove pubblicazioni native digitali, prive di un equivalente per l’edicola, mentre nel 2011 se ne erano contate 58. Quest’anno sono stati chiusi 7 giornali digitali contro i 10 di un anno fa. L’ultima vittima è stato il quotidiano di Rupert Murdoch, The Daily.

Secondo MediaFinder il minor numero di lanci digitali è legato alla difficoltà per gli editori di fare ricavi con queste pubblicazioni: manca un business model.

Ci sono stati 24 titoli che sono passati dalla carta al digitale, come Newsweek e Spin. Nel 2011 questo percorso era stato seguito da 29 magazine.

Qual è la morale? Viviamo in una fase di transizione. Il passaggio al digitale è, sul lungo periodo, inevitabile. E un editore che trascuri questo cambiamento è destinato a soccombere. Ma per il momento chi pubblica periodici (il discorso vale anche per i quotidiani) continua a fare la parte più consistente dei ricavi con le copie vendute in edicola o spedite a casa in abbonamento. E grazie alla pubblicità raccolta per le edizioni cartacee. Rinunciare a queste voci di entrata significa condannarsi a morte. Anche condurre male la transizione al digitale, sbagliando i tempi e i modi, comporta esiti letali. Penso all’avventura de Il Nuovo, il primo quotidiano digitale dell’editoria italiana, la cui parabola, all’inizio degli anni 2000, è stata brevissima. L’assunto che il futuro dell’editoria fosse nel digitale era giusto, completamente sbagliati i tempi.

Senza contare che alcuni editori (come raccontano gli articoli in inglese che ho riportato nei link qui sotto), soprattutto quelli che entrano per la prima volta nel mercato dei periodici, vedono nella stampa e nell’inchiostro qualcosa che ha maggior peso e sostanza di un sito web o una applicazione per iPad.

M’interessa perché: 1) è un controcanto rispetto alle sirene della fascinazione tecnologica: oltre alle novità digitali c’è la logica del business, senza la quale non si creano giornali di successo e posti di lavoro; 2) il ragionamento deve farsi più sottile, l’entusiasmo per le novità porta con se una grossolanità di pensiero.

 

Ne parlano:

«The Verge was founded in 2011 in partnership with Vox Media, and covers the intersection of technology, science, art, and culture».

«Crain’s New York Business thoroughly covers NYC’s major industries, including Wall Street, media, the arts, real estate, retail, restaurants and more».

Crain’s New York.com; più lanci che chiusure nei periodici

The Verge: 195 magazine pubblicati nel 2012

Crain's Nwe York

Crain’s Nwe York

The Verge

The Verge

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La pubblicità cala ancora, siamo tornati indietro di 10 anni

La pubblicità è una delle gambe su cui si regge la carta stampata, le altre sono le diffusioni, cioè i ricavi dalle copie vendute, e le vendite congiunte, vale a dire tutti i prodotti venduti con le riviste (libri, cd, dvd, borsette, collane). Ma:

su borsaitaliana.it si racconta oggi di come ci sia la previsione di un ulteriore calo della pubblicità nel 2013, una possibile flessione del 2,5% che farebbe scendere gli investimenti complessivi in inserzioni a 7,5 miliardi di euro. Nel 2012 ci si potrebbe attestare sui 7,6-7,7 miliardi di euro.

Borsaitaliana.it ricorda che tra 2001 e 2003 gli investimenti pubblicitari oscillavano tra 7,67 e 7,59 miliardi di euro. In altre parole, il nostro Paese è tornato indietro di 10 anni.

Il calo nei periodici italiani è stato devastante. Per questo nel mondo dell’editoria si preannunciano grandi manovre di accorpamento o sinergia tra le principali concessionarie.

Ma per saperne di più rinvio all’articolo di borsaitaliana.it, nel link qui sotto.

M’interessa perché: 1) continua la discesa della pubblicità; 2) viene ridimensionata una voce di fatturato che tiene in piedi i giornali.

borsaitaliana.it: calo della pubblicità anche nel 2013

borsaitaliana.it

borsaitaliana.it

 

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Con la crisi dell’editoria chiudono le cartiere del Wisconsin

Ecco una bella storia, un bel reportage: Paper Cuts. Il Wisconsin è lo Stato che produce più carta per l’editoria e l’industria americane. Con la crisi dei giornali e l’arrivo degli apparecchi di plastica per la lettura, come iPad e tablet, per questa economia locale un tempo florida è iniziato un declino inarrestabile che può trovare un precedente delle stesse dimensioni solo nei giorni del downsizing dell’industria dell’auto nel Michigan, qualche decennio fa. La crisi è accelerata e aggravata dalla concorrenza massiccia e pianificata della Cina, che inonda il mercato mondiale con carta low price.

Questo accurato e curioso reportage del Milwaukee Journal Sentinel (pubblicato ieri: potete leggerlo in inglese andando al link riportato alla fine di questo post), arricchito con video e infografica (pregevole esempio di giornalismo multimediale), racconta la fine dell’Età dell’Oro della carta.

Foresta nel Wisconsin

Foresta nel Wisconsin

Nel Wisconsin chiude in media un impianto produttivo all’anno dal 2006, lasciando ogni volta a casa tra le 300 e le 600 persone, senza contare le attività collegate alle segherie e alle cartiere. Complessivamente la carta dà direttamente lavoro nello Stato a più di 12 mila persone, ma i posti in qualche modo dipendenti da questa industria sono 70 mila. Il giro d’affari complessivo della carta nel Wisconsin è di 7 miliardi e mezzo di dollari.

Infografica sull’industria della carta negli Stati Uniti

L’articolo ricostruisce una storia che risale alla seconda metà dell’Ottocento, quando rudi boscaioli rifornivano di legname industriali che, fornitura dopo fornitura, hanno costruito una fortuna. Imprenditori di successo che non hanno dimenticato di destinare parte dei profitti alle istituzioni culturali, come le università, secondo quanto prescrive la tradizione e l’etica della filantropia americana. Chi molto riceve, molto deve restituire alla società.

Chi lo racconta: «Milwaukee Journal Sentinel – Breaking news, sports, business».

Jsonline: crisi dei giornali, crisi dell’industria della carta

Milwaukee Journal Sentinel

Milwaukee Journal Sentinel

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New York Times, Washington Post e il dilemma dei siti giornalistici a pagamento

Ieri sul New York Times è stata sviluppata una riflessione sui siti a pagamento dei quotidiani che prende spunto dalla notizia che il Washington Post presto adotterà questo sistema, chiamato paywall. Lo hanno fatto, con formule diverse, quotidiani famosi come Wall Street Journal e il Times stesso. Ma al Washington Post, un giornale che vende copie in edicola solo a Washington e dintorni ma ha un appeal internazionale, sembravano contrari. Invece arriva il dietrofront.

Ne parlo in questo blog sui periodici perché ci sono dati sulla pubblicità che indirettamente riguardano anche settimanali e mensili (anzi, molto direttamente ci riguardano).

Il Times osserva che la scelta del Washington Post è stata obbligata ma non promette alcun risultato, solo il tempo dirà se c’è ancora uno spazio sul mercato per questa come per altre testate.

Come tutti i quotidiani (e i magazine) il Washington Post sta affrontando ristrutturazioni e tagli di costi per far fronte al calo inarrestabile e inesorabile della pubblicità su carta stampata (e delle diffusioni in edicola). Diventa quindi obbligatorio trovare nuove fonti di ricavo. La pubblicità sul digitale sembra non crescere per i siti d’informazione e dunque è necessario introdurre il paywall, l’accesso a pagamento: si paga per leggere il sito (in realtà il Washington Post permetterà di vedere la home page gratuitamente, poi scatta il blocco). Ma riporto l’infografica citata dal New York Times sull’andamento della raccolta pubblicitaria nei quotidiani, nei siti dei quotidiani e nel digitale nel suo complesso. E’ una tabella di Alan D. Mutter.

Pubblicità su internet e quotidiani

Pubblicità su internet e quotidiani

Visto? Va a picco la pubblicità sui quotidiani. Non cresce la pubblicità sui siti dei quotidiani. Cresce la raccolta nelle altre aree, non giornalistiche, del digitale. A un quotidiano non rimane che mettere un paywall.

Ma l’articolo del New York Times ha un interesse per i periodici perché enuncia un dilemma.

«So, as newspapers all hold hands and begin to erect gated communities, will there be a new stability? Hardly.

What is under way is a reset. The trend in ad revenue in the newspaper industry is breathtaking — see a very scary chart here from Alan D. Mutter — and inexorable. The now hoary question of what part of the crater is cyclical, meaning temporary, and what part is secular, meaning a permanent disruption, has been settled. The advertising business is not coming back and there is every reason to believe that in the years ahead the shrinking will continue apace».

La domanda è se il calo della pubblicità sia ciclico, dunque reversibile e temporaneo, o se invece sia totalmente o in parte (e in quanta parte) irreversibile. Dunque dirompente. La pubblicità non tornerà sui giornali e c’è ogni ragione per credere che negli anni a venire la contrazione continuerà.

I quotidiani mettono il paywall, l’accesso a pagamento al sito. Ma quale lettore pagherà mai per entrare nel sito di un periodico? La soluzione sta forse nelle app, nei contenuti a pagamento scaricabili su tablet e smartphone? Questa è la mia impressione, riportata in precedenti post.

Buona lettura.

M’interessa perché: 1) spiega le difficoltà economiche dei giornali e la necessità di vendere i contenuti per tenere in piedi le testate; 2) fa riflettere sulle differenze tra quotidiani e periodici; 3) ma il problema è enorme: quante testate chiuderanno perché non c’è più carburante (pubblicità e copie vendute) per tutte?

New York Times: il dilemma del paywall

New York Times

New York Times

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Ads certificherà le copie digitali dei giornali

Se ha una qualche vicinanza al vero quel che ho scritto ieri sulle manovre convergenti degli editori verso gli investimenti nel digitale, allora bisogna aggiungere questa notizia.

Da gennaio, ho letto su vari giornali e siti, Ads, l’associazione che si occupa di certificare i dati di diffusione e di tiratura della stampa quotidiana e periodica, potrebbe essere pronta per partire con la rilevazione delle copie digitali dei giornali. Probabilmente da marzo 2013 sarà possibile conoscere quante copie e abbonamenti vengono venduti dagli editori presenti sul mercato italiano, e avremo una qualche misura delle copie scaricate da pc, tablet e mobile in generale. Dico “una qualche misura” perché i dati sono autocertificati dagli editori e da sempre c’è più di un sospetto che siano gonfiati per far bella figura con gli inserzionisti pubblicitari.

Molti dettagli devono ancora essere definiti ma questo ha poca importanza per il mio blog (come distinguere tra pdf, copia nativa, abbonamenti comprati o dai in omaggio con l’abbonamento al cartaceo etc etc).

Ma le cose sembrano guadagnare consistenza.

Ricapitolando: gli editori dichiarano guerra a Google e ai siti aggregatori di notizie che scroccano news ai siti d’informazione, fanno chiudere le edicole virtuali pirata che danno gratis le copie di quotidiani e magazine, lanciano le prime riviste interattive del mercato italiano, promuovono tablet con abbonamenti ai propri giornali, mettono in vendita i loro titoli nelle edicole virtuali legali come Lekiosk, chiedono ad Ads la certificazione delle copie digitali vendute.

Mi pare che qualcosa si stia muovendo, seppur nel clima pesante dei tagli e degli stati di crisi.

M’interessa perché: 1) si sta sviluppando il mercato delle riviste digitali; 2) gli editori tradizionali sono entrati in questo mercato e lo stanno regolamentando e strutturando.

blitzquotidiano.it: ads certificherà le copie digitali

Blitz Quotidiano

Blitz Quotidiano

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Giornali interattivi: Edge, la copertina premiata ai Digital Magazine Awards 2012

Vi avevo invitati a votare per la miglior copertina di un periodico digitale al premio internazionale The Digital Magazine Awards 2012.

Ha vinto Edge, giornale multiformato britannico di giochi e computer edito da Future Publishing.

Partecipavano, tra gli altri, Gq, National Geographic Traveler, Newsweek e O – The Oprah Magazine. Lo scorso anno aveva vinto Wired UK.

Edge vince premio per miglior copertina digitale

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Tagli nei periodici, Newsweek licenzia giornalisti

Il direttore Tina Brown lo aveva preannunciato, quando aveva dato la notizia del passaggio di Newsweek al digitale (e la conseguente chiusura dell’edizione cartacea): una parte della redazione sarà lasciata a casa. Qualche ora fa è arrivata la conferma che i tagli stanno per arrivare. Non si sa il numero dei giornalisti che perderanno il lavoro. Ma all’interno di Newsweek si dice che, nonostante i tagli, il giornale continuerà a essere in rosso, a perdere denaro.

Segnalo nell’articolo dell’Huffington Post, riportato qui sotto nel link, la classifica dei magazine più venduti negli Stati Uniti. Ci sono le copertine, è una foto gallery piacevolissima e istruttiva (almeno per me): fa vedere cos’è il mercato dei periodici, a quali lettori si rivolge, si può vedere la divergenza che si sta creando con il mondo delle news, ormai monopolio dei quotidiani e dei siti.

M’interessa perché: il passaggio al digitale (speriamo meno repentino di quello di Newsweek) comporterà per i periodici americani un ridimensionamento degli organici e chiusure di giornali?

The Atlantic: licenziamenti a Newsweek

Huffington Post: partono i licenziamenti a Newsweek

 

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The Atlantic

The Atlantic

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Periodici / Non solo tagli e chiusure: si fa la guerra a Google e alle edicole pirata per lanciare il digitale

L’ingegnere Carlo De Benedetti, presidente onorario del Gruppo Editoriale Espresso, ha confermato ieri sera in tv che nel 2013 Repubblica.it diventerà un sito a pagamento. Sarà introdotto un paywall, cioè un sistema di accesso alle notizie online che costringe ad abbonarsi per leggere i contenuti o a pagare per i singoli articoli (il più famoso esempio di paywall è del New York Times, un sistema “poroso” che permette di leggere gratuitamente un numero massimo di articoli per utente: poi si paga). «Penso che il futuro sia la carta e il digitale. Le due cose. Indubbiamente la crescita avviene sul digitale, non certo sulla carta. Repubblica.it è il primo sito di news in Italia ed ormai il 20% della pubblicità di Repubblica è sul sito. Quindi per noi è una fonte di profitto» ha detto De Benedetti a La7.

Pagare per l’informazione online. Gli editori italiani, per quanto divisi negli affari e in politica, sembrano aver imboccato tutti insieme, in modo concorde e spesso concordato, la strada della guerra ai contenuti free.
Gli editori in queste ultime settimane hanno detto basta a Google e alle edicole pirata. E’ una controffensiva che mira a contrastare la diffusione gratuita su internet di contenuti giornalistici copiati da testate cartacee (spesso riprodotte per intero in pdf) e da siti d’informazione. Non si vuole fare la fine dell’industria musicale, le case discografiche messe in ginocchio dalla pirateria e dagli mp3.A parte un articolo di Repubblica, dal quale si riceve quasi l’impressione che qualche editore voglia limitare la libertà di espressione sul web (un colpo partito per sbaglio), tutti concordano sul fatto che l’informazione giornalistica sia il prodotto di una attività che richiede impegno, fatica, esperienza, tempo, investimenti, un prodotto che merita quindi di essere protetto e valorizzato. Pagato. Stiamo parlando non delle notizie diffuse dal servizio pubblico, ma di un settore industriale che dà lavoro a migliaia di italiani (dei quali solo una piccola parte ha stipendi stellari, gli altri percepiscono retribuzioni ben al di sotto di quelle di altre professioni con iscrizione all’albo).

Ma non mi voglio limitare a notizie come la denuncia presentata da Mondadori contro il portale russo Avaxhome, dal quale si può accedere gratuitamente ai pdf di quotidiani e periodici italiani e non. La denuncia ha poi portato al sequestro d’urgenza del portale.

Non mi voglio neppure limitare alla notizia della guerra dichiarata a Google dagli editori francesi e italiani e alla proposta di legge in discussione al Parlamento tedesco che propone di introdurre l’obbligo per Google di pagare specifici diritti di copyright per le notizie dei giornali riprese dal servizio Google News.

Osservo un quadro più ampio. Vedo editori che lanciano versioni interattive dei loro giornali da leggere con i tablet, come ha fatto ieri Condé Nast Italia. C’è Mondadori che presenta e promuove un tablet con il marchio Kobo per la lettura su “tavoletta” dei periodici della casa. Più in generale ho l’impressione che l’industria dei periodici abbia deciso finalmente di muoversi verso il digitale e stia preparando il terreno a investimenti in prodotti da distribuire magari nelle edicole virtuali legali come il Newsstand Apple ed Lekiosk, l’edicola virtuale nata in Francia e arrivata qualche mese fa in Italia (tra i primi periodici italiani a essere distribuiti in formato digitale c’è Focus di Gruner und Jahr / Mondadori). Aggiungo infine la notizia che anche il Corriere.it, oltre a Repubblica.it, si starebbe preparando ad adottare un accesso a pagamento ai contenuti giornalistici del sito.

M’interessa perché: 1) si inizia a intravedere una strada per lo sviluppo digitale nei periodici; 2) ipotesi su quel che accadrà nei prossimi mesi.

International Business Times: Repubblica.it a pagamento

Il Sole 24 Ore: guerra alle edicole pirata

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Periodici/ Non solo tagli e chiusure di testate: Condé Nast investe nel digitale

Anche in Italia Condé Nast entra con decisione nel mercato digitale dei periodici.

Leggo su Italia Oggi e alcuni siti che la casa editrice americana lancia edizioni digitali interattive (interactive replica) di due testate, Gq e Wired.

Non della solita replica del giornale di carta si tratta, ma di un prodotto ideato per il tablet.

Non un pdf ma articoli e foto con didascalie interattive, condivisione su social network e contatto tra i lettori e le firme del giornale. Oltre il 60% delle pagine sarà interattivo.

Nel 2013 altre testate dell’editore saranno pronte per le tavolette.

I prezzi sono ribassati per conquistare i lettori italiani, non abituati a questa novità.

L’abbonamento annuale costa 11,99 euro, la singola copia 2,99 euro oppure 1,69 euro se si acquista il giornale per tre mesi.

Ma la notizia che più mi colpisce è la previsione di Condé Nast sulla diffusione dei tablet in Italia. L’editore conta di raggiungere nel medio-lungo periodo un 5-10% di copie diffuse sul nuovo canale. Nel nostro paese si prevede che saranno venduti 3 milioni di device entro il 2012, per poi balzare a 6 milioni nel 2013.

Ma il giornale nativo digitale (nativo nella formula, la testata è invece un brand straconosciuto) oltre a puntare sui lettori strizza l’occhio alla pubblicità. Una serie di post di questo blog hanno sottolineato le difficoltà nella raccolta pubblicitaria dei periodici sia nel presente sia nelle previsioni fino al 2015. Scrivevo, a intuito e non per conoscenza, che per non farsi scappare gli investitori, gli editori di periodici dovrebbero avere più progettualità nel digitale, per dare agli inserzionisti (anzi, per suggerire e ispirare) la possibilità di fare campagne in un nuovo modo, moderno, completo, articolato su più piattaforme. Ecco, Condé Nast, non a caso un editore americano, arriva per primo in Italia. Fin dal primo numero di Gq e Wired per tablet sarà possibile fare inserzioni e campagne pubblicitarie interattive, arricchite con video, grafica animata e modalità di coinvolgimento del lettore.

M’interessa perché: 1) un editore punta per la prima volta in Italia con decisione su testate periodiche pensate per tablet; 2) si apre una strada interessante per il lettore, che è incoraggiato a consumare sul web contenuti giornalistici a pagamento; 3) si offre agli inserzionisti un modo moderno di fare pubblicità, capace di raggiungere il pubblico là dove si trova (il digitale) e non solo là dove il lettore si trova sempre di meno (carta stampata).

Italia Oggi: giornali per tablet di Condé Nast

Pubblicità Italia: giornali interattivi di Condé Nast

Gq interactive replica, copia interattiva

Gq interactive replica, copia interattiva

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I periodici e la filosofia della toilette

La gente passa sempre più tempo su internet. E quando è connessa, la gente va sui social media.

Lo dice The Social Media Report 2012 di Nielsen (il Rapporto sui social media 2012: lo potete leggere in inglese usando il link riportato in fondo a questo post, è tutto grafica), pubblicato poche ore fa.

La gente, leggo, passa più tempo online: il 21% per cento in più rispetto al 2011. E questa è una brutta notizia per quei giornali di carta che non ne vogliono sapere di avere una presenza significativa nel mondo digitale con: siti e versioni per tablet e smartphone.

Quando è connessa la gente va sui social network: Facebook (su tutti), Twitter, Pinterest, Worldpress… E questa è la seconda brutta notizia per i periodici. Perché i social network sono nuovi concorrenti della carta stampata (chi l’avrebbe mai previsto: fino a 10 anni fa i social media non esistevano e i concorrenti dei periodici erano tv, radio e quotidiani). Sono concorrenti perché: 1) tolgono tempo alla gente per la lettura dei magazine; 2) sottraggono pubblicità ai giornali di carta: gli inserzionisti vanno là dove si trova la gente e nessun obbligo di legge può imporre di fare inserzioni sui giornali.

Ma per connettersi al web la gente usa sempre meno il pc (-4%: guardate i dati del rapporto Nielsen) e sempre più i tablet e gli smartphone (il mobile, cioè i due insieme, fa +82%). E questa è una buona notizia, mio caro amico. Almeno così pensa l’autore di questo blog, che poco sa ma molto ascolta e legge.

Una volta si diceva che la gente non comprava più i giornali perché trovava le notizie gratis su internet. Ma sai che noia leggere articoli di giornale al desktop, al computer di lavoro o di casa, seduti alla scrivania, scomodi, con davanti uno schermo grande come un televisore? Lo si può fare per le news, non per aticoli di arredamento, moda, gossip, con le inchieste. E poi io sto seduto alla scrivania tutto il giorno e quando leggo il giornale che mi piace voglio stendermi su una chaise longue. I giornali si era abituati a consumarli con agio e relax. E i tablet lo consentono. Si legge a letto, si legge nel salotto (nel living, nel living, pardon). I nuovi device riproducono le condizioni di lettura dei periodici, restituiscono la stessa esperienza, e un editore può pensare di offrire copie digitali delle proprie riviste da scaricare (a pagamento e con la pubblicità) con tablet e smartphone. Promettente.

La controprova? E’ nel Rapporto di Nielsen. Un terzo dei giovani tra i 18 e i 24 anni si connette al web e usa i social media quando si accomoda in bagno. Proprio come noi facevamo con i nostri cari, vecchi giornali, a riconoscimento del massimo della intimità.

M’interessa perché: 1) spiega che i periodici se la devono vedere con nuovi competitor, assai disruptive; 2) i tablet possono essere un grande alleato dei periodici, la porta del futuro.

Nielsen: Report social media 2012

Rapporto Nielsen Soclai Media 2012

Rapporto Nielsen Soclai Media 2012

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Occhio alla Zeitungssterben, la «morte dei quotidiani». In Germania, Francia, Italia

Leggo sul Financial Times che in Germania la crisi dei quotidiana si è guadagnata un nome preciso: Zeitungssterben, «la morte dei quotidiani». Detto in tedesco ha un’icasticità che sarebbe vano tentare di riprodurre in italiano.
Naturalmente l’articolo (che potete leggere in inglese nel link riportato alla fine di questo post) racconta della chiusura del “cugino” Financial Times Deutschland, annunciata qualche giorno fa dall’editore Gruner und Jahr, divisione della stampa periodica del gruppo Bertelsmann, e riferisce della bancarotta della Frankfurter Rundschau.

Il discorso si allarga poi a Spagna e Italia. E si ricorda che l’Europa sta in realtà affrontando ora quella crisi che nel 2008 ha colpito i quotidiani negli Stati Uniti.

Ma quale è la responsabilità degli editori tedeschi? Con mia sorpresa si addita il ritardo nello sviluppo digitale (sorpresa perché tra gli editori tedeschi figura quell’Axel Springer considerato invece da molti un apripista e un modello di crescita nel digitale), ritardo rispetto alla Gran Bretagna, soprattutto quando si pensa alla diffusione dei tablet e alla possibilità di vendere i quotidiani in abbonamento sui nuovi device.

In Germania la diminuzione delle copie vendute dei quotidiani è stata del 17% tra 2005 e 2012. Meno di quanto accaduto in Gran Bretagna (cali tra il 40 e il 50 per cento).

Ma il problema vero è stata la flessione della pubblicità. Con il passaggio al web di molti inserzionisti, la raccolta complessiva in Germania ha perso in 12 anni il 45%. La pubblicità, tema su cui batte e ribatte questo blog come un tamburino sul suo tamburo.
Un passaggio del pezzo riporta delle voci in Italia di possibile fusione, smentita dagli editori, del Corriere della Sera con la Stampa. A me interessano soprattutto le considerazioni finali, non trascurabili da chi ha un occhio sui periodici.Un analista di Bernstein Research di Londra ritiene che il taglio dei costi non salverà gli editori tedeschi ed europei e ci saranno altre vittime.Per Claudio Aspesi, a livello globale probabilmente «solo una manciata di editori riuscirà a sviluppare modelli di business sostenibili e saranno, probabilmente, i grandi brand internazionali» come Financial Times o il New York Times. «Gli altri dovranno cercarsi un oligarca che li finanzi o trovare protezione sotto organizzazioni più grandi».Les Échos, in Francia, è di proprietà del gruppo del lusso LVMH: Le Monde è finanziato da un gruppo di businessmen vicini alla sinistra, Le Figaro è del gruppo Dassault.E l’Italia? We have run out of oligarcs.

M’interessa perché: spiega qual è l’impatto del digitale sui quotidiani tedeschi.

Financial Times: Zeitungssterben, la “morte dei giornali”

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Investimenti pubblicitari in crescita ma non nei periodici

A livello globale la raccolta pubblicitaria nei media, carburante indispensabile per mandare avanti i periodici, crescerà nei prossimi tre anni.

Ma gli editori di magazine non ne trarranno vantaggio. E l’Europa avrà risultati deludenti, se confrontati con il resto del mondo.

A queste conclusioni giungono le stime pubblicate ieri da ZenithOptimedia (Publicis Groupe).

Gli investimenti pubblicitari supereranno complessivamente i 570 miliardi di dollari in tre anni, con i media digitali e i mercati emergenti a beneficiarne maggiormente.

Nel 2012 si prevede una crescita del 3,3%, nel 2013 si salirà del 4,1%. Guardando ancora più avanti, si prevede un +5% nel 2014 e un ulteriore +5,6% nel 2015. Totale stimato: 574 miliardi di dollari.

Ma il mappamondo non è rotondo.

Per il 2015 l’Europa Occidentale registrerà una crescita degli investimenti di 4,7 miliardi di dollari, meno di quanto farà il Brasile da solo (5,6 miliardi di dollari).

Passando ai vari settori dei media, la televisione avrà una crescita e la sua fetta di investimenti pubblicitari resterà stabile al 40% dell’intera torta.

Il web passerà dal 18% al 23,4% nel 2015. E’ importante entrarci, se si è editori di giornali, periodici e non.

Si riduce invece la quota dei quotidiani, che scende dal 18,9% al 15,9%, e quella dei periodici (eccoci) che scenderanno un ulteriore scalino del loro (reversibile?) declino, passando da una raccolta pubblicitaria complessiva di 43,2 miliardi di dollari a 41,6 miliardi.

Urge rinnovare i giornali per intercettare sulle piattaforme digitali la pubblicità in fuga dalla carta stampata.

 

M’interessa perché: 1) spiega che i periodici possono reggere al calo dei fatturati soltanto se si espandono nel digitale; 2) comunque i periodici (e i quotidiani) diventeranno realtà economiche più piccole.

Warc: crescono gli investimenti in pubblicità

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Perché ha chiuso il quotidiano digitale The Daily di Murdoch

Perché The Daily, il quotidiano solo digitale di Rupert Murdoch, è stato un fallimento e dopo neanche due anni di pubblicazioni chiude l’attività?

Nella rete e sui giornali, ma soprattutto nella piggia di tweet, si sprecano le interpretazioni.

In questo articolo di International Business Times, che trovate linkato in fondo a questo post, vi invito a leggerlo, si riportano con tona pepato alcune delle spiegazioni più comuni. Credo contengano tutte un grano di verità.

C’è chi evidenzia l’assurdità di voler lanciare un prodotto editoriale che può essere letto su un solo device, l’iPad.

Chi contesta l’adozione dell’accesso a pagamento (paywall) per un giornale completamente nuovo (questa spiegazione mi sembra stimolante).

Altri imputano alla debolezza dei contenuti giornalisti l’inevitabile debacle.

Ma per me la cosa più importante è che non si ricavi dal fallimento di The Daily una sfiducia totale sul futuro dell’editoria digitale. Certo, dirlo adesso espone a lazzi di ogni tipo. Racconto allora un apologo, tanto per alleggerire la preoccupazione.

E’ un paragone folclorisico, di quelli invisi alla forma mentis italiana ma tanto amati dalla manualista americana dal taglio pratico: quel che conta non è la verosimiglianza ma il suggerimento di pensiero, concettuale.

Pare che negli anni delle prime sperimentazioni con gli aeroplani ci fosse qualcuno che era sconfortato dai continui fallimenti. Accidenti, anche oggi un altro velivolo si è schiantato al suolo dopo pochi metri. Prevedevano che non ci sarebbe stato futuro per le macchine volanti, anche se tutti i sondaggi di ricerca (questa è una aggiunta spuria, moderna, al raccontino) registravano una gran voglia di volare negli intervistati… Chissà se quei visionari (delle macchine volanti) si sono arresi così presto.

http://www.ibtimes.com/why-rupert-murdochs-daily-failed-what-it-means-ipad-publishing-915371

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The Daily chiude: dal 15 dicembre stop al quotidiano digitale di Murdoch

The Daily chiude. Ora ci chiederemo come interpretare questa decisione di News Corp, il gigante dell’editoria di proprietà di Rupert Murdoch.

E’ l’ennesimo fallimento nella ricerca di un modello di business per i giornali nel digitale? Traduco per i non esperti: la ciusura di The Daily significa che i giornali digitali non possono sopravvivere perché non guadagnano abbastanza dagli abbonamenti e dalla pubblicita?

Oppure la chiusura del quotidiano newyorkese, nato tra mille aspettative, con puntati addosso gli occhi degli editori di tutto il mondo, è solo il fallimento di un giornale puramente digitale, una testata nuova, senza un nome forte, che non è già presente nelle edicole? Il contrario del fallimento di Newsweek?

Ma andiamo alla notizia. The Daily è stato lanciato all’inizio del 2011 come testata quotidiana ambiziosa, di qualità, destinata a vivere solo nella dimensione digitale. Lunedì, oggi, l’editore ha comunicato che il giornale cesserà di esistere il 15 dicembre come pubblicazione “stand alone”, giornale che si tiene in piedi da solo, autonomo (diventerà un allegato?). Da luglio di quest’anno circolavano voci di chiusura anticipata e l’organico era stata tagliato per un terzo.

Il giornale, lo sappiamo, voleva proporre una grafica di alta qualità, ed era ricco di contenuti video, foto straordinarie, contributi audio, grafica interattiva.

Cos’è cambiato in questi due anni, dal lancio a oggi? C’è stata l’esplosione delle app dei giornali, che si possono scaricare dagli store digitali, e sono nate le edicole sul web, prima tra tutte il Newsstand di Apple, una edicola virtuale dove un lettore può prendere dagli scaffali e acquistare moltissime testate esistenti. Ecco perché mi chiedo se la precoce fine di The Daily non sia la rivincita dei giornali già esisternti, quelli che hanno un marchio forte, quelle che i lettori amano già e vogliono ritrovare negli App Store.

Da questo punto di vista fa riflettere la dichiarazione rilasciata oggi dall’editore: «Sfortunatamente non siamo riusciti a trovare una audience sufficientemente estesa in un tempo sufficientemente rapido da convincerci che avevamo un modello di business sostenibile nel lungo periodo. Prenderemo quel che di buono ci ha insegnato questa esperienza e l’applicheremo alle nostre properties» (agli altri prodotti editoriali della casa).

M’interessa perché: 1) finisce il più ambizioso progetto di testata digitale nata sul digitale per il digitale; 2) dimostra che è difficile sostenere un giornale costoso, con una redazione grande e di alta caratura, con gli abbonamenti online e la pubblicità digitale; 3) c’è un modello di business per il digitale?

Chi lo dice: «The Mac Observer, daily news, opinions, editorials, reviews, tips, help, forums, comments, and podcasts all relating to the Mac, Apple, the iPod, the iPhone, the iPad…».

Chiude The Daily

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La pubblicità nei periodici: il crollo italiano

I periodici continuano a perdere pubblicità.

Soffrono i settimanali. Soffrono i nostri mensili.

Sono usciti i dati dell’Osservatorio Fcp (Federazione concessionarie pubblicità) sui primi dieci mesi del 2012. Complessivamente gli investimenti in pubblicità sulla stampa sono calati del 16,3%. Lo scorso anno erano stati raccolti, nello stesso periodo, 1,6 miliardi di euro. Nel 2012 ci si ferma a 1,3 miliardi.

Ma il settore più in difficoltà nei media è quello dei periodici. Perdiamo il 16,4% a fatturato e il 12,7% a spazio (da qui le foliazioni ridotte dei giornali e la riduzione anche del numero di articoli: del contenuto giornalistico).

I settimanali perdono moltissimo a fatturato, il 19,2%, cedono l’11,6% a spazio: sapevamo che sono la parte più esposta alla crisi.

I mensili cedono il 13,2% di fatturato e il 14,4% nello spazio.

Ho ben presente questo: da qualche mese gli editori, quando si presentano davanti ai giornalisti per chiedere nuovi tagli agli organici e sacrifici, altri stati di crisi, mostrano il dato del calo della pubblicità. E le previsioni per il 2013, negative, seppur meno del 2012.

Ritorna la domanda su cui ho costruito questo blog. C’è un futuro per i periodici oppure questa formula giornalistica è esaurita e deve affrontare un declino a volte rapido e distruttivo altre volte estenuante e lunghissimo come un’agonia?

Post dopo post, ho oscillato tra la prima e la seconda. All’inizio mi sembrava che il declino fosse inevitabile. Poi ho temuto che potesse essere rovinoso e rapidissimo. Ultimamente inizio a pensare che la formula dei periodici possa invece avere sbocchi futuri molto interessanti, grazie alle piattaforme digitali e, soprattutto, alla diffusione dei tablet. Anche se so benissimo che è iniziata una nuova stagione di ristrutturazioni per gli editori.

Ma l’Italia si differenzia dal resto del mondo, ed è questo l’elemento che davvero mi preoccupa.

All’estero si respira un’altra aria. C’è maggiore fiducia nel futuro dei periodici nonostante la crisi. Una delle ragioni della differenza con il nostro paese è semplice. Banale.

Guardate la mappa che è contenuta nel Wordl Digital Media Factbook 2012-2013, pubblicato qualche settimana fa da Fipp, l’associazione mondiale degli editori di magazine.

Investimenti pubblicitari 2011 - 2012

La mappa mette a confronto le previsioni di crescita della pubblicità nel 2012.

L’Italia è colorata di blu, blu notte. E’ il colore con cui sono stati segnalati i paesi, gli unici, che non hanno crescita nella raccolta pubblicitaria (non solo sulla stampa). L’Italia è blu notte come Spagna, Ungheria, Grecia, Egitto e Giappone. L’Egitto, si specifica, è stato investito da un rivolgimento politico che ha provocato una profonda crisi economica. Il Giappone è in difficoltà a causa di un disastro naturale, il terremoto dell’anno scorso, da cui l’industria fatica a riprendersi.

L’Italia è dunque un’eccezione nel mondo più avanzato e con questo abbiamo e avremo a che fare quando si parla di stati di crisi nei periodici.

In altre parole, il futuro dei periodici potrebbe non essere compromesso a livello globale. Ma l’Italia paga la crisi del sistema paese.

Allego un’altra grafica del rapporto di Fipp. Indica la raccolta pubblicitaria prevista per il 2012, un dato che stima i miliardi di dollari degli investimenti pubblicitari.

Con mia grande sorpresa scopro che la Cina è al secondo posto. Ingenuo! dirà qualcuno. Sì, so che l’economia cinese cresce a tassi incredibili. Ma mai avrei pensato che, in cifra assoluta, gli investimenti pubblicitari fossero superiori a quelli di Germania e Gran Bretagna. Parliamo di 33 miliardi di dollari di pubblicità (totali, non solo sulla carta stampata).

Fipp, ricavi pubblicitari nei magazine.

Fipp, ricavi pubblicitari nei magazine.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

M’interessa perché: 1) i periodici hanno un futuro o la formula è superata? 2) i periodici hanno un futuro ma l’Italia affronta una crisi più grave che altrove, la ripresa sarà lentissima e per questo la nostra visione è particolarmente pessimistica, se non disperata? 3) si segnala l’importanza della pubblicità nel tenere in vita la stampa periodica: senza è difficile sopravvivere.

Fipp World Digital Media Factbook

Crollo della pubblicità sulla stampa

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Il primo mese di Huffington Post e la magra figura dei magazine nel web

I dati Audiweb di ottobre dicono che nel primo mese di attività l‘Huffington Post Italia ha portato a casa  49 mila utenti unici al giorno e 212 mila pagine viste.

Lucia Annunziata, direttore del giornale online, ha dichiarato di voler arrivare a 500 mila utenti unici al giorno entro il 2015.

Sui giornali è stato osservato che l’Huffington è dietro ad altri siti d’informazione, come Lettera43 (cresciuto in un anno del 246%) e Dagospia; ma precede Il Post, Blitzquotidiano.it e Linkiesta.

Guardo le tabelle con le testate e i dati di traffico.

Noto che l’Espresso, sito che appartiene allo stesso editoriale che pubblica l’Huffington, seppur in joint venture, ha 64 mila utenti unici giornalieri, non molti di più dell’altra testata, pur disponendo di una redazione con molte penne e firme.

Noto che nella classifica dei 100 siti per visitatori secondo Audiweb, non compare il concorrente de l’Espresso, Panorama.it. Osservo che TgCom24, quarto in classifica dopo Repubblica, Corriere e il Meteo, va evidentemente molto meglio di Panorama.it, testata online che appartiene alla stessa galassia editoriale, quella berlusconiana.

Ma le testate storiche, Espresso e Panorama, presenti da tempo nel web, hanno le armi per competere con Huffington e Tgcom24?

Altri magazine. Il primo nella classifica è Donna Moderna (Mondadori), con 327 mila utenti unici giornalieri, segue, a grande distanza, Leiweb (Rcs Mediagroup), con 160 mila utenti unici. Poi, lontani, Quattroruote, l’Espresso appunto ed Elle Network. I magazine non brillano, nel loro complesso.

M’interessa perché: 1) fotografa l’arretratezza della proposta sul digitale dei periodici; 2) non sarà che i periodici devono puntare sulle app e non sui siti?

Audiweb: su Huffington Post, l’Espresso e i magazine online.

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I lettori di giornali su tablet non vogliono interattività

I lettori di giornali su tablet non vogliono l’interattività: video, animazioni, grafica innovativa. Lo ha detto ieri il presidente di Hearst, David Carey, al Media Summit di Mashable, a New York.

“Dovevamo capire se i lettori delle nostre testate volevano qualcosa di completamente nuovo e interattivo o se invece desideravano semplicemente leggere i giornali su smartphone e tablet” ha detto Carey. “L’industria, inizialmente, si è data da fare con l’interattività. Quel che abbiamo scoperto è che la maggior parte della gente vuole soltanto il prodotto in sé”.

L’articolo di Mashable ricorda che nel 2010 Hearst ha fatto uno sforzo speciale per dare ai lettori contenuti coinvolgenti e interattivi. Esquire e O: The Oprah Magazine erano usciti con video, grafiche animate che ruotavano di 360 gradi, illustrazioni che si animavano con un tocco, contenuti audio supplementari.

Ma c’è stato un passo indietro. I contenuti multimediali sono stati ridotti. Le app non funzionavano bene, erano instabili, i lettori scrivevano pessime recensioni.

Il presidente di Hearst è intervenuto su altri aspetti cruciali dell’editoria moderna.

Non è mancata la professione di fede sul futuro dei periodici. Fiducia dimostrata con i fatti. L’editore americano, presente in decine di paesi inclusa l’Italia, ha continuato in questi mesi nella politica dei lanci con l’uscita di Food Network Magazine, che vende 1 milione e mezzo di copie, e HGTV Magazine, con un milione di abbonati.

Infine un’osservazione sulla capacità dei giornali di vendere prodotti. Di fare e-commerce.

Ricorderete le vendite congiunte, i giornali accompagnati da dvd, cd, collane e borsette, le edicole trasformate in bancarelle sulla spiaggia. Il mondo digitale apre nuove strade per compensare questa fonte di ricavo ormai esaurita.

“E’ proprio quello su cui stiamo lavorando” conclude Carey. “Un’occasione da non perdere per i lettori. E per gli editori, che potranno aumentare i ricavi. Faremo in modo che voi possiate toccare quel che c’è sullo schermo e comprarlo. Deve avvenire in modo fluido: senza attrito”.

 

M’interessa perché: 1) come saranno i periodici del futuro, su tablet? 2) trovare un modello di business: come fare ricavi con i giornali sul digitale.

 

Chi lo dice: “Mashable, social Media news blog covering cool new websites and social networks: Facebook, Google, Twitter, MySpace and YouTube. The latest web technology news …”.

 

I lettori non vogliono interattività

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