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Touchpoint: perché un magazine deve essere su tutte le piattaforme

Una ricerca di un grande editore britannico mostra come i periodici siano obbligati a essere presenti su tutte le piattaforme. Perché tutte queste, seppur in modo diverso, soddisfano 3 momenti e svolgono 4 funzioni. Cui non si può più rinunciare

IPC, che in Gran Bretagna pubblica Marie Claire, RealSimple e Nuts, ha commissionato una ricerca, Connected Consumers, con 3500 interviste, per mostrare l’efficacia dei magazine nella pubblicità.

La ricerca è appena stata premiata da Fipp, l’organizzazione internazionale dei magazine media.

Ecco alcuni estratti, la ricerca invece è qui.

 

QUANDO I magazine non sono più visti dai lettori come prodotti da guardare solo quando ci si vuole rilassare (“Me Time”). Si cerca invece un brand in molti momenti della giornata, per diversi tipi di contenuto. Sono 3 le fasi cronologiche e mentali:

– Catch up Time Il mattino, aggiornarsi rapidamente con fonti attendibili.

– Focus Time Al lavoro, con i minuti contati, per trovare quel che serve, che interessa, che si vuole, e si sa esattamente dove cercarlo.

– Down Time La sera, con i figli a letto, un momento tradizionalmente dedicato alla lettura. Si è più ricettivi anche verso la pubblicità.

I vari canali e piattaforme sono touchpoint, punti di contatto.

 

COSA Cosa si chiede a un periodico, e quale piattaforma soddisfa più ampiamente quel bisogno (anche se in modo non esclusivo).

Le piattaforme dei magazine

– Spark (ispira) I magazine danno idee ai lettori su tutte le piattaforme. Ma gli utenti, interpellati, dicono che la carta, quando si tratta di ricevere ispirazione, rimane lo strumento preferito nell’89% dei casi (81% online, 77% sito, 70 % social).

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La seconda apocalisse dei media: la crescita del mobile

La pubblicità su mobile rende meno di quella su pc. E questo è un enorme problema per i media digitali. A partire da Google

Leggo questo pezzo su ZDNet (CBS Interactive) intitolato: La seconda apocalisse dell’industria dei media – La rapida ascesa del mobile.

Si spiega come il mobile sia in rapidissima crescita: la gente raggiunge i contenuti attraverso smartphone (e tablet). Il pc sta calando.

Questo ha una ricaduta sulla pubblicità che mette a rischio la sopravvivenza stessa dei media digitali.

La pubblicità su mobile, infatti, è pagata in media un decimo di quella per il desktop.

Lo sappiamo, leggere un annuncio banner o altro su schermi piccoli è un’esperienza fastidiosa. La resa è scarsissima.

La compressione verso il basso mette in difficoltà tutta l’industria dei media.

La prima apocalisse è stato il crollo del valore della pubblicità nel digitale: vale un decimo di quella su carta. E il prezzo lo stanno pagando le case editrici di quotidiani e periodici.

Ma la compressione della pubblicità su mobile rischia di giocare uno scherzo ancora più grosso ai giganti di Internet. A partire da Google, a sentire l’autore dell’articolo.

In questo gli editori che provengono dalla carta stampata sarebbero addirittura più protetti dei concorrenti digitali. Il valore della pubblicità sui giornali, infatti, scende a una velocità più bassa di quella su mobile. E si para meglio il colpo, rispetto all’industria dei media digitali.

Un argomento da approfondire.

Futuro dei Periodici

 

 

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La Pubblicità Sulla Copertina Di Time

Time mette la pubblicità in copertina: è la prima volta in  91 anni di storia. Succede alla vigilia dello scorporo dei periodici dalle altre attività di Time Warner. Non viene rispettata una linea guida condivisa da tutta l’industria sulla distinzione tra contenuti giornalistici e promozionali. Ma l’editore dice che questo è solo un piccolo cambiamento rispetto ai rivolgimenti nel mondo dell’informazione

La pubblicità di Verizon Wireless compare in basso a sinistra sulla copertina di Time e su un altro titolo della casa, Sports Illustrated, riferisce il sito della rivista Adage.

Il fatto che questo avvenga nella principale case editrice di periodici negli Usa spinge a pensare che presto altri seguiranno l’esempio. Un fatto che suscita preoccupazione e sconcerto. Time annuncia di voler ripetere l’operazione anche nella pagina del sommario, altro luogo finora considerato inviolabile nella distinzione tra giornalismo e pubblicità.

Time

Casi simili si son verificati raramente in passato. Qualche volta anche in Italia.

Spiega Time Inc.

We want to be entrepreneurial. We want to be creative. We want to do things that make sense for all of our stakeholders, including readers, viewers in digital space, advertisers and others.

Vogliamo essere imprenditoriali. Vogliamo fare cose che abbiano senso per gli azionisti, i lettori, gli utenti nel digitale, gli inserzionisti.

La pubblicità in copertina fa parte di un pacchetto, offerto solo ai maggiori inserzionisti di Time, che comprende anche una pagina di pubblicità dentro il giornale.

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Anche La Pubblicità Fugge All’Estero

Gli investimenti in pubblicità calano nella carta stampata anche perché i top spender spostano le risorse verso altri Paesi: quelli che garantiscono un ritorno superiore all’Italia

Uno degli articoli che più mi hanno colpito in queste settimane, per le chiavi di lettura che fornisce sulla crisi dei media, è uscito il 6 marzo sul Sole 24 Ore (pagina 37, a firma Andrea Biondi).

Si parla di pubblicità. E delle scelte fatte dai player più importanti del settore, i 10 top spender: le 10 aziende che più investono in spot e marketing in Italia, con una quota pari al 15% su un totale di 6,4 miliardi di euro.

Nelle parole degli intervistati, tra cui Roberto Binaghi, Ceo del centro media Mindshare, un’autorità nel campo, viene fuori un quadro preoccupante per tutti i media, ma soprattutto per la carta stampata.

Non solo un’interminabile crisi economica iniziata ormai 5 anni fa ha portato a un taglio negli investimenti.

Il fenomeno più preoccupante è nel cambiamento delle strategie. I 10 top spender sono esemplari, in questo. Non solo in un anno le società hanno ridotto complessivamente del 16% la spesa (contro il 12% circa del mercato). La cosa più grave, per chi vive nei media, è che gli investimenti maggiori si stanno spostando verso Paesi che garantiscono un ritorno maggiore.

Un cambiamento di lungo periodo.

Consiglio di recuperare l’articolo. I tagli maggiori riguardano gli investimenti nei quotidiani a pagamento.

Futuro dei Periodici

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La Guerra Della Pubblicità

La pubblicità su internet vale poco. E sfugge a misurazioni affidabili. Tra frodi e zone grigie

C’è questo interessante articoletto di Quartz sulle mosse di Google e un recente acquisto fatto dal gigante di Internet. Nei giorni scorsi ha comprato una società, Spider.io, che si occupa di pubblicità.

E’ l’occasione per capire meglio la guerra della pubblicità. E in che modo può riguardare la carta stampata.

Si parte dalla notizia, molto commentata, che metà della pubblicità su Internet non viene vista da nessuno. La parte rimanente, in parte non viene vista da esseri umani, ma da macchine.

Ci sono computer che guardano miliardi di pubblicità (come ha rivelato un anno fa proprio Spider.io).

Da qui la scarsa affidabilità delle misurazioni su Internet. Una mancanza di credibilità che comprime verso il basso i prezzi, mettendo in difficoltà chiunque cerchi di far ricavi nel digitale, editori compresi.

Anche per questo, si spiega, il brand advertising, cioè la pubblicità di maggior qualità e valore (contrapposta ai piccoli annunci), rimane ancora in tv e, in misura non disprezzabile, sulla carta stampata.

In Italia il 50% della pubblicità va ancora alla tv, il 20% ai giornali, il 17% (stime) a Internet.

Invece negli Usa la situazione è questa.

Pubblicità negli Stati Uniti

 

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Perché Tutti Creano Siti Di News

La corsa delle società nate del digitale verso i contenuti giornalistici. Il lancio di siti di news che fanno concorrenza a quotidiani e periodici. Un esperto di media analizza il fenomeno

E’ un post di Ken Doctor su Nieman Lab, punto di riferimento per chi tiene d’occhio le novità del giornalismo nel digitale.

Il superconsulente analizza in dettaglio la situazione. Le compagnie che hanno sviluppato piattaforme digitali fanno a gara nel lanciare iniziative editoriali. Creando nuovi brand e testate verticali. Assumendo giornalisti con un nome.

Ma un punto sottolineato da Ken Doctor è quello della sostenibilità economica: un sito di news può stare in piedi.

Può stare in piedi se trova un pubblico di lettori ben circoscritto, per quanto limitato nella dimensione: una nicchia.

Può nutrirsi di pubblicità nativa, diventata competitiva rispetto a quella dei banner.

Può creare redazioni piccole ma con possibilità di ampliarsi.

«Business models are maturing. New publishers are finding enough niches tolargely pay smaller-but-expanding staffs of journalists — if they can create large enough audiences. They are also seeing that native advertising, well done by BuzzFeed and Atlantic Media, for instance, offers a way to compete with programmatic advertising. Premium (Politico Pro) and events (Business Insider) strategies are giving the new publishers the sense they don’t have to wholly rely on advertising».

Futuro dei Periodici

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Perché Il Digitale Ti Allunga La Vita: Fenomeno Multihomers

I giornali sono in declino. Ma le testate con una presenza digitale riescono ad attrarre più pubblicità. Come spiega uno studio dell’università di Toronto. Che aiuta a capire i cambiamenti nel mondo della pubblicità e di chi la gestisce. Anche in Italia

Sono notizie che sembrano la scoperta dell’acqua calda. Se invece ci rifletti sopra, con umiltà, porti a casa un pezzetto di conoscenza. Acquisisci una chiave di lettura che ti aiuta a capire perché una concessionaria italiana di pubblicità prende anche la raccolta sulle radio, le tv. O compra riviste che altrimenti chiuderebbero.

La ricerca dell’università di Toronto Scarborough (condotta sulla stampa tedesca, con la collaborazione di docenti europei dell’università di Zurigo) spiega fino in fondo le conseguenze, per la pubblicità, di avere a che fare con lettori che si cibano di contenuti su più piattaforme: la loro “dieta mediatica” (come dicono gli esperti) include la lettura del giornale di carta, navigazione e ricerca su Internet, social media, tablet e tanto smartphone. Si chiamano “multihomers” (ma in italiano la esse del plurale va cassata, giusto?).

L’attenzione del lettore/consumatore è parcellizzata. La comunicazione delle aziende, la pubblicità, non può più avvenire solo su un canale. La carta non basta, ma neppure il digitale da solo. Bisogna seguire il potenziale cliente nei suoi spostamenti e conquistare ovunque la sua attenzione. Non c’è dunque il “passaggio al digitale”, ma siamo su un terreno misto.

Torniamo ai multihomer. Tracciarli non è facile. I giornali che ci riescono, che selezionano un pubblico di lettori con interessi molto focalizzati e omogenei, e presenti su carta ma anche sulle estensioni in radio, tv e digitale, possono vendere a un prezzo più alto gli “spazi” pubblicitari. Possiedono qualcosa di grande valore.

Per questo è importante sviluppare una presenza a tutto tondo. Non solo perché si perdono lettori e copie dei giornali.

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Pubblicità: New York Times fissa il nuovo standard?

New York Times lancia oggi una versione aggiornata del sito. Avremo tempo per guardarlo e giudicarlo. Ma una grande novità è il rapporto che si stabilisce tra contenuti giornalistici e pubblicità. Il quotidiano più famoso del mondo fissa lo standard per gli anni a venire?

Date un’occhiata ai pezzi messi in link. Nel primo, si spiega come il New York Times abbia deciso di ridefinire nel digitale il rapporto tra giornalismo e pubblicità. Da ora in poi, oltre ai banner ( le pubblicità ai margini della pagina), il sito ospiterà contenuti sponsorizzati di varia natura. La pubblicità diventa “organica”: mescolata ai pezzi giornalistici, anche se ancora distinguibile (nelle dichiarazioni d’intenti del quotidiano). Il discorso è articolato e riguarda prodotti giornalistici sperimentali come il celebre Snow Fall e successivi racconti multimediali.

Un modello che è stato rodato dal social media Facebook, che mette insieme news e annunci; da Forbes, con il suo Brand Voice; perfino da Washington Post.

Per molti è una scelta inevitabile. Il problema nasce sulla carta e si amplifica nel digitale. I banner, la pubblicità ordinaria, rendono pochissimo e non sono serviti a sostenere i fatturati del New York Times e altre pubblicazioni.

Ma anche il mondo della pubblicità è costretto a rivede le sue strategie comunicative. Le vecchie strade non portano più da nessuna parte. Ormai si legge ovunque che aziende e società si sforzano in ogni modo di diventare editori di se stesse, attraverso siti dei brand, pubblicazioni mirate, nuove modalità di promozione sui mezzi d’informazione. Chi fa il giornalista se ne è accorto da almeno 10 anni.

Cambiano i confini: è come dopo il Congresso di Vienna o la Conferenza di Yalta. Si impone quel fenomeno chiamato native advertising.

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Giornali (Digitali) Campioni Nel Marketing

Una ricerca di GlobalWebIndex fa vedere come i quotidiani e i magazine digitali siano la principale via per far scoprire i brand ai consumatori. Una prova di resistenza delle testate giornalistiche nel marketing?

Ci si chiede se anche nella nuova dimensione digitale le riviste resteranno una vetrina utile per la pubblicità. Sapete che spesso si dice che nell’online il prestigio della fonte giornalistica non conta: la gente cerca informazione facendo ricerche su Google, non entrando direttamente nei siti dei giornali. Ma è una convinzione da rivedere. Lo dico senza essere un esperto, partendo dalla lettura di quest’articolo uscito su marketingprofs.com. Il modo più efficace per la scoperta di un brand rimangono i giornali e le riviste, ma nella loro versione digitale. Soprattutto tra i giovani fino ai 24 anni: la fetta di popolazione meno interessata alla carta stampata. La fonte: uno studio di GlobalWebIndex.

brand-discovery-gwi-2013

Mi sembra una piccola notizia positiva. La raccolta di pubblicità non riguarda il giornalista. Ma è una delle fonti di guadagno per l’editore, insieme alle diffusioni. E concorre a creare quell’equilibrio economico che è condizione per tenere in vita l’industria dei periodici come l’abbiamo conosciuta negli ultimi 20 anni. Un equilibrio andato in mille pezzi.

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Pubblicità: L’Italia Diventa Europa Periferica

3 anni che cambieranno la pubblicità (e i media, che di pubblicità vivono). Sono quelli che ci attendono. Con queste conseguenze: dopo 35 anni si ferma la crescita della televisione; la pubblicità su smartphone e tablet supera quella dei periodici; la carta stampata si gioca tutto nel digitale

Una volta le notizie sulla pubblicità non m’interessavano: pensavo le leggessero solo addetti ai lavori e giornalisti specializzati.

Ma da quando la carta stampata è in crisi, ho capito che la sopravvivenza delle testate è legata alla capacità di avere una parte nella comunicazione delle aziende (oltre che dal conservare lettori). La perdita di ruolo alimenta la crisi.

Al riguardo, ieri ho letto un importante rapporto di ZenithOptimedia, una delle società globali della pubblicità. Contiene previsioni che vengono lette da chi dirige i media, il marketing, le aziende. Ho scoperto che…

LA TV SI FERMA

La raccolta mondiale di pubblicità nella tv raggiungerà il prossimo anno il picco di crescita. Poi, entro il 2016, avverrà la prima flessione dopo 35 anni. La crescita passerà di mano, sarà del digitale.

È il segnale di una svolta.

E i periodici, e l’Italia?

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L’Estinzione della Pubblicità – Ottobre 2013

La pubblicità nella stampa è in profondo rosso. Da anni. Si può capire perché sia sotto esame il sistema che la raccoglie in quotidiani e periodici

Sono stati diffusi i dati sulla raccolta pubblicitaria dell’Osservatorio Stampa di Fcp.

Nei dieci mesi del 2013 la stampa ha perso il 22,2% del fatturato pubblicitario.

I periodici segnano -24,8% a fatturato rispetto al 2012.

L’anno scorso il calo dei periodici era stato del -16,4% rispetto al 2011.

L’anno prima del -2,2% rispetto al 2010.

L’anno prima del -6,7% rispetto al 2009.

L’anno prima del -30% rispetto al 2008.

Finito?

Futuro dei Periodici

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La Condanna a Essere il Numero Uno

Piccola storia istruttiva. È come la storia di un piccolo quadro di poca importanza artistica collocato in una cappella minore di una grande chiesa. Ma quel che gli succede può riguardare altri.

È la storia della chiusura di una rivista B2B, business to business, per addetti ai lavori: Fire Chief, nata nel 1957, pubblicata a Chicago, letta da manager e capi dipartimento dei vigili del fuoco. Vien quasi da sorridere.

È stata sacrificata, insieme al sito web e alle pubblicazioni satellite, nonostante vendesse 47 mila copie (da 52 mila di qualche tempo fa), non poco per un titolo di nicchia. La ragione?

Non era più la prima nel suo settore, la testata leader, la numero uno. Era solo la numero due.

A decade ago, being number two in a category was not a bad thing, there likely to be many other titles below. But today, when advertisers have so many more choices, not being the king of the hill could mean that there are few ad pages to be had.
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Multipiattaforma – Cos’è la Rivoluzione per Giornali e Pubblicità

La trasformazione dei periodici, diventati prodotti presenti su più piattaforme. La ridefinizione dei contenuti su tutti i canali nuovi. La sfida della standardizzazione delle metriche per misurare il successo nel digitale. Sono i punti toccati in un’intervista istituzionale ma piena di spunti stimolanti. Il concetto centrale: capire che cosa significa davvero essere giornali multipiattaforma

Parla Mary Berner, Ceo dell’Associazione dei Magazine Media americani, veterana dei magazine, ex Reader’s Digest e Condé Nast. Un’intervista istituzionale ma feconda. Che riprendo e reinvento nella forma. Apoditticamente (ma per gioco). Il concetto su cui tutto ruota è: multipiattaforma.

I CONTENUTI

Multipiattaforma: quanto lavoro in più per i periodici.

Multipiattaforma: devi offrire un grande prodotto non solo sulla carta, ma su tablet, sito web, smartphone. E sei anche in tv, radio, YouTube, Facebook…

Multipiattaforma: la sfida è farsi trovare dai lettori, avere un posto in prima fila nelle edicole digitali, non essere sepolti dai contenuti su internet, farsi acquistare.

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“I giornali hanno un nuovo concorrente: i loro inserzionisti” – Editori e pubblicità

Le aziende e i grandi marchi stanno diventando abili narratori. Ed editori in proprio, perchè, come ognuno di noi, possono pubblicare qualsiasi cosa in qualsiasi momento. Ferragamo è l’ultimo esempio di storytelling multimediale

NUOVI CONCORRENTI Mi era entrata nell’orecchio, l’altro giorno, una frase pronunciata dal responsabile della strategia in News Corp (Murdoch). Questo Raju Narisetti spiegava alla World Publishing Expo di Berlino che:

Newsrooms now face a new competitor: Our advertisers – what is happening is smart brands and smart advertisers are becoming smart storytellers. «We have always had competition for our reader’s time, but this is a double-hit: you lose the readers and the advertisers».
I giornali ora si trovano ad affrontare un nuovo competitor: i nostri inserzionisti pubblicitari. Succede che i brand più sgamati e i pubblicitari più sgamati stanno diventando abili comunicatori. «Abbiamo sempre avuto contendenti per l’attenzione dei lettori, ma questo è un doppio attacco: rischiamo di perdere lettori e inserzionisti».

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La crisi della pubblicità: Publikompass, Prs, Visibilia e Guido Veneziani

Concessionarie di pubblicità che comprano giornali, altre che licenziano e si ridimensionano. Queste società che sono delle protagoniste dell’editoria stanno seguendo la strada dei giornali: acquisizioni, ristrutturazioni, ripensamento del business.

(Aggiornamento: sono usciti i dati sulla racconta pubblicitaria nei giornali nei primi 8 mesi del 2013. I quotidiani fanno, a fatturato, -22,4%, i periodici -25,3).

Vi siete chiesti perché una concessionaria di pubblicità compra le riviste di RCS? Perché Visibilia di Daniela Santanchè fa offerte per lo stesso pacchetto di giornali e poi si consola provando a comprare i giornali di Guido Veneziani e una rivista specializzata chiusa da Mondadori? E perché Publikompass, leader in Italia su carta e web, annuncia la chiusura di sedi e la mobilità di oltre 80 agenti?

Domande che si fanno i giornalisti. Si accorgono che la tempesta dell’editoria ha investito non solo le loro testate, comportando dal 2008 a oggi centinaia di pensionamenti e licenziamenti, ma anche il mondo contiguo della pubblicità. Per questo me ne occupo.

Leggendo in giro, e parlandone con un lettore di questo blog che conosce bene questo mondo (grazie del confronto!), mi sono fatto queste idee, tutte suscettibili di aggiustamenti.

1) La pubblicità, come sappiamo, è in crisi tanto quanto se non più dei giornali. Il calo degli investimenti è stato, dal 2008 a tutto il 2012, solo nei periodici, pari a quasi 500 milioni di euro. Nel 2008 gli investimenti di pubblicità nei magazine erano 1.149 milioni, nel 2012 sono stati 650 milioni, nel 2017 si prevede possano essere 524 milioni di euro.
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L’Anno in cui Abbiamo Rottamato il Computer – Il Boom del Mobile nel 2013

Nel 2013 c’è il boom della pubblicità sul mobile, cioè su tablet e smartphone. E per la fine dell’anno si venderanno più apparecchi di questo tipo che pc. La principale porta d’accesso a internet non è più il computer

PUBBLICITÁ NEL 2013 Riprendo le previsioni diffuse da ZenithOptimedia sulla pubblicità. Sono impressionanti. Dicono che nel mondo, quest’anno, c’è il boom della pubblicità sul mobile. Se guardiamo alle somme di denaro investite, sono decisamente inferiori che sulla tv e nei giornali. Ma il mobile è quello che cresce di più. E continuerà a farlo nei prossimi anni (per il 2015 la pubblicità su mobile sarà pari, a valore, al 25,2% di quella su internet e al 6% del totale).

Il mobile cresce 7 volte più velocemente della spesa pubblicitaria per l’internet da desktop: +77% nel 2013, +56% nel 2014, +48% nel 2015. Complessivamente la spesa su internet cresce invece di APPENA il 10% l’anno.

SMARTPHONE BATTE PC Non c’è da stupirsi, dice l’articolo riportato in link alla fine del post.

Per quest’anno, infatti, si prevede che negli Usa, e a maggior ragione negli altri Paesi, si venderanno più apparecchi mobili che personal computer. E lo smartphone sta diventando lo strumento più utilizzato per entrare in internet.

I GIORNALI C’è qualche parola di conforto per la carta stampata? Sì, nel 2012 la spesa in pubblicità su quotidiani e periodici americani ha comunque superato quella su internet. E nel 2015 sarà ancora così, se si somma la radio alla carta stampata.

Il punto: per il futuro, quotidiani e periodici devono guardare sempre di più al tablet. Lo si dice anche nell’articolo qui sotto: gli editori sono in ritardo nel fornire contenuti per il mobile.

Techcrunchla pubblicità nel 2013.

TechCrunch

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Cosa succederà ai periodici nei prossimi 5 anni (previsioni di PwC)

Rilettura approfondita del rapporto con le previsioni 2013-2017 sui media italiani. Faccio il punto sui periodici: spesa degli italiani, investimenti pubblicitari, cause del ridimensionamento, occasioni di sviluppo

LE RIVISTE RIMANGONO IMPORTANTI Ho capito questo, rileggendo il rapporto di PwC, società internazionale di consulenza. Che i periodici, quanto a capacità di farsi leggere dagli italiani e di raccogliere pubblicità, diventeranno un mondo ancora più piccolo di quanto non siano nel 2013. La spesa complessiva su questo media in Italia (copie in edicola, abbonamenti, annunci) passerà da circa 2 miliardi di euro a circa 1,5 miliardi nel 2017. Ma le riviste di carta, e le loro estensioni digitali, resteranno comunque una forma di intrattenimento e comunicazione rilevante per il giro d’affari complessivo, seppur ridimensionato rispetto al 2008. Inferiore a tv, gioco (lotterie e azzardo, anche online), quotidiani, libri, internet. Ma superiore a cinema, musica, radio.

PESERANNO MENO Il nostro paese è più di altri legato a questa formula giornalistica, come rivela il confronto con il resto dell’Europa (il settore media e intrattenimento italiano è il 9,2% del totale europeo; ma i periodici italiani sono il 9,7% del totale europeo). Le edicole sono piene di riviste. Ma, rispetto ad altre forme di intrattenimento, arretreranno di molto da qui al 2017. Più di tutte le altre (un calo del 5,8%, superiore a quello dei quotidiani. Gli altri settori, invece, cresceranno nei prossimi 5 anni, con eccezione di libri e musica: tv, internet, gioco, cinema etc etc).

Una delle ragioni, spiegano gli analisti di PwC, è il peso delle copie vendute in edicola: a causa della crisi, la gente ha speso meno e c’è stato il tracollo delle diffusioni. Gli abbonamenti, un canale poco rilevante in Italia, reggono invece meglio, perché la gente tende a rinnovare le sottoscrizioni. O comunque non prende decisioni di settimana in settimana, o di mese in mese, come per i prodotti in edicola. Lo si è visto negli Usa, dove le copie vendute in abbonamento sono 9 su 10, e difatti non si è registrato un crollo delle diffusioni. Ma nel nostro paese le tariffe postali, e la qualità del servizio di consegna a domicilio, scoraggiano gli editori dall’investire in questa direzione. Non è un investimento: è una perdita.

COME MIGLIORARE Come reagire? Il rapporto contiene solo due indicazioni. La prima sulle copie digitali delle riviste. Ha senso proporle anche se non compenseranno il calo in edicola. Consentono infatti di raggiungere lettori benestanti, che si possono permettere l’acquisto di tablet, dunque un pubblico appetibile come target pubblicitario. La seconda raccomandazione riguarda la creazione di community intorno ai siti e alle app e all’attività social delle riviste, il digitale. Solo così i periodici resteranno un media rilevante.

Ma queste sono solo previsioni. E sarebbe bello riprendere i rapporti di PwC degli anni passati e vedere di quanto si siano avvicinati alla realtà.

Rapporto PwC: i media tra 2013-2017.

Futuro dei Periodici

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Il calo della pubblicità nei giornali italiani – Previsioni fino al 2017 di PwC

I segnali di ripresa della pubblicità in luglio riguardano tv e internet. Ma i periodici e i quotidiani continuano ad andare male. Un trend che potrebbe proseguire

UN PROBLEMA DELLA CARTA STAMPATA In luglio i periodici hanno perso a valore (quanto s’incassa) il 24,1% rispetto allo stesso mese del 2012. Come i quotidiani. Peggio fa solo il cinema. Sono numeri diffusi ieri dall’istituto Nielsen. Il dato complessivo del calo degli investimenti in pubblicità è invece “solo” del 5,4%, e da inizio anno il mercato ha perso il 16%. Le buone notizie sono limitate alla tv, che torna a vedere una crescita (1,6%) al termine di 21 mesi di risultati negativi (2 anni!). Mentre internet, dopo 4 mesi in calo, segna una crescita del 5%.

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La pubblicità nel digitale: capire come cambia il rapporto con i giornali

Il mondo della pubblicità è stato rivoluzionato dal digitale. E vive una crisi paragonabile a quella della stampa. Un argomento di importanza vitale anche per i giornalisti. Che ne parlano come mai prima.

INTERESSA AI GIORNALISTI Molti dei siti giornalistici americani che riprendo in questo blog parlano di com’è cambiata la pubblicità nel digitale. Con la crisi, chi lavora in quotidiani e periodici, radio e tv, ha capito la centralità dei guadagni da pubblicità per la sostenibilità dell’attività giornalistica. Sappiamo che se l’informazione non troverà un nuovo equilibrio economico, il suo spazio si ridurrà di molto in un futuro vicino.

Da mesi sto cercando di capire come funziona la pubblicità nel digitale. Non sono un esperto dell’argomento, per niente. Ma ho provato a orizzontarmi.
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Il modello del New York Times, i periodici, i media

Tre pennellate nell’acquerello di come cambiano periodici e media.

Riprendo tre passaggi di un intervento di Ken Doctor, consulente americano che si occupa dei media, uscito su Nieman Journalism Lab, sito che per me e’ un punto di riferimento sui cambiamenti nel giornalismo (e’ un laboratorio legato alla universita’ di Harvard).

Parliamo di periodici e media, ma Ken Doctor analizza i risultati semestrali del New York Times, i ricavi, le novita’ in quella che e’ una delle testate che reggono la fiaccola del passaggio progressivo al digitale. Modello di business cercasi, come dicono gli esperti; e il Times ci sta provando, a trovare un modo per tenere in piedi il giornalismo.

Torniamo a noi.

Prima pennellata. Il New York Times cerca nuovi modi per fare ricavi stabilendo alleanze con societa’ che forniscono contenuti, thid-party, come si dice in gergo. Contenuti che non vengono prodotti dalla redazione ma comprati gia’ confezionati allo scopo di arricchire l’offerta digitale e del sito. Non e’ crescita organica. Per cui il Corriere della Sera o una rivista italiana non fa tutto in casa: compra all’esterno, stringe alleanze. Un futuro promettente per service e produzioni video. O intese tra gruppi editoriali della carta e gruppi televisivi: pronto?! In Italia ci sono per caso editori che possiedono giornali e tv, o che hanno appena fatto acquisti in tal senso?

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La crisi della raccolta pubblicitaria nei media – Indagine globale di Nielsen

Che l’Europa fosse il malato dell’economia lo si sapeva. I dati sugli investimenti in pubblicità nei media conferma che la carta stampata degli editori europei è ancora nell’occhio del ciclone. Ed escono i dati sui primi sei mesi in Italia di Osservatorio Stampa Fcp: calo sulla carta stampata del 24,4%, periodici -26,1%.
L’articolo di Mediapost (riportato in link alla fine di questo post) riporta i dati dell’istituto Nielsen sul primo trimestre del 2013.
Solo nella televisione (e su Internet)  c’è una raccolta pubblicitaria in moderata crescita a livello globale: +3,5%.
Ma in Europa anche quest’area è in sofferenza e perde il 2,9%.
Nel mondo, la pubblicità è in declino sulla carta stampata, con i periodici giù del 2,8%, i quotidiani addirittura del -4,7%.
Nei periodici, la diminuzione riguarda soprattutto Europa, l’area dell’Asia sul Pacifico, l’America Latina, Medio-Oriente ed Africa.

La radio è scesa dello 0,2%. Il cinema del 5,8%.
Solo Internet, con la pubblicità display, ha una crescita, anche in Europa, dove c’è un incremento superiore al 10%.

Ma qual è il rapporto di forza tra media? La tv ha una fetta di mercato dominante, come in passato, pari al 59%. Seguono i quotidiani al 18,3%, i periodici al 9,4%, la radio al 5,5%, Internet al 4,4%, il cinema 0,3%.
Questa e’ una fotografia del pianeta. Perche’ sappiamo che in Italia, invece… (in link i dati del primo semestre 2013 sulla carta stampata).

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Annotazioni sulla qualità dei giornali (partendo dal Lucignolo di Mediaset)

Ci sono due partiti. Quello di chi sostiene che la crisi della carta stampata sia anche dovuta alla sempre più scadente qualità delle riviste. E il partito di chi pensa che, proprio perché le difficoltà economiche hanno ridotto l’importanza della pubblicità nei giornali, come fonte di guadagno, l’attenzione al lettore sia cresciuta.

Questo post apparentemente non c’entra nulla con i periodici, il tema del blog. Ma facendo un giro più lungo del solito, alla fine arriverò a parlare anche di riviste.

Ho letto una serie di articoli sulla prossima stagione televisiva di Mediaset. Si parla dei programmi che andranno in onda dall’autunno, quelli consolidati, le novità, la revisione di formule storiche.

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La crisi delle riviste di attualità – Stati Uniti e Germania

Notizie sui newsmagazine, i settimanali d’attualità che si occupano di politica, cronaca e società, negli Stati Uniti e in Germania.

STATI UNITI. I dati di una ricerca del Pew Research Center registrano un pesante calo nella raccolta pubblicitaria dei newsmagazine americani nei primi sei mesi del 2013, confrontati con lo stesso periodo del 2012. Più in generale, il panorama sugli investimenti promozionali rimane preoccupante per tutte le pubblicazioni periodiche: -4,9%. Nel 2009 c’era stato una brusca riduzione nel numero di pagine pubblicitarie (l’indicatore più veritiero dello stato di salute dei giornali in rapporto alla pubblicità, più dei ricavi). Poi un lieve recupero. Il 2013 si sta rivelando, almeno nella prima parte, l’anno più difficile dopo il terribile 2009. Negli Usa il calo tra 2003 e 2012 è stato del 36%. Noi italiani ne sappiamo qualcosa. Quanto alla  raccolta pubblicitaria nelle riviste, il calo del 2013, nel nostro Paese, è tre volte più pesante del 2012.

Veniamo ai newsmagazine americani. La brutta notizia riguarda tutte le testate: Time -17%, The Week -23%, The Atlantic -10%, The New Yorker -9%, The Economist -24%. La media rivela una perdita del 18%. Due riflessioni attenuano l’amaro in bocca. Il digitale inizia a generare qualche utile. Alcune testate, The Atlantic e The Economist, stanno sviluppando nuove fonti di ricavo: conferenze, eventi, contenuti di nicchia. Non mancano i contenuti sponsorizzati.

GERMANIA. Un articolo di Italia Oggi descrive il momento di difficoltà delle tre principali riviste d’attualità tedesche: Focus, Stern, Spiegel. Hanno toccato, tutte, il punto più basso nelle vendite in edicola. Stern ha venduto 204 mila copie contro la media di 272 degli ultimi tre mesi (con gli abbonamenti, però, si arriva a 825 mila: in Italia ce lo sogniamo). Spiegel 237 mila contro la media di 291 nell’ultimo anno (con gli abbonamenti si superano le 900 mila).  Focus ha venduto di recente 64 mila copie, con un calo di 18 mila in una settimana (edicola e abbonamenti arrivano a 540 mila copie).

Anche i dati italiani di maggio, anno su anno, sollevano qualche perplessità.


Pew Research Center:
negli Usa forte calo nella pubblicità dei periodici.

Italia Oggi: crollano i periodici tedeschi.

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I numeri di Vanity Fair in Francia – Strategia del debutto

Il 26 giugno è uscito il primo numero di Vanity Fair in Francia, celebre rivista di Condé Nast, che avrà cadenza mensile, venduto a 3,95 euro, stampato in 85.000 copie ma con l’obiettivo di 100.000 per il 2016.

La testata, che festeggia i 100 anni nel 2013, mescola anche nella edizione transalpina glamour e informazione. In copertina compare l’attrice Scarlett Johansson, incarnazione di brillantezza e impertinenza, due qualità che Vanity rivendica come distintive.

Per la campagnia di lancio sono stati stampati 8.000 cartelloni, come per il debutto di un nuovo profumo, di gran lunga superiori ai consueti 500 di un lancio standard. Complessivamente sono stati investiti 5 milioni di euro in promozione e 15 milioni nel giornale fino al 2016, momento del possibile break even (pareggio di bilancio dopo il rosso dell’investimento iniziale).

Il modello economico prevede che il 70% dei ricavi provenga dalla pubblicità, che nel numero ora in edicola conta 93 pagine sul totale di 266 della pubblicazione.

Il digitale? 500.000 visitatori unici al mese per il sito gratuito. È l’aspettativa. L’edizione per iPad costa 3,59 euro.

Esce Vanity Fair France.

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Come Hearst Usa sta aprendo una nuova strada nel digitale dei periodici

Un milioni di lettori solo digitali, non molti ma sufficienti per costruire una strategia di sviluppo delle testate di Hearst Usa nel territorio ancora inesplorato dei nuovi media, con progetti per aumentare i ricavi, far crescere la pubblicità, pensare a nuovi modelli.

Se ne parla in un articolo uscito nel sito di Nieman Lab: si spiega come l’editore americano Hearst stia esplorando una nuova strada nello sviluppo digitale dei periodici. Un modello diverso, alternativo a quello dei tedeschi di Axel Springer, gli unici ad aver passato con successo il guado che separa la carta stampata dal digitale. Springer ha pestato sull’acceleratore dell’e-commerce, Hearst coltiva lettori digitali.

L’articolo, scritto dal superconsulente Ken Doctor, esperto di carta stampata ed evoluzione digitale dei giornali, ha questi punti d’interesse:

1) Hearst è l’unico editore ad avere un discreto numero di lettori digitali negli Usa: un milione tra abbonati e acquirenti di singole copie digitali. Circa il 4% dei lettori dei 21 titoli della società.

2) L’editore di Cosmopolitan, a differenza di tutti gli altri editori di periodici, ha sviluppato una strategia che mette al centro il lettore digitale. Non chi legge carta e digitale insieme, ma solo il digitale. Come sappiamo, quasi tutti gli altri puntano invece a coccolare e a non perdere i propri lettori tradizionali, quelli della carta.
3) I lettori digitali hanno un profilo diverso dagli altri, più interessante per chi vende giornali: sono più giovani, più benestanti, disposti a spendere. Non a caso Hearst fa pagare l’abbonamento digitale più della carta. Non lo svende, come si fa di solito. Crea invece valore sulle nuove piattaforme, restituisce valore dopo anni di svendite e contenuti gratuiti.
4) La casa editrice sta elaborando nuove strategie anche nella vendita degli spazi pubblicitari. In parte se ne è già parlato su questo blog. Interessante un passaggio di questo nuovo articolo in cui si dice che Hearst è tornato a vendere spazi, lasciando alle agenzie il compito di creare spot e pubblicità per il digitale, anche con arricchimenti multimediali. Altri editori, invece, si sono trasformati anche in creatori di pubblicità. Time Inc, ad esempio. Un errore?
5) Secondo quel che si legge nell’articolo, la strategia seguita da Hearst mette questo editore in posizione di vantaggio, in vista del progressivo passaggio al digitale. Avrà competenze, lettori, conoscenze. Chi invece mira innanzitutto a tenersi stretti i propri lettori sulla carta, ha una prospettiva di breve termine, tre, cinque anni.
6) Il tablet viene visto come lo strumento su cui, in futuro, si leggeranno i periodici. Dicono un dirigente, citato nel pezzo, e l’autore dell’intervista:

“We knew when the iPad came out, we would finally be able to build our business.” The iPad revolution completely changed the magazine industry’s potential trajectory.

7) Un milione di lettori unicamente digitali sono pochi. Per il 2016 si prevede che saliranno al 10% del totale degli abbonati. Ancora poco. Ma è una strada su cui investire. Perché, per tornare a Hearst Usa, i costi di stampa e distribuzione sono il 30/40 per cento dei costi totali. Ridurli, grazie al digitale, significa far crescere i margini, il ricavo netto.

Il punto: come immaginare tempi e modi dello sviluppo digitale dei periodici.

Nieman Lab: l’esempio dei periodici americani di Hearst.

Nieman Lab

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Crisi dei giornali e Croce Rossa – Ironia involontaria

Ieri, rileggendo in serata il mio ultimo post, quello sulla crisi dei giornali in Italia, mi sono accorto che WordPress aveva caricato nella mia pagina una pubblicità (non ho ancora attivato l’opzione per avere un blog libero da inserzioni). Era uno spot della… Croce Rossa americana. Giuro che l’accostamento con lo stato dell’editoria italiana, piuttosto preoccupante, è stato puramente casuale.

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Lo stato di salute dei periodici in Italia: copie vendute, ricavi, giornalisti occupati

Il rapporto «La stampa in Italia negli anni 2010-2012» diffuso ieri dalla Federazione italiana editori giornali (Fieg) scatta la fotografia del settore. I numeri sull’andamento economico dei giornali, gli indicatori riguardanti le performance delle società che li pubblicano e i dati sul numero di giornalisti che lavorano sono un punto fermo per qualsiasi riflessione si voglia sviluppare sul futuro dei giornali.

Mi concentro solo sui dati generali e quelli dei periodici.

Il 2012 ha visto per la prima volta un calo nel numero complessivo di lettori. In passato si registrava una riduzione delle copie vendute ma il numero degli italiani che leggeva quotidiani e periodici era stabile.

Lo scorso anno è stato il peggiore degli ultimi 20 nella raccolta di pubblicità sulla carta stampata. Si è infatti registrato un calo del 14,3%. Ma, come sappiamo, il 2013 sta andando ancora peggio, decisamente peggio.

La crescita del digitale nella pubblicità è stata del 5,3%, ma come in tutto il mondo questa performance non compensa affatto il calo verticale dei ricavi sulla carta, dunque gli editori sono in grande affanno.

Nel 2012 i settimanali hanno venduto 10.225.000 copie, in calo del 6,4%.

I mensili hanno venduto 9.515.000 copie, sotto dell’8,9% rispetto all’anno passato.

La raccolta pubblicitaria di questo settore è scesa del 18%: oggi la pubblicità sui periodici vale 571 milioni di euro.

Le copie vendute, invece, valgono 2.253 milioni di euro, e hanno visto un calo anno su anno del 7%.

Infine i giornalisti occupati.

Nel 2011 il calo complessivo, quotidiani e periodici insieme, è stato dell’1,4%. Nel 2012 del 4,2%.

I giornalisti che lavorano oggi nei periodici italiani sono 2.872, in calo dell’1,4% in un anno.

Ma questa slide dice tutto.

Giornalisti occupati in Italia

Prima Comunicazione: Rapporto Fieg sulla stampa italiana 2010-2012.

Primaonline

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Il futuro dei periodici fino al 2017 – Entertainment & Media Outlook di PwC

Una ricerca importante, l’Entertainment & Media Outlook di PricewaterhouseCoopers (PwC), descrive il futuro economico dei periodici americani da qui al 2017. Il calo dei ricavi da copie vendute, il calo della pubblicità, la crescita del digitale, non sufficiente. E qualche sorpresa.

La crisi continua. L’articolo di Adweek che sintetizza l’Outlook di PwC dice che non c’è alcuna ripresa dietro l’angolo per i periodici. Il mercato continuerà a scendere nei ricavi da copie vendute e nella raccolta pubblicitaria. Questa previsione vale per gli Stati Uniti, Paese che ha risposto meglio e più rapidamente dell’Italia alla crisi economica. Il declino dei periodici si conferma, dunque, strutturale. Non abbiamo ancora visto tutte le conseguenze. Viene confermata la “narrativa” corrente secondo cui i lettori e gli inserzionisti grandi e piccoli stanno migrando verso il digitale e verso altre modalità di accesso all’informazione.

Il mercato dei periodici consumer americani (le riviste come Time e Cosmopolitan) vale nel 2012 24 miliardi di dollari ma scende a 23 miliardi di dollari nel 2017. Dalla crisi del 2009 si è registrata una lieve ripresa, ma il mercato continuerà nel suo complesso a calare con l’abbandono della carta da parte di lettori e inserzionisti.

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Ripensando le riviste di attualità – Il declino di Newsweek

Le ipotesi di vendita di Newsweek, la testata americana che a fine 2012 ha chiuso l’edizione di carta. La parabola del giornale nei ricavi e nelle copie vendute. E le domande sul futuro di questa formula editoriale. Che ha bisogno di essere ripensata. In tutto il mondo.

Giorni fa un collega di un quotidiano mi parlava dei problemi dei periodici. Mi sono accorto che nella sua rappresentazione mentale i magazine coincidono con i settimanali di informazione politica. Insomma, aveva in mente l’Espresso. Ma i newsmagazine sono una componente assolutamente minoritaria delle riviste pubblicate in Italia e nel mondo. Non ci sono più l’Europeo, Epoca, e tanti altri titoli che hanno fatto la storia dell’informazione giornalistica.

Dico questo perché Newsweek, il newsmagazine per eccellenza insieme a Time, è tornato a navigare in cattivissime acque, dopo il passaggio traumatico dalla carta alla sola dimensione digitale, avvenuto lo scorso dicembre. Bisogna dare un giusto contorno a questa parabola giornalistica.

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Negli Stati Uniti aumentano i lettori dei periodici – Dati sulla readership primavera 2013

Negli Stati Uniti sale il numero dei lettori, l’audience dei periodici, al contrario dell’Italia, dove il lettorato dei periodici è in discesa. Vi chiedo di dare un’occhiata ai numeri ma anche al tipo di testate che ottengono le performance migliori. Incluse quelle che vendono di più in ambito digitale (tra cui Tv Guide).

Il Survey of the American Consumer di GfK MRI dice che l’audience complessiva dei periodici statunitensi è cresciuta in un anno del 3%, raggiungendo 1,2 miliardi di lettori. Ricordo che questo numero somma i lettori di tutte le riviste, sia quelli che acquistano o ricevono in abbonamento la testata, sia quelli che la trovano in casa, perché comprata dai familiari, o in luoghi pubblici (il barbiere…).

L’articolo di Adweek elenca i titoli a maggiore crescita, tra cui (tenetevi forti) Diabetes Forecast, Yoga Journal, Psychology Today. Tante testate che parlano di cibo, da Food Network Magazine a Eating Well. Ma anche The Atlantic, The Economist, New York magazine e The New Yorker.

Perdono in maniera rilevante i giornali di moda e i maschili (American Hunter, Golf Digest, Maxim).

Nel digitale si osserva che la percentuale è ancora una frazione ridotta delle letture complessive, 1,4% del totale, con crescita annuale dell’83% a 16,9 milioni di lettori. Osservo che tra i più letti in versione digitale c’è Tv Guide, con 705.000 lettori: un buon segno per le guide televisive, giornali che hanno un futuro segnato ma continuano a vendere moltissime copie e dunque sono uno degli assi portanti di qualsiasi editore abbia un titolo in quest’area. La crescita nel digitale indica una strada per queste testate.

La domanda vera, tuttavia, è questa: perché il numero di lettori aumenta e le copie vendute in edicola calano vertiginosamente? E per quale ragione si calcola la readership? Al primo quesito è arduo rispondere. Mentre il secondo mi fa venire la voglia di dire che gli editori raccolgono stime sulla audience complessiva per dimostrare che i loro giornali sono ancora efficaci a livello pubblicitario (per approfondire, guardate qui: http://www.consterdine.com/articlefiles/42/HMAW5.pdf): nonostante la crisi, continuano a raggiungere fasce larghe di popolazione.

Adweek: l’audience dei periodici statunitensi. 

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Per competere con Google non cercare di imitarlo, editore!

Come gli editori possono competere con Google e le grandi compagnie digitali non giornalistiche nella caccia alla pubblicità online? Un articolo uscito nel sito di Nieman Lab racconta le strategie di quattro realtà giornalistiche americane che si sono mostrate innovative.

Quel che mi colpisce della indagine di Ken Doctor, esperto di editoria di cui questo blog si è già occupato, è la messa a fuoco di un punto: gli editori di prodotti giornalistici non devono inseguire Google e le altre compagnie digitali sulla strada dei contenuti a basso prezzo. Da sempre la stampa propone contenuti premium, rivolti a fasce demografiche e sociali bene individuate, dunque appetibili per le aziende. Questo va fatto anche nel digitale. Altrimenti si è destinati a soccombere.

Sono concetti che aprono gli occhi a chi, come me, non s’intende di new media, lavora nella carta stampata e non riceve una formazione per capire le logiche del digitale.

Per dire… Facebook, che negli Usa raccoglie un quarto della pubblicità nel digitale, vende lo spazio agli inserzionisti a 80 centesimi di dollaro ogni mille impressioni, mille pagine viste. Ma a questi prezzi nessun editore può sopravvivere, perché produrre contenuti giornalistici costa molto, e non ci si sta dentro. Questo ormai mi è chiaro. Gli editori, dice Ken Doctor, vogliono, devono guadagnare da 20 a 50 volte di più.

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La pubblicità sui giornali oggi la raccolgo così – Nuove strategie nei periodici

Il globale, il locale: la mossa di un grande editore americano sulla pubblicità getta luce su analoghe iniziative di editori italiani. Concentrazione del volume di fuoco nella pubblicità, mettendo insieme le diverse piattaforme e più testate.

Ho messo insieme due notizie lette questo mese. Una sui magazine di Hearst a livello globale, l’altra su Mondadori.
Far uscire la stessa pagina pubblicitaria su tutti i giornali di un editore, anche quelli pubblicati all’estero, per moltiplicare la capacità promozionale. E guadagnare di più. Un’impresa difficile per tutte le case editrici. La pubblicità, infatti, è nel maggior numero dei casi legata a mercati locali. Nazionali.
Ma Hearst, l’editore americano di Cosmopolitan e Marie Claire, ha aperto una nuova divisione, Totally Global Media, che si occupa di questo in chiave puramente digitale. Per la prima volta sarà possibile far uscire inserzioni e campagne promozionali nelle versioni online dei giornali in diversi Paesi. Hearst possiede infatti un network internazionale con succursali straniere a gestione diretta (anche in Italia) e pubblicazioni date in licenza a editori stranieri. La divisione che si occupa di Totally Global Media ha due sedi, a New York e Londra, e sa di poter raggiungere un bacino di 200 milioni di utenti unici.
Funzionerà così: l’inserzionista paga una sola fee, tariffa, che include produzione, traduzione e hosting sui siti web di riviste presenti a livello internazionale.
L’offerta parla ai marchi internazionali come Burberry.
When my plane arrived in Beijing last year, there was a full-sized Burberry poster that just said Burberry.com with a picture of a purse—no Chinese characters,” Gina Garrubbo, svp of Hearst Magazines International and now the svp of TGM, said. “They have the same look and feel everywhere in the world.”
Quando sono atterrata a Pechino lo scorso anno, c’era un cartellone di Burberry su cui c’era la foto di una borsetta e la scritta Burberry.com. Niente ideogrammi cinesi, ha detto Gina Garrubbo, alla guida di Totally Global Media.
Mi ricorda molto questa cosa che ho letto sul rilancio di alcune testate Mondadori avvenuto in questi giorni. Tre giornali femminili, in versione rivisitata, sono stati presentati agli investitori come un’unica piattaforma pubblicitaria, con target diversificati, che permette di portare inserzioni e campagne promozionali a 3,6 milioni di lettrici e 5,3 milioni di utenti unici dei siti. Una mossa di sostegno alla pubblicità (seppur circoscritta all’ambito nazionale) che, a quanto pare, fa parte delle strategie presenti nella mente dei maggiori editori.
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Periodici: il dialogo tra versione per tablet e sito web delle riviste

Un’intervista. Al guru dell’editoria digitale. Parla Lewis DVorkin, capo dei contenuti di Forbes. Si discute delle applicazioni per tablet dei periodici. E del dialogo tra queste e il sito della testata. Una catena di trasmissione che moltiplica il coinvolgimento del lettore. La circolazione dei contenuti.

Riporto uno stralcio di un’intervista a DVorkin, vecchia conoscenza di questo blog, personaggio controverso (“informazione e pubblicità devono essere sullo stesso piano, avere pari dignità nei giornali”) ma stimolante.

Gli chiedono quale sia l’importanza del tablet per i periodici.

Ci sono varie ragioni per cui le riviste possono ricevere vantaggi dalle applicazioni per iPad e tablet.

La prima è la pubblicità. Qualsiasi azienda vuole che la sua pubblicità sia bella. Sui periodici le inserzioni sono valorizzate più che altrove per qualità della carta, della stampa, il formato grande. Ma sul tablet è ancora meglio. E in più c’è, ci può essere l’interattività.

Si parla dell’app di Forbes per tablet lanciata in gennaio. Non è una semplice copia del giornale ma una finestra sui contenuti del sito, aggiornati ogni giorno. E una finestra sulla parte social (condivisione, commenti, dialogo su Facebook, Twitter etc).

L’app per tablet è stata presentata dopo un gran lavoro sullo sviluppo del sito. Esempio. Quando è stato pubblicato il numero di Forbes sugli uomini più ricchi del mondo, l’applicazione per tablet aveva 1.900 link all’«underlying content on Forbes.com, both real-time and archival», 1.900 link al sito web sottostante, sia ai contenuti aggiornati di continuo sia agli archivi.

Insomma, il tablet è la superficie, il sito è la montagna nascosta. Bella immagine. Non ci avevo mai pensato. Mi fa capire qualcosa di nuovo.

Il Punto: come i periodici siano diventati realtà multipiattaforma, con espressioni diverse ma integrate.

Netnewscheck: il rapporto tra sito e tablet nei periodici.

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Il declino della pubblicità sui quotidiani americani: in cinque anni perso il 60%.

Guardate la tabella. Indica il declino della pubblicità sui quotidiani americani. Dal 2005 a oggi il calo è stato del 60%. Sette anni, un’altra epoca.

Newspaper and ad

Nel 2012 la raccolta pubblicitaria è calata dell’8,5%, a 18,9 miliardi di dollari. Il picco era stato raggiunto nel 2005 con 47,4 miliardi di dollari. Il bello è che nel 2012 la spesa complessiva in pubblicità negli Stati Uniti è cresciuta del 3%, a 139,5 miliardi di dollari. In altre parole, la pubblicità cresce ma la carta stampata è stata superata da altri media.

E i periodici, cui questo blog è votato? Nel 2012 sono state raccolte 150.699 pagine di pubblicità contro un totale di 243.305 pagine nel 2005. In sette anni il calo è stato del 38%.

Il Punto: il crollo di una delle due grandi voci di ricavo della carta stampata.

Media Daily News: il calo della pubblicità nella carta stampata americana.

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Apriresti un sito di e-commerce del tuo giornale? – L’editore di Men’s Health lancia il negozio online

Rodale, l’editore di Men’s Health, si lancia nell’e-commerce con un sito web di prodotti naturali e molto fashion che portano il marchio della società. Per la prima volta i giornali non fanno da tramite tra venditori e lettori ma propongono una propria selezione, garantita dal brand. Il giornale apre il proprio negozio.

Ci sono l’asciugamano di microfibra per lo yoga, intessuto di strisce di cocco di riciclo, e un paio di jeans fatti con cotone non trattato chimicamente. Tazze di porcellana per noodle realizzate a mano con materiale “sostenibile” e articoli per il fitness, la bellezza, la piscina.

Rodale ha scelto 500 articoli che ritiene coerenti con la propria filosofia improntata al benessere, la salute, la forma fisica, incarnati dalle testate Men’s Health, Women’s Health, Prevention.

 

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Cosa succede se non leggi più il giornale a colazione – Lo stato dei media nel 2013

Il giornalismo sta attraversando un periodo di grandi opportunità, non solo di bilanci in rosso? Alan Murray, ex giornalista del Wall Street Journal e presidente del Pew Research Center, spiega invece qual sia l’esatta condizione dei giornali. Si va al punto: la perdita di pubblicità, l’irrilevante crescita delle copie vendute, la frammentazione dei new media.

Prima di lasciare spazio all’entusiasmo per il digitale, bisognerebbe capire cosa sta succedendo al giornalismo e quali saranno le conseguenze per le testate e per chi ci lavora. Una sintesi viene fatta da Alan Murray, per cinque anni responsabile dello sviluppo digitale del Wall Street Journal, presidente da alcuni mesi del prestigioso Pew Research Center, organizzazione no profit che ogni anno rilascia un rapporto sullo Stato dei media. Potete ascoltare l’intervento di Murray alla George Washington University School of Media and Public Affairs. Ma ho selezionato alcuni punti e li ho sintetizzati in italiano. Potete leggerli qui sotto.

Sì, anche al Wall Street Journal, grazie al digitale, l’audience complessiva non è mai stata alta come in questi anni. 10, 15 volte superiore a quella che il giornale ha avuto nel periodo d’oro. Questo significa che il Wall Street Journal è in grande salute? Purtroppo no. In tutto il mondo avanzato, a causa dell’esplosione della comunicazione digitale, non c’è più un modello di business per i giornali, non si è ancora trovato il modo per ripagare e tenere in piedi il business.

 

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Giornali gay a Singapore: digitali per forza

Singapore è una società conservatrice in cui i rapporti tra persone dello stesso sesso possono essere puniti con il carcere fino a due anni. E la stampa è soggetta a un esame governativo per la licenza prima della pubblicazione. Due ragioni che hanno spinto la rivista bimestrale Element, che si occupa di moda, spettacolo, fitness e argomenti di interesse per i lettori omosessuali, al primo numero, a scegliere la strada del digitale. Lo si acquista su Apple Store o Android Marketing (come spiega l’articolo di Atlantic, in link alla fine di questo post). Chiaramente l’host server si trova all’estero, negli Stati Uniti, ma il lettorato è distribuito nei paesi asiatici limitrofi, tra cui la Malesia, dove essere gay può costare la galera per molti anni. Ma anche in Asia, come nel resto del mondo, la comunità gay viene considerata un mercato remunerativo per la pubblicità, non a caso tra gli inserzionisti di Element c’è Paul Smith, e poi catene di hotel di lusso, cibo di qualità, tecnologia, nightlife, viaggi. Inutile dire che a Singapore tutto quel che è digitale ha una grande presa. L’Asia sta superando l’Europa, l’Italia di sicuro.

M’interessa perché: 1) tra i vantaggi del digitale c’è la libertà per le minoranze e la riservatezza (date un’occhiata al precedente post su Playboy); 2) l’Asia sta superando il Vecchio Continente nella conversione al digitale;

The Atlantic: Element, rivista digitale gay di Singapore.

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Ahi ahi la pubblicità nei giornali – Confronto tra Italia, Stati Uniti e Uk

Avrete letto che la pubblicità sui giornali italiani continua ad andar male. Il fatturato pubblicitario del mezzo stampa registra un calo del -25,5%. I quotidiani segnano -25,6% a fatturato e -13,2% a spazio. I periodici registrano un calo a fatturato -24,7% e a spazio -20,6%.
I settimanali vedono un andamento negativo sia a fatturato -26,3% che a spazio -16,6%. I mensili hanno indici negativi sia a fatturato -23,5% che a spazio -25,9%. Tempo fa si diceva che la situazione rispetto a un anno fa è decisamente peggiorata.

Ma qual è la situazione all’estero?

Nei giorni scorsi Magna Global ha previsto che, negli Stati Uniti, il 2013 vedrà una crescita della pubblicità nei media dello 0.4%, mentre nel 2014 la crescita sarà del 5.9%. I media digitali saliranno dell’11.5% nel 2013 e del 12.0% nel 2014. I quotidiani caleranno del 6.8% quest’anno e del 7,7% nel 2014. I periodici scendono del 6,7% quest’anno e del 5,4% nel 2014.

E la Gran Bretagna? Guardate la tabella.

Due le possibili considerazioni. Primo: i periodici perdono pubblicità ovunque, dunque ricavi. Sono costretti a trovare un equilibrio più in basso. Secondo: la situazione italiana è resa drammatica dalla crisi economica e di sistema del nostro paese.

Prima Comunicazione: pubblicità sui giornali marzo 2013.

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Il college di moda e design di Vogue – Nuove fonti di ricavo per i periodici

Condé Nast, la casa editrice americana di riviste patinate, ha aperto una scuola di moda a Londra. L’iscrizione ai corsi è costosissima. L’idea rientra in quella serie di attività che gli editori di giornali provano ad avviare per cercare nuove voci di guadagno. Le vendite dei periodici e la raccolta di pubblicità, infatti, stanno calando ovunque, dall’Italia agli Stati Uniti.

Il Condé Nast College of Fashion & Design, di cui parla il New York Magazine (guardate il link a fine post: c’è l’intervista al direttore della scuola), è stato aperto due settimane fa a Londra. Due i corsi attivi: il Vogue Fashion Certificate, della durata di dieci settimane, e il Vogue Fashion Foundation Diploma, che richiede un anno di frequenza.

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L’Era di Google: dove e quanti soldi investe la pubblicità sui media digitali

Dove e quanto la pubblicità investe nei media digitali. Ovvero, l’Era di Google: presto il gigante di Mountain View supererà News Corp e diventerà il primo media per raccolta pubblicitaria nel mondo.

Sir Martin Sorrell, Ceo di una delle tre maggiori società internazionali di pubblicità, la WPP, ha spiegato mercoledì 24 aprile alla FT Digital Media Conference di Londra dove e quanto investe in pubblicità. Dove viene speso il budget di cui dispone.

Sorrell ha precisato che il digitale rappresenta il 34% degli investimenti della società da lui fondata. Pari a 72 miliardi di dollari.

«Da zero a più di un terzo degli investimenti in dieci anni: è l’Età di Google» ha commentato il Ceo di WPP.

Ma dove vanno i soldi? Vediamo i dati sugli investimenti di WPP nell’ultimo trimestre.

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L’uomo che vuole tagliare la pubblicità sulla carta stampata

Sir Martin Sorrell è una persona piuttosto influente: capo esecutivo (Ceo, in gergo) di WPP, una delle tre maggiori società di pubblicità e pubbliche relazioni a livello mondiale, quando parla gli altri ascoltano con attenzione. E magari si adeguano.

Il Guardian riporta alcune affermazioni del capo di WPP fatte mercoledì 24 aprile a FT Digital Media Conference di Londra.

Sorrell dice che gli investitori pubblicitari dovrebbero prendere seriamente in considerazione l’idea di tagliare gli investimenti nella carta stampata. E ha accusato Google, Facebook e Twitter di essere degli editori, delle media company, mascherate da società di tecnologia.

Considerazione di Sorrell n.1. C’è una grande discrepanza tra le somme investite in quotidiani e periodici e il tempo che la gente spende su questi media. Troppi investimenti in rapporto al tempo.

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Il problema della pubblicità sulla carta stampata

Leggo un post de ilGiornalaio che riguarda gli investimenti pubblicitari sulla carta stampata secondo il rapporto Global Adview Pulse di Nielsen. Il blog è uno dei migliori sul giornalismo.

Nonostante il calo, gli investimenti sulla carta stampata continuano ad attirare oltre un quarto della spesa complessiva con buona pace per i sostenitori della morte della carta. Amen!

Ma la messa non è finita.

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Bombardato dai fan del native advertising

Aiuto, oggi il mio blog è stato preso di mira dai sostenitori del native advertising. Hanno commentato post come questo. E come questo.
Riporto quel che scrivono sul loro blog, creato sulla piattaforma di WordPress. E alcune osservazioni che mi sgorgano dal cuore.

In altre parole la Native Advertising è una sorta di pubblicità integrata all’interno dei contenuti di un sito, in modo che non risulti interruttiva agli occhi del lettore.

La vera motivazione per cui oggi siamo qui a parlare di Native Advertising è  perchè la banner blindness è ormai dilagante, soprattutto tra le persone “giovani” che sono nate e cresciute con il web. La percentuale di click (CTR) sugli annunci pubblicitari sta drasticamente calando giorno per giorno.

Secondo dati di Google nel 2010 il CTR è sceso allo 0,09% (rispetto allo 0,10% del 2009), quindi significa che meno di una persona su 1.000 clicca su un annuncio pubblicitario.

E quindi i brand si sono ingegnati ed anziché promuoversi sempre nei classici spazi riservati all’advertising PPC tradizionale, lo fanno all’interno degli stream dei contenuti, dove inevitabilmente lo sguardo si deve posare.

Cari amici di “native advertising”, siete sul pezzo. Sulla mia pelle, scambiando alcuni post di siti americani per giornalismo, anziché coglierne la natura promozionale, ho provato cosa vuol dire la confusione tra pubblicità e informazione sul Web. E se ci casca uno che fa il giornalista da molto, molto tempo, temo possa cadere nell’equivoco anche un lettore. Al tempo stesso, sapete far leva su qualcosa di drammaticamente vero: nel digitale la pubblicità vale poco, gli editori guadagnano poco e per alimentare la produzione giornalistica ci sono risorse limitate. Un bel guaio.

M’interessa perché: 1) aiuta a riflettere sull’importanza di garantire l’autonomia del giornalismo anche nel Web; 2) pone in modo sensato il problema del finanziamento del giornalismo nell’era digitale.
Futuro dei Periodici

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Dimmi dove va la pubblicità dei giornali

Va sempre più verso la televisione.

Il Global AdView Plus Report di Nielsen conferma il declino della raccolta pubblicitaria sula carta stampata, sia nei quotidiani sia nei periodici, calati rispettivamente, a livello globale, dell’1,6 per cento e dello 0,2 per cento. Anche se, si legge, rimangono pur sempre il secondo e terzo settore per gli investimenti in pubblicità, con, rispettivamente, una quota del 20 per cento e una dell’8 per cento.
In Italia è confermato un calo della raccolta sui periodici del 21,6 per cento.

Internet è cresciuto del 10 per cento (nello stesso periodo).

Ma nell’era digitale regina incontrastata della pubblicità rimane la tv, che ha una quota del mercato pari al 63 per cento. Confermando, dunque, di essere considerata il mezzo di gran lunga più efficiente e di maggiore impatto sul pubblico.

The Drum: dove va la pubblicità.

Futuro dei Periodici

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Forbes, modello di transizione di successo al digitale

Visita nella redazione di Forbes di un giornalista francese di Les Echos.

Due mondi s’incontrano: il giornalismo del Vecchio Continente e il dinamismo spregiudicato degli americani.

Si spiega perché Forbes sia diventato un modello tra i periodici che vogliono sopravvivere al declino della carta stampata.

Forbes ha creato un sito di grande successo con 15 milioni di visitatori unici al mese. Cresciuti del 20% in un anno. Superato il Wall Street Journal.

La redazione Web è separata da quella del giornale, “per non cadere nelle mezze misure” dice il direttore del digitale di Forbes, Lewis DVorkin.

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La pubblicità nei periodici americani (primo trimestre 2013)

Come dicevo nel post precedente, gemello di questo, è utile mettere a confronto la raccolta della pubblicità sui giornali americani e su quelli italiani. Vengono fuori due scenari diversi. Il confronto aiuta a capire se per i periodici, e quali, vi sia una prospettiva realistica di ripresa.

E come dicevo nel post gemello, spero che voi non pensiate che l’attenzione per la pubblicità sia una personale ossessione. Da come va la raccolta della pubblicità nei periodici, dunque dal numero di pagine di inserzioni raccolte e dai relativi incassi, dipende in gran parte la sopravvivenza dei giornali. E la salvezza del posto di lavoro per centinaia di giornalisti in Italia.

Avete visto qual è la situazione italiana.

Riporto ora un articolo sulla pubblicità in America.

Nei primi tre mesi del 2013 c’è stato un calo, ma di appena il -4.9%, il più basso dal 2011.

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La pubblicità nei periodici italiani (febbraio 2013)

In Italia nel febbraio del 2013 continua il crollo della pubblicità nei giornali periodici, dunque nei settimanali e nei mensili. Negli Stati Uniti, invece, rallenta la caduta e c’è la speranza di una schiarita (per l’analisi e i dati guardate il post gemello). Due scenari molto distanti.

Chi non si occupa di giornali penserà che questa sia una personale ossessione. Invece guardare i dati sulla pubblicità vuol dire preoccuparsi del futuro di settimanali e mensili, il settore in cui lavoro, in cui lavorano migliaia di giornalisti italiani.

La pubblicità è in crisi cronica. In sette anni la raccolta è scesa del 60% e questo significa che stanno venendo meno le risorse finanziarie per tenere in vita molti giornali. Non è un problema da poco: un intero settore industriale è in ginocchio e si rischia un impatto sociale dalle conseguenze incalcolabili.

Per questo riporto i dati sulla pubblicità dei giornali italiani nel febbraio 2013.

In Italia il fatturato della carta stampata (quotidiani + periodici) nel febbraio 2013 registra un calo del 25,3%. Nello stesso periodo del 2012, periodo pestifero, che sta alla base di tutti gli stati di crisi nelle case editrici di giornali italiani aperti tra l’anno scorso e quello in corso, era appena del -6,4%!!!

Passiamo ai periodici. Nel febbraio 2013 perdono il 22,5%. Nel 2012 era il – 8,4% (a valore).

I settimanali fanno nel febbraio 2013 -22,9%. Facevano nel febbraio 2012 il – 13%.

I mensili fanno quest’anno -23,2%. Nel 2012 era -1,5%.

È tutto così assurdo…

Prima on line: raccolta pubblicitaria nei periodici nel febbraio 2013.

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Chi comanda nei giornali, tra carta e digitale

Un articolo della Columbia Journalism Review fa chiarezza sulle tante sparate autopromozionali degli editori americani.

Tutti a dare risonanza alla straordinaria crescita nel digitale, soprattutto nella raccolta pubblicitaria.

Ma quanto pesa davvero il digitale nei bilanci degli editori? E chi conta di più, adesso e nella prospettiva del breve e medio termine?

La vera questione, dice il bolletino della Columbia University, è il valore assoluto dei ricavi. Ovunque nei giornali americani (e di tutto il mondo) i ricavi pubblicitari nel digitale stanno rapidamente salendo da un punto di partenza molto, molto basso. E negli Usa la raccolta complessiva ammonta nel 2012 a circa 3 miliardi di dollari. Vale a dire appena un quinto della raccolta pubblicitaria sulla carta stampata. E se un editore come Forbes, con un sito web studiato in tutto il mondo per le sue innovazioni nelle strategie e nell’organizzazione del lavoro, annuncia di fare metà dei ricavi pubblicitari con il digitale, questo è un buon segnale. Ma può essere una delle conseguenze del pauroso calo sulla carta stampata (tradotto: se calano i ricavi sulla carta stampata, crescono in valore percentuale quelli del digitale. Se ne era parlato qui). Non è un successo che fa dormire sonni tranquilli.

«But the real questions is, as always, compared to what? Digital ads everywhere in US magazines are rising from a low base, and, at about $3 billion nationally, are still a fifth that of print ad sales. That digital ads now account for half of total ads at Forbes can be good news but can also be a function of shrinking print ad sales».

Il Punto: dove fanno i soldi gli editori, tra carta e digitale.

Columbia: leggere i dati sul digitale
cjr

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La guerra delle riviste femminili in Australia

Una guerra combattuta tutta all’interno del perimetro di un editore: Bauer Media, il gigante tedesco della carta stampata che lo scorso settembre ha comprato in Australia il principale editore locale di magazine, ACP Magazines, per 525 milioni di dollari.

Da allora la nuova società ha chiuso cinque testate. L’ultima, annunciata dopo Pasqua, è il glossy femminile Madison, un mensile che andrà in edicola fino al 15 maggio. Ma la vittima più illustre è stata Grazia, settimanale di moda, marchio italiano, che ha chiuso i battenti un mese fa. Le altre testate che hanno cessato le pubblicazioni sono state Burke’s Backyard, BBC Good Food e UFC Magazine.

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Negli Usa taglio netto alla pubblicità nella carta stampata

Dove vanno i soldi per la pubblicità? Secondo l’American Marketing Association and Aquent, la carta stampata subirà il taglio maggiore di investimenti da parte delle aziende nel 2013.

Il 28% per cento degli investitori intervistati per il sondaggio dice di voler ridurre il budget destinato ai periodici, un calo secondo solo a quello dei quotidiani, dove la discesa stimata sarà del 32%. Riduzioni, seppur minori, per la radio e la televisione.

L’articolo di Minonline fa vedere dove gli investimenti in comunicazione saranno indirizzati: il digitale. Questa l’opinione generale.

L’82% prevede di far crescere la propria presenza nel mobile, area molto promettente per i periodici (smartphone, tablet e un pizzico di smart tv, la televisione che si connette a internet), il 76% vuole essere più incisivo nei social media, di conseguenza ha aumentato il budget destinato a operazioni in questo ambito.

M’interessa perché: 1) il calo della pubblicità, un tempo principale voce di ricavo nella stampa, sembra destinato ad aumentare in quotidiani e periodici; 2) resistono alla disfatta o al rallentano solo i marchi forti, i power brand, gli editori che offrono prodotti di alta qualità; 3) nel quadro di incertezza generale, fioccano notizie a volte contraddittorie, sintomo di un mondo (della comunicazione aziendale e giornalistica) che non sa dove andare.

Minonline: le aziende riducono investimenti nella carta stampata

minonline

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