Il Racconto di due scuole mette a confronto le storie degli studenti di due importanti istituti di New York. Scuole diversissime per retta da pagare, reddito delle famiglie che iscrivono i figli, per qualità e sicurezza dell’ambiente urbano che le circonda.
Si tratta della University Heights, nel South Bronx, e di Fieldstone, dove l’iscrizione costa 40 mila dollari all’anno e i ragazzi sono spesso figli di star dello spettacolo e di imprenditori.
La storia è una raccolta di interviste, fatte a due a due, uno studente del Bronx e uno studente benestante appaiati. Testo e foto. Essenziale. E digitale.
Ne parla il responsabile della redazione digitale di Forbes, la media company nota non solo per il periodico economico e finanziario ma anche per le attività online, considerate un modello del next journalism: il nuovo che avanza.
Lewis DVorkin, con il consueto sarcasmo indirizzato contro i giornalisti, individua 15 blips, 15 puntini sullo schermo del (suo) radar del giornalismo.
In sintesi, vediamo quali sono e perché. Ma conviene leggere per intero l’articolo di DVorkin.
1) STARTUP: i tycoon del digitale iniziano a investire in startup votate al giornalismo.
2) NATIVE ADVERTISING: il pubbliredazionale, in forma rivista e corretta per il digitale, sta prendendo piede anche nei siti dei media tradizionali. Tra gli ultimi, il New York Times.
3) PIATTAFORME: da Medium a Tumblr, fanno vedere come sarà la comunicazione tutta a base di immagini e grafica della prossima generazione di lettori.
4) GIORNALISMO LONG-FORM: una parola del gergo internettiano, molto di moda, che indica articoli lunghi più di 3000 battute, comuni nei media tradizionali, diventati una formula nobilitante per quei siti che vogliono entrare nel giornalismo di qualità.
5) VERTICALI: si è scoperto che nel digitale c’è posto per siti d’informazione o ecosistemi giornalistici che si rivolgono a comunità circoscritte di utenti, nicchie di lettori diverse da quelle dei brand dal taglio generalista.
6) DATA: parola magica, soprattutto nella variante “big data”. Internet è tutto dati, a partire dal modo in cui si misura il successo di un articolo o una pubblicità online. Presto, dice DVorkin, sentiremo parlar meno di pageview o utenti unici e molto più di viewability: quante volte una pubblicità entra davvero nello spettro visivo di chi legge.
7) APP: la grande promessa per il futuro dei periodici sta deludendo le attese. Ma ci sono strategie per dare alla lettura dei giornali su tablet una seconda chance.
8) VIDEO: tutti gli editori della carta stampata corrono verso la produzione e distribuzione di video sulle piattaforme digitali dei loro brand. Ma per il momento i lettori sembrano preferire il testo scritto, più facile da scorrere, valutare, selezionare.
9) E-BOOK: una bella fonte di guadagno per i giornalisti che hanno trovato temi d’attualità di grande interesse, un ferro caldo da battere sul momento.
10) COMMENTI: vengono inventati sistemi sempre nuovi per dare spazio ai commenti dei lettori. Perché offrono un aggancio alla monetizzazione: tradurre le pagine viste e la partecipazione dell’utente in moneta sonante per i pubblicitari.
11) MOBILE: la pubblicità più basic, il banner (il vecchio annuncio), rende poco, ma si adatta alla versione per smartphone di tanti siti di news. Una risorsa da non perdere.
12) EVENTI: organizzati dai giornali, usando il loro brand, per guadagnare notorietà, conquistare pubblico, aumentare i ricavi.
13) NUOVA PUBBLICITÀ: anziché chiedere al lettore di pagare per accedere ai contenuti di un sito giornalistico, gli si chiede di pazientare un momento e guardare un video pubblicitario. Una formula, molto vista in Italia, che fa pensare al modello economico della tv commerciale.
14) NEWSLETTER: ci sono utenti disposti a pagare per newsletter di approfondimento su temi sensibili e rilevanti, soprattutto in ambito finanziario.
15) INCENTIVI: i giornalisti che aderiscono a “compensation program” vengono in parte premiati e retribuiti sulla base del traffico generato, dei lettori conquistati. Un tema spinoso, controverso, che vede Forbes schierato tra i “cattivi”. Sul versante dei “buoni” ci sono invece giornalisti (ed editori) che continuano a credere che chi scrive non deve essere condizionato dai risultati di traffico. Anzi, non dovrebbe neppure esserne messo a conoscenza. Per la qualità dell’informazione, non per restare attaccati a privilegi.
Riprendo di peso le 5 caratteristiche per un grande sito giornalistico elencate in un recente post di Mario Garcia, geniale designer americano che ha ridisegnato decine di media nel mondo etc etc.
Conviene andare nel blog di Garcia per vedere gli esempi grafici che accompagnano queste sintetiche Tavole di Mosè.
1) Must be uncluttered. Less is best (Non deve essere affollato. Meno è più).
Come il sito del Boston Globe
2) It offers a clear navigation (La navigazione è chiara e razionale).
Come il sito di The Guardian e del Sole 24 Ore
3) It surprises visually (Stupisce per l’impatto visivo).
Come Handelsblatt
4) It reflects immediately the look & feel of the publication it represents (Comunica immediatamente la personalità della pubblicazione).
Come Bild e The New York Times
5) It uses texture, contrast and color to help the eye move through the elements (Usa texture, contrasto e colore per aiutare l’occhio a muoversi e orientarsi tra i vari elementi).
Come Newsweek e Usa Today.
Qualche ora fa è stato presentato il primo dei magazine digitali di First Look Media, la “casa editrice” del papà di eBay.
Il giornale si chiama Intercept, è un “verticale” che si occupa di sicurezza, privacy ed è ritagliato intorno alla figura del giornalista che lo dirige, Glenn Greenwald, ex Washington Post.
Non sarà la prima creazione di questo tipo per First Look Media. Yahoo! sta seguendo la stessa strada.
E sulla stampa americana si dà spazio alla lezione di un professore di giornalismo, Jay Rosen, su quello che lui chiama “personal franchise model” applicato ai siti. Un esempio che tutti conosciamo: Andrew Sullivan.
Il personal franchise model è questo:
Caratteristiche
Redazioni costruite intorno a figure carismatiche di giornalisti che hanno una voce unica e un seguito online.
Il controllo editoriale è del fondatore, anche se la proprietà passa di mano.
Il modello si contrappone a quello istituzionalizzato degli editori tradizionali, dove le persone vanno e vengono mentre restano invariati i brand, i prodotti, il logo.
La testata non sopravvive senza il suo creatore.
L’approccio è di nicchia, riguarda un pubblico circoscritto. Non si danno news generaliste per tutti i gusti e palati.
Il modello economico è estremamente vario e unico per ogni esperienza.
Cosa lo ha fatto nascere
Il pubblico si lega più facilmente a una persona, che a un brand.
Con una figura carismatica, è facile sapere se c’è qualcosa di nuovo da leggere e seguire.
Nel tempo, è diventato più facile aver fiducia nella persona che nell’istituzione.
Nelle grandi aziende c’è meno propensione al rischio e all’innovazione, rispetto alle inizialmente individuali.
Le divisioni tra i generi del giornalismo, le convenzioni fruste, le barriere artificiali tra news e opinioni, le strutture piramidali, la debolezza tecnologica sono fonte di frustrazione per i giornalisti di maggior talento.
continua… leggete il link al professor Rosen!
The fall of the house of Tsarnaev viene commentata nel blog di Mario Garcia, il maestro di design giornalistico che insegna alla Columbia University.
Piace al designer la sobria ed essenziale veste grafica del prodotto, che lascia molto spazio bianco per entrare senza ansia nel racconto. Anche senza leggere tutto dall’inizio si può cogliere il filo della narrazione, la ricostruzione di un ambiente familiare altamente disfunzionale, di una migrazione negli Stati Uniti, da zone remote dell’ex impero sovietico, risoltasi in un fallimento sociale ed esistenziale.
I video ci portano nell’ambiente d’origine dei due presunti attentatori.
Le fotografie, viste allo schermo e non sulla pagina stampata, creano, a mio parere, un maggiore coinvolgimento.
Penso che lo scroll aggiunga un pizzico di drammaticità alla storia (come un libro?), a differenza della pagina del giornale, che si apre davanti a noi mostrando tutto nella sua interezza.
Ma Mario Garcia riporta nel suo blog gli scambi di tweet di una discussione sull’utilità di prodotti come questo, risalendo indietro al capostipite: Snow Fall del New York Times.
C’è chi ritiene efficace questo modo di raccontare storie. Chi lo trova noioso. Chi chiede di aver pazienza perché siamo solo all’infanzia dello storytelling. Chi invece vuole fare piazza pulita delle novità e tornare al… giornalismo.
Altri esempi:
The Russia Left Behind. La New York sotterranea e Vita e sogni dei campioni del football australiano. Multimedia storytelling sul DataGate. Vita delle attrici pornolesbo.
GIORNALISMO DIGITALE Oltre a The Russia Left Behind e ad altri esempi di multimedia storytelling di cui si è parlato in questo blog, penso alle storie di giocatori di football di un quotidiano australiano e al racconto della New York sotterranea di Vanity Fair: sono nel blog del designer Mario Garcia. Per la gioia dei nostri occhi. Mi è venuta voglia di capire più a fondo come si racconta una storia nel digitale. E mi sono imbattuto in uno strumento utilissimo, in lingua inglese.
COS’È MULTIMEDIALE Riprendo un tutorial della UC Berkeley Graduate School of Journalism. Consiglio a tutti di visitare il sito, ricco di strumenti pratici e teorici sul giornalismo digitale.
Una storia giornalistica multimediale non è solo un racconto a più dimensioni: testo, video, audio, foto, grafica, animazione, mappe, interattività.
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DIGITAL COMPANY CRESCONO Proprio mentre in Italia fa notizia l’intervista dell’Espresso a Wolfgang Blau (del Guardian) sul futuro del web dominato da grandi media company come The Guardian, The New York Times, BBC, negli Usa si discute di uno scenario simile. Però con protagonisti diversi. Non gli editori tradizionali, ma compagnie digitali che possono controllare l’informazione e la pubblicità su Internet.
Lo spunto: una grande società di siti web, Vox Media, con centinaia di titoli e giornalisti, sarebbe sul punto di comprare un’altra media company digitale, proprietaria di molti siti e blog, Curbed Network. Per un prezzo, pare, di 25/30 milioni di dollari (viene da sorridere, con “questi” americani, pensando che l’editore tedesco Axel Springer ha pagato nel 2011 oltre 600 milioni di euro per l’acquisto del portale francese di annunci immobiliari SeLoger).
Tanto è bastato per aprire un vivace confronto. Commentatori di primo piano del mondo digitale, come Mathew Ingram (è stato ospite d’onore al Festival internazionale del giornalismo, a Perugia) e voci del New York Times e di Reuters, hanno subito proiettato in avanti le conseguenze di questa acquisizione, immaginandola come il primo esempio di una serie di fusioni che porteranno alla nascita di giganti digitali del giornalismo.
STRETTA ATTUALITÀ Il primo novembre è stato pubblicato dal Guardian, quotidiano inglese con diffusione e rilevanza planetaria (il superamento dei confini nazionali è uno dei fenomeni resi possibili dal digitale), un racconto multimediale dello scandalo Datagate (Snowden/Nsa). Straordinario. Nelle interviste video le persone sono “scontornate” e iniziano a parlare non appena il lettore, facendo scroll sul racconto, arriva al punto. Ci sono documenti da sfogliare come se fossero fascicoli che ti vengono messi in mano. Grafiche sofisticate, animazioni. Giornalismo orientato a spiegare, passo a passo, una vicenda di spionaggio di massa che ha implicazioni sulla privacy di ciascuno di noi.
SUCCESSO NEL WEB Il quotidiano norvegese Aftenposten ha pubblicato il 2 novembre un racconto multimediale, Hooked on Yoga, di grande successo nel Paese: la quarta “notizia” più letta, la più condivisa nel giorno dell’uscita. È la storia di un ex tossicodipendente tornato a una vita normale grazie allo yoga. Un esempio seguito da un gruppo di persone, tutte con la stessa dipendenza. Tre giorni per girarlo, tre per scriverlo, cinque per documentarsi, cinque per fare il montaggio e l’editing video.
Il Punto: una grande lezione di giornalismo multimediale del New York Times. Che ha raccontato un viaggio nella Russia dimenticata, quella rimasta indietro nello sviluppo economico, spazzata via dal fenomeno dell’inurbamento delle campagne. Un reportage che utilizza in modo suggestivo, e magistrale, testo scritto, fotografia, video, interviste filmate, grafica. Una lezione da studiare punto per punto. Come a scuola di storytelling digitale
REPORTAGE MULTIMEDIALE Il 13 ottobre il New York Times ha pubblicato The Russia Left Behind, racconto della giornalista Ellen Barry di un viaggio in treno da San Pietroburgo a Mosca (durata: 12 ore), attraverso le campagne e i piccoli centri dimenticati. Villaggi diventati invivibili per il passaggio delle nuove vie di collegamento tra metropoli, paesi che si spopolano per la fuga della gente verso la capitale, tracce di una Russia del passato, tra monasteri ortodossi, icone e vita ai margini delle foreste.
È un esercizio giornalistico d’avanguardia che si inserisce nella scia del racconto multimediale del NYT pubblicato un anno fa, quel Snow Fall, premiato con il Pulitzer, che ha aperto la strada a nuove possibilità narrative nel giornalismo della transizione al digitale.
Il nuovo racconto offre spunti su due versanti. Quello dello sviluppo industriale ed economico dei giornali. E quello più strettamente giornalistico: le tecniche narrative, che a me interessano di più.
EVOLUZIONE DEL PRODOTTO Il primo punto è presto spiegato: a un pubblico di lettori che non chiede multimedialità a ogni costo, trovando più facile leggere articoli tradizionali anche nel digitale, bisogna però offrire alcuni prodotti “fuori serie” che appaghino la sete di novità rese possibili dal digitale. L’arricchimento multimediale, costoso per le redazioni in termini di tempo e di denaro, è comprensibile nel caso di Snow Fall e The Russia Left Behind, su cui gli utenti sono disposti a spendere più tempo. Nel secondo, c’è un’economia di mezzi che fa dire: è un passo avanti rispetto a Snow Fall.
TECNICHE NARRATIVE Il secondo punto riguarda invece la sete dei giornalisti di raccontare in modo nuovo, moderno, potenziato le proprie storie. L’ultimo reportage del NYT è istruttivo. La storia viene prima della scelta dei mezzi con cui costruirla. E il racconto parla a tutti i sensi.
COSA COPIARE Segnalo: 1) filmati brevi massimo di un minuto, centrati su interviste o scene d’ambiente, con pochi movimenti, quasi niente zoom, alta standardizzazione nel montaggio secondo la scuola anglosassone, audio perfetto sia nelle parole degli intervistati sia nel cogliere il suono d’ambiente, che aiuta a coinvolgere nel racconto. 2) Utilizzo di bellissime fotografie, in photo gallery di pochi scatti, facili da caricare, dimensioni a tutta pagina. 3) Si fa ricorso a una tecnica molto di moda che consiste nell’inserire nei video alcuni scatti fotografici: danno corpo al racconto, fissano protagonisti e situazioni. 4) Una grafica essenziale, che esalta le foto e gli snodi del racconto. 5) L’articolo è ben scandito, diviso in paragrafi brevi. Tutto è misurato: paragrafi scritti, video di pochi secondi, poche immagini ma valorizzate. Il segreto è questo?
Gli esempi che riporto sono di Journalism.co.uk.
A) 5 modi rapidi per costruire storie visuali che possono essere inserite in pezzi giornalistici.
1. Storify Per caricare, trascinandoli nel tuo scritto, foto, post, video, commenti dai social network e YouTube.
2. Datawrapper Carichi un foglio di Excel con numeri e il programma crea un grafico interattivo.
3. ThingLink Immagina di voler inserire in una foto delle annotazioni che compaiono quando sposti il cursore o tocchi su un volto o un oggetto. Con questo programma lo puoi fare molto facilmente.
4. Timeline JS Crea una linea del tempo che consente di seguire una storia articolata con un colpo d’occhio. Usa link, immagini, video presi dai principali social e siti popolari, esempio Wikipedia.
5. Tableau Usata anche dal Wall Street Journal. Crea grafici interattivi per raccontare i numeri dietro una storia.
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DVorkin fa il ritratto di alcuni giornalisti di Forbes, parte di una rete di 1000 contributors, che lavorano sia per il sito web della testata sia per la versione cartacea.
Vengono fuori modi di lavorare diversi, tutti però connessi alla realtà digitale e agli strumenti che questa offre. Perché siamo entrati nell’epoca in cui il lettore ne sa più del giornalista, di qualsiasi cosa esso si stia occupando. Ma, a differenza del passato, questo lettore può raggiungere con grande facilità l’autore degli articoli, dialogare con lui, arricchirne l’esperienza, dare spunti di lavoro e perfino criticare quel che è stato messo nero su bianco.
(Ieri sulla Lettura, inserto del Corriere della Sera, Antonio Polito ha fatto dell’ironia sui giornalisti italiani che usano Twitter come una vetrina e non come uno strumenti di scambio con il lettore, subito pronti a ritirarsi se arriva qualche critica – chiaro il riferimento a Enrico Mentana, direttore del Tg di La7, che ha da poco lasciato Twitter, appunto, perché preso di mira da alcuni follower. Sinceramente dubito che i giornalisti italiani famosi usino i social network per fare il loro mestiere. I giornalisti italiani famosi sono opinionisti, direttori, mezzibusti. Non redattori, corrispondenti, reporter, inviati. A loro serve una vetrina, non uno strumento d’indagine. E chi cerca la vetrina non accetta critiche).
Torniamo ai “ragazzi” di DVorkin, eccone tre.
George Anders, giornalista con 30 anni di esperienza alle spalle, ritiene che il toolkit digitale disponibile oggi, gli strumenti del mestiere, sarebbero stati una manna 20 anni fa. Siti web specializzati su cui trovare materiale, Skype per fare interviste in ogni parte del mondo a poco prezzo, Youtube con la sua raccolta di interviste di personaggi importanti, file wav delle proprie interviste che, negli Stati Uniti, possono essere trascritti da società specializzate per pochi dollari.
Chiudiamo gli occhi e immaginiamo che siano passati due anni, immaginiamo di essere fuori dalla crisi dei giornali (Premessa ottimistica n. 1: tra due anni la crisi sarà superata; premessa ottimistica n. 2: tra due anni faremo ancora i giornalisti).
Quale lavoro giornalistico faremo, come saranno le redazioni, quali i cambiamenti nei giornali?
Riprendo un articolo di un personaggio che mi affascina. Provocatorio, innovativo, sospetto, interessato, stimolante, mefistofelico. Lewis DVorkin, capo del digitale di Forbes, ha guidato una rivista famosa fuori dal dramma della crisi. Il giornale, ora, fa soldi nel digitale e in edicola.
Con la sua ideologia del cambiamento, così imparentata al liberismo di Forbes, DVorkin ha scritto quasi un anno fa due vocabolari: il giornalismo vecchio, il giornalismo nuovo. Il tramonto e la nuova epoca. Un piccolo testo che divide, fa arrabbiare, fa sorridere, colpisce.Per qualcuno si tratta di roba vecchia. Ma per molti giornalisti è tutto nuovo, perché da anni vivono incapsulati, per colpa degli editori, in redazioni vecchie e arretrate.
M’interessa il titolo dell’articolo: A New Language of Journalism Speaks to the Rebirth of a Profession, il nuovo vocabolario del giornalismo parla di rinascita della professione.
Old Language of Journalism:/ Vocabolario del vecchio giornalismo
Editors, reporters, stories, readers, anchors, viewers, advertisers, church, state, page one, column inches, rating points, photos, op-ed, sound bite, rewrite, correction, rim, slot, copy, blue line, press run, bull pen, bull dog edition, cover, picas, pages, broadcast, networks, broadsheet, bound, full bleed, register, takeout, ahed, lede story, copydesk, overnight, typeset, plate, inverted pyramid, wire, transmit, press time, stringer, “special to,” foreign correspondent, bureau, phoner, spike, kill, presses, stet, double truck, dateline, notebook, file, night editor, copy boy, jump page, in depth, breaking, paid circ.
New Language of Journalism: Vocabolario del nuovo giornalismo
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Il Punto: saper vedere il nuovo.
Alcuni utili strumenti che il giornalista digitale, dei magazine ma soprattutto dei quotidiani, dovrebbe conoscere e utilizzare.
Sono stati selezionati da Michael Maness del Journalism and Media Innovation program del Knight Center for Journalism (Texas).
Tra questi, DocumentCloud, Panda, Poderopedia, Scraper Wiki.
Leggete anche Le cinque qualità del giornalista digitale su Futuro dei Periodici.
Il Punto: strumenti e skill dell’era digitale.
Chi lo dice: «The Knight Center for Journalism at the University of Texas at Austin is a professional training and outreach program for journalists in Latin America and the Caribbean».
Ci ho pensato su molto prima di scrivere questo post. Distinguere tra giornalisti vecchi e giovani è, di questi tempi, argomento delicato. Ma è un tema che attraversa l’ambiente giornalistico.
Il video di questo post è stato pubblicato sul blog di Forbes. Parla Lewis DVorkin, Chief product officer della testata americana, prestigiosa, con una storia, ma molto cambiata in questi anni. Ne trovate una descrizione su «Breaking News» del professore Clayton M. Christensen della Harvard Business School (ampiamente ripreso da Futuro dei Periodici).
Forbes ha ancora una redazione, ma ogni giornalista coordina un gran numero di freelance, che fanno parte di una rete di 1000 contributors, tra scrittori, docenti universitari, giornalisti, esperti vari, businessmen, tutti specializzati in determinati soggetti. Postano le loro storie e rispondono dei risultati in termini di utenti e pagine viste (individual metrics). Il 25 per cento del budget della testata viene speso in collaboratori, i quali scrivono ogni anno circa 100 mila post.
Arrivo al dunque.
DVorkin descrive la differenza tra i giornalisti tradizionali, quelli che oggi hanno approssimativamente dai 50 anni in su, e la nuova ondata di giornalisti. Dice di aver partecipato qualche tempo fa a una rimpatriata tra ex colleghi di Newsweek, penne famose negli anni Ottanta, e di essere rimasto colpito come da uno schiaffo per la differenza tangibile tra questa generazione, che continua a lavorare come se nulla fosse cambiato, e i giovani di Forbes.
«Very few “star” journalists of that time and space have made the trip to the digital world. Most of those I spoke with and saware pretty much doing what they did 20 and 30 years ago. They’re doing it for traditional media companies that haven’t changed much either, although executives at each have convinced themselves otherwise. Those no longer working romanticized about the past».
Parental advisory: questo video potrebbe essere ritenuto offensivo. I giovani potrebbero veder mascherato, sotto il tono elogiativo, lo sfruttamento che avviene in tante realtà giornalistiche. I «vecchi» potrebbero avvertire un implicito invito a farsi da parte. Condivido le preoccupazioni di entrambi.
Tutto questo e altro ancora emerge dal video di Lewis Dvorkin sulla nuova generazione di Forbes. Ma la sostanza è buona, anche se ampiamente irrorata di succo autopromozionale: il modo di lavorare in molte redazioni è cambiato.
Il Punto: com’è cambiato il mestiere di giornalista.
Cosa deve saper fare un giornalista nell’era digitale? Le stesse cose di prima. E molto altro. L’approccio pragmatico di un giornalista della Bbc, il direttore delle news online Steve Herrmann, si traduce in cinque qualità, cinque competenze, che vengono richieste ai candidati che si presentano ai colloqui per entrare nella testata del servizio pubblico del Regno Unito (detto per inciso: alla Bbc si entra attraverso selezioni trasparenti e continue. Non è la Rai, con l’infinito precariato per i comuni mortali e le scorciatoie dei predestinati). Ho sempre amato il senso pratico degli inglesi. Nell’articolo di Journalism.co.uk, riportato in link alla fine di questo post, trovate anche un podcast con i consigli della Bbc.
Ecco i cinque skill più apprezzati da Steve Herrmann.
Immaginate articoli dalle dimensioni di brevi saggi. Arricchiti con foto, video delle interviste, infografiche, ricostruzioni animate di quel che è accaduto. Inchieste, reportage, lunghi più di 5 mila battute ma non oltre le 10 mila, come non ce ne sono più nei periodici di carta. Da leggere in più di 10 minuti ma meno di un’ora. Da scaricare come applicazioni, guardare dal sito di un giornale online o acquistare come e-book con contenuti aggiuntivi.
È la descrizione di qualcosa che esiste già. Sono gli E-Single, fenomeno editoriale di cui l’America discute con entusiasmo.
Il caso del momento è questo, un esempio di giornalismo narrativo, un docudrama, pubblicato dal New York Times, che parla di un grave episodio di cronaca, una valanga di neve di cui si sono occupati a lungo i giornali: Snow Fall – The Avalanche at Tunnel Creek