Archivi tag: futuro dei giornali

Da Studiare: Axel Springer Vende i Giornali nella Repubblica Ceca

Una notizia che riporto perché: 1) fa vedere come ragiona un grande editore di giornali che punta davvero sul digitale; 2) illustra quel processo di focalizzazione “solo” su certe attività, quell’azione di selezione, che vediamo anche nei periodici.

La notizia: Ringier-Axel Springer Media, società che ha per soci un editore svizzero e il gigante tedesco dei media, vende i suoi giornali nella Repubblica Ceca a due businessman locali per 170 milioni di euro.

La società è una delle più grandi del Paese: passano di mano, dunque, due quotidiani tabloid, un quotidiano sportivo, una serie di periodici.

La motivazione: la società ha scelto di concentrare forze e risorse nei media di proprietà in Polonia, Serbia, Slovacchia, dove possiede una posizione di leadership nei media digitali.

Insegnamenti (?). 1) Il digitale detta la direzione di investimenti e sviluppo; 2) non c’è una fuga dai giornali, ma si investe là dove si possiede una posizione dominante; 3) giornali sì, ma solo in un’ottica di sviluppo digitale; 4) raramente si chiudono giornali, più spesso vengono ceduti ad altri editori, piccoli, meno ricchi, concentrati su nicchie o mercati circoscritti: meno giornalisti in redazione, meno pagati, stracarichi di lavoro (ma con un posto).

Axel Springer è il primo, grande editore europeo, proprietario di importanti quotidiani e periodici, ad aver sviluppato con successo il digitale. Il fatturato digitale è il 40% di quello complessivo.

Futuro dei Periodici

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I giornali hanno qualcosa da imparare dalla Apple?

Qualcosa da imparare da iTunes, l’applicazione lanciata dieci anni fa da Apple, ciambella di salvataggio dell’industria discografica presa d’assalto e saccheggiata da Napster e dalla pirateria online. Si era affermata l’idea che non ci fosse da pagare per scaricare dischi. Un atteggiamento simile a quello indotto nei lettori di giornali dalla informazione distribuita gratuitamente su internet.

«Il cielo stava cadendo a pezzi e iTunes fornì un luogo dove avremmo fatto soldi con la musica e, in teoria, fermato la marea della pirateria. Per quel momento, è stata la soluzione del problema» spiega un pezzo grosso dell’industria discografica al Denver Post, un articolo che riporto nel link alla fine di questo post.

Trovo delle somiglianze tra il passaggio al digitale della musica e i giornali.

Avrete letto…

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Se il Kenya insegna ai giornalisti il personal branding

Consigli e considerazioni su come rafforzare la propria immagine di opinionisti sui social media e nei blog giornalistici? Li fornisce un curioso sito web aggregatore di news kenyota. Perché, ammettiamolo: diventare un brand è il desiderio più o meno consapevole di molti colleghi che twittano a raffica. E una richiesta implicita degli editori. In ogni parte del mondo, anche in Africa.

Questo post si inserisce senza volerlo nella scia del precedente “Giornalista, mettici la faccia!“.

Essere rilevanti nel mondo digitale, raccogliere una pioggia di like e retweet, dispensare giudizi e analisi che pesano, almeno farsi notare per lo stile, la verve, il sarcasmo: sono il desiderio di molti colleghi.

L’articolo su Standard Media non dice molto ma ricorda due cose: 1) il digitale ha conferito valore all’individualità e ne ha tolto, per il momento, ai brand dei giornali; 2) il personal branding, fenomeno nuovo e profondamente in contrasto con parte della tradizione giornalistica (per il modo in cui viene concettualizzato: sei un brand e non un opinionista), è diventato quasi indispensabile.

Per parte mia sento tutto il fascino e tutto il rischio del processo che ingessa i giornalisti in marchi. Non perché sia un limite alla libertà di pensiero. Semplicemente presuppone che un redattore si occupi più o meno stabilmente di determinati argomenti. Ma è ancora possibile, cari amici proletarizzati delle redazioni? Largo ai collaboratori illustri e non assunti!

Standard Media: diventa il brand di te stesso

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Sei ragioni per credere ancora nei periodici

C’è chi trova 6 ragioni per essere ottimisti sul futuro dei periodici.
Il titolo è proprio questo, nonostante le difficoltà dei giornali:

Six Reasons Why It’s A Great Time To Be In Magazine Media

Le ha elencate e argomentate, queste benedette ragioni, Mary Berner, Presidente e Ceo della Association of Magazine Media (Mpa), l’Associazione degli editori di periodici americani, alla apertura di Swipe 2.0 (swipe.magazine.org), premier digital conference di Mpa.
Leggete tutto. Non voglio neppure fare un riassunto, perché sento odore di discorso autopromozionale.
MA: tra tante affermazioni che suonano come un incoraggiamento rivolto ai propri associati, Mary Berner inserisce alcuni dati da annotare.
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La pubblicità, vera incognita per il futuro dei giornali

Solo una piccola parte della pubblicità pagata su internet affluisce alle testate giornalistiche. Tutto il resto è bottino spartito tra i giganti della tecnologia: Google, Facebook, YouTube. Per questo il futuro di quotidiani e periodici è sotto scacco. È quanto emerge da The State of the News Media 2013, il rapporto del Project for Excellence in Journalism dell’autorevole Pew Research Center di Washinghton Dc.

Scrivo questo post pensando a un giornalista italiano decisamente conosciuto che un giorno, ai tempi delle mie prime esperienze in redazione, mi ha fatto questa domanda, un po’ retorica: sai dirmi qual è il limite più grande alla libertà dei giornalisti? Vista l’aria che tirava, veniva spontaneo rispondere che l’ostacolo maggiore è la mancanza di democrazia. «No, il limite più grande sono i soldi. Se non hai le risorse economiche per andare là dove avvengono i fatti, Palermo, Tunisi, New York, non sei un giornalista che possa fare bene il suo lavoro».

Ma da dove provengono le risorse per la maggior parte dei giornali? (Segue noitizia).

È il problema più grande per il futuro dei giornali, la vera incognita sulla strada del passaggio al digitale dei quotidiani e delle riviste di tutto il mondo. Oltre alle difficoltà di convincere i lettori a pagare per i contenuti giornalistici digitali, dopo anni di informazione gratuita nel web attraverso gli aggregatori di notizie come Google News, la strada viene sbarrata dalla difficoltà di raccogliere la pubblicità.

Il Pew Research Center spiega che le cinque maggiori compagnie presenti nel mondo digitale, nessuna delle quali è un editore, vale a dire Google, Yahoo, Facebook, Microsoft e AOL, incassano nel 2012 il 64% delle inserzioni pubblicitarie del web. La stessa percentuale del 2011. Gli editori hanno un ruolo minore, anzi, marginale. Uno scenario che verrà confermato nell’anno in corso.

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Tablet e digitale secondo Mario Garcia, designer star di giornali

Un video che ha due punti di interesse. Il primo: si parla dei contenuti giornalistici pensati per i tablet e di come questi apparecchi vengano utilizzati dai lettori (la sera, sul divano, per rilassarsi). Il secondo motivo d’interesse è che parla Mario Garcia, Ceo e fondatore di Garcia Media, società e studio professionale di grafica e ideazione di giornali e siti che ha collaborato con 500 editori di tutto il mondo, e ha riconcepito giornali conosciuti da tutti, come The Wall Street Journal, The Miami Herald, Die Zeit, e quotidiani locali, tra cui, in Italia, Il Secolo XIX. Insomma, il più importante designer di giornali al mondo.

Parla anche Sara Quinn di Poynter. Le interviste sono state realizzate la scorsa settimana a una conferenza di Poynter Institute  che si è tenuta ad Austin, in Texas.

Dice Garcia: «Il tablet viene usato nei momenti della giornata in cui ci si vuole rilassare. Consente una lettura in profondità, concentrata. Lo smartphone viene utilizzato per letture più veloci, nei momenti da riempire».

«Con i tablet cambierà il modo di raccontare storie e fatti. E il modo di fare pubblicità».

«Assisteremo alla creazione di mini-quotidiani e mini-periodici da leggere sugli smartphone».


Il Punto: come cambia il consumo di notizie e di giornali con il passaggio al digitale.

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Condé Nast annuncia investimento in e-commerce

Condé Nast annuncia oggi un accordo da 20 milioni di dollari con il sito di e-commerce Farfetch. Borse, abiti, gioielli, scarpe e tutti i prodotti esposti nelle vetrine del lusso entrano in rapporto diretto con uno dei più grandi editori di periodici. Appare questo per una media company l’unico modo per far soldi nel digitale. E sorgono le inevitabili discussioni sull’indipendenza di chi pubblica giornali.

Il digitale è il futuro dell’editoria, si dice. E subito si pensa a siti web e tablet.

Ma l’unico digitale buono, capace di generare nel breve periodo ricavi veri per gli editori, è legato all’e-commerce. Alla vendita di prodotti online. Questa sembra essere la regola per tutti gli editori che hanno successo in questo campo, sia che si parli di editori americani, i più entusiasti per tablet e contenuti giornalistici da diffondere nel digitale, sia tra gli editori tedeschi, quelli più attratti dalla possibilità di far soldi vendendo servizi e prodotti online. Tra i primi, Burda e Axel Springer.

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Perché proprio adesso negli Usa i giornali passano di mano

Se alcuni grandi editori americani vendono le loro testate non è solo perché c’è un fuggi fuggi dalla carta stampata, per qualcuno condannata al declino dai media digitali. Un’altra chiave di lettura può aiutare a capire perché proprio adesso molti giornali americani siano sul mercato. Se c’è chi vende, c’è anche chi compra.

L’articolo di Usa Today fa il punto sui casi aperti negli Stati Uniti.

Time Inc. vende 21 testate su 24, conservando soltanto Time, Fortune e Sport Illustrated. Le risorse della società vengono concentrate dunque sulle altre attività, quelle di Time Warner, il cinema su tutte.

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Nella testa degli editori che ristrutturano i periodici – 2

Leggo che Pietro Scott Jovane, ad di Rcs Mediagroup, ha così commentato il piano di tagli e cessioni di testate della casa editrice: «Sui Periodici ci é stato chiesto di essere precisi, ‘perimetrati’, avendo definito le testate con strategia chiare e facendo chiarezza sull’efficienza». Più in generale, l’obiettivo è «portare Rcs da un mercato difficile con un ruolo leader dell’editoria ad essere i primi attori nel digitale».

Da frasi come questa nasce l’interesse per lo studio di The Boston Consulting Group, multinazionale della consulenza e della ricerca per le imprese, indirizzato agli editori. Come ristrutturare la propria azienda e gestire la transizione al digitale (Seconda parte. Se v’interessa, leggete qui la prima parte). Non sposo questa prospettiva, fornisco un elemento utile, una bussola, per capire cosa ci sta succedendo.

Ci sono editori che si limitano a tagliare i costi. Un aggiustamento inadeguato (dice Boston Consulting).

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Huffington Post/ Come immaginare il futuro dei periodici

I giornali del futuro assomiglieranno a quelli del presente. Ma bisognerà cambiare i formati per adattarli agli strumenti della lettura digitale. E i profitti saranno enormi. O è solo un sogno?

Non so se si tratta di sponsored content, contenuto sponsorizzato, ma questo intervento su The Huffington Post del boss di una piattaforma per l’editoria digitale, Yudu, ha elementi per me illuminanti sul futuro dei periodici.

Richard Stephenson, questo il nome del Ceo di Yudu, dà per scontato che i magazine continueranno a esistere, e vivranno in una dimensione digitale, come siti o app. Insomma viene messo a tacere lo psicodramma dell’Internet che manda in rovina i giornali di carta con la sua offerta di contenuti infinita (ma frammentati, disseminati, discordanti, faticosi da cercare e raggiungere).

Ma, dice Stephenson, i periodici del futuro dovranno affrontare alcuni nodi e tener conto di certe premesse.

1) Faranno guadagnare molto, perché eliminano le spese di stampa e distribuzione: i margini saranno del 60-85 %.

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Non solo l’Edicola Italiana per diffondere quotidiani e riviste digitali

Nasce l’edicola online dei giornali italiani, si chiama Edicola Italiana, si possono acquistare, leggere, scaricare le versioni digitali dei quotidiani e delle riviste dei maggiori editori del nostro Paese. Sono sei gli editori consorziati: Caltagirone, Gruppo Espresso, Il Sole 24 Ore, La Stampa, Mondadori, Rcs Mediagroup. Altri potranno aggiungersi ed esporre i propri giornali, i settimanali, i mensili e le altre testate del portafoglio.

PER TABLET. L’atto costitutivo di Edicola Italiana, riferisce Il Sole 24 Ore (l’articolo è riportato in link alla fine di questo post), è stato firmato nei giorni scorsi a Milano. I lettori dei giornali e delle riviste degli editori che fanno parte di questo consorzio potranno acquistare le versioni per pc, tablet o smartphone. Si tratta di una manovra per sfuggire anche ai sistemi di prezzi imposti dalle edicole online esistenti, come Apple Newsstand (che trattiene il 30% dell’acquisto).

ALTRE AZIONI. L’Edicola Italiana fa parte di un’azione più ampia degli editori, così penso ma ormai mi sembra evidente, per incoraggiare e diffondere la lettura nel digitale, sviluppare prodotti specifici e mettersi al riparo da concorrenza scorretta, balzelli di mediatori, pirateria, come questo blog aveva tentato di approfondire in un post di qualche tempo fa. L’Edicola si aggiunge alla guerra per far pagare Google, all’uscita di tablet degli editori italiani, alla chiusura per azione della magistratura del sito pirata (che però ha riaperto nei giorni scorsi) Avaxhome, dal quale si possono scaricare gratuitamente, ma illegalmente, copie digitali complete dei giornali.

IL PUNTO: gli editori italiani si stanno muovendo nel digitale. Lo fanno anche con azioni coordinate, di difesa comune, come nel caso di Edicola Italiana.

Il Sole 24 Ore: edicola online di giornali italiani

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La prima donna Direttore periodici di Time Inc e lo sviluppo digitale

La prima donna a capo di tutti i periodici di Time Inc., Martha Nelson, affiancherà l’amministratore delegato Laura Lang: «Credo nella forza della stampa ma dobbiamo muoverci verso una maggiore integrazione della carta con l’attività digitale».

Per la prima volta in 90 anni di storia una donna diventa “Direttore generale” (EIC: editor in chief) della maggiore casa editrice di periodici negli Stati Uniti.

Martha Nelson è stata direttore di InStyle, che ha lanciato 20 anni fa («il lancio aveva una tabella di marcia disumana, abbiamo dormito in redazione»), ora dovrà supervisionare tutte le testate di Time Inc., dal newsmagazine Time a People, Sports Illustrated, InStyle, Fortune, 17 in tutto.

L’amministratore delegato Laura Lang ha commentato: «Martha è una creativa e ci guiderà nel passaggio verso una strategia multi-piattaforma, grazie alla sua conoscenza del consumatore potremo condurre con successo la transizione».

Martha Nelson ha detto una serie di cose che riporto perché aiutano a capire cosa sta succedendo nel mondo dei periodici: in Italia c’è parsimonia nell’uso delle parole da parte di chi amministra le case editrici.

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Scenari 5/ Crescita lenta dei periodici nel digitale

Gli editori americani si interrogano su come fare profitti con il digitale e fanno previsioni: il 20 per cento crede che entro il 2014 riceverà da siti web, applicazioni per smartphone e contenuti per tablet ricavi pari al 25 % del fatturato pubblicitario complessivo della compagnia.

I dati sono tratti dal Digital Publishing Survey 2012 di The Alliance for Audited Media (Aam), l’organizzazione che si occupa di certificare le copie di giornali vendute negli Stati Uniti. Si viene a scoprire che:

1) La maggior parte degli editori americani offre contenuti per tablet e smartphone. Ma non sempre si chiede all’utente di pagare per questi prodotti.

Il 56 per cento degli editori fa pagare per i contenuti specificamente studiati per iPad, il 42 per cento per iPhone, il 38 per cento per i contenuti per il Kindle… (nel Rapporto trovate i dati completi).

2) Naturalmente i contenuti a pagamento non possono essere l’unica fonte di guadagno. Perché sul digitale vi sia un modello di business, confermano gli editori sentiti per questo studio, le fonti di ricavo devono essere due: contenuti e pubblicità.

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Manifesto dell’editoria ultracompatta: come deve essere un giornale digitale

Un blogger americano spiega le regole per realizzare un giornale digitale di successo, facile da leggere, poco costoso, flessibile, libero dai condizionamenti del passato: Manifesto dell’editoria ultracompatta.

Craig Mod, blogger, scrittore e designer che ha pubblicato sul The New York Times e il sito di CNN, ex componente dello staff di Flipboard, ha scritto il Manifesto del Subcompact Publishing, l’editoria ultracompatta. Il riferimento del titolo è alle auto di piccole dimensioni, le utilitarie, e il paragone implicito rinvia all’arrivo a fine anni Sessanta sul mercato americano delle prime macchine giapponesi di piccole dimensioni, così diverse dalle auto a cui si era abituati eppure capaci di conquistare parte degli americani e di cambiare il mercato, mandando in crisi i produttori dei macchinoni a stelle e strisce.

Honda, auto, ultracompact publishing, craig, mpa

Honda , auto ultracompatta

Craig Mod è un creativo, non a caso è un ex fellow della MacDowell Colony, prestigiosa istituzione culturale, nata per sostenere e fare incontrare gli artisti emergenti. E come succede con i creativi, il discorso può sembrare poco ancorato alla realtà e visionario. In realtà contiene spunti di riflessione e qualche risvolto pratico.

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Periodici/ Non solo tagli e chiusure di testate: Condé Nast investe nel digitale

Anche in Italia Condé Nast entra con decisione nel mercato digitale dei periodici.

Leggo su Italia Oggi e alcuni siti che la casa editrice americana lancia edizioni digitali interattive (interactive replica) di due testate, Gq e Wired.

Non della solita replica del giornale di carta si tratta, ma di un prodotto ideato per il tablet.

Non un pdf ma articoli e foto con didascalie interattive, condivisione su social network e contatto tra i lettori e le firme del giornale. Oltre il 60% delle pagine sarà interattivo.

Nel 2013 altre testate dell’editore saranno pronte per le tavolette.

I prezzi sono ribassati per conquistare i lettori italiani, non abituati a questa novità.

L’abbonamento annuale costa 11,99 euro, la singola copia 2,99 euro oppure 1,69 euro se si acquista il giornale per tre mesi.

Ma la notizia che più mi colpisce è la previsione di Condé Nast sulla diffusione dei tablet in Italia. L’editore conta di raggiungere nel medio-lungo periodo un 5-10% di copie diffuse sul nuovo canale. Nel nostro paese si prevede che saranno venduti 3 milioni di device entro il 2012, per poi balzare a 6 milioni nel 2013.

Ma il giornale nativo digitale (nativo nella formula, la testata è invece un brand straconosciuto) oltre a puntare sui lettori strizza l’occhio alla pubblicità. Una serie di post di questo blog hanno sottolineato le difficoltà nella raccolta pubblicitaria dei periodici sia nel presente sia nelle previsioni fino al 2015. Scrivevo, a intuito e non per conoscenza, che per non farsi scappare gli investitori, gli editori di periodici dovrebbero avere più progettualità nel digitale, per dare agli inserzionisti (anzi, per suggerire e ispirare) la possibilità di fare campagne in un nuovo modo, moderno, completo, articolato su più piattaforme. Ecco, Condé Nast, non a caso un editore americano, arriva per primo in Italia. Fin dal primo numero di Gq e Wired per tablet sarà possibile fare inserzioni e campagne pubblicitarie interattive, arricchite con video, grafica animata e modalità di coinvolgimento del lettore.

M’interessa perché: 1) un editore punta per la prima volta in Italia con decisione su testate periodiche pensate per tablet; 2) si apre una strada interessante per il lettore, che è incoraggiato a consumare sul web contenuti giornalistici a pagamento; 3) si offre agli inserzionisti un modo moderno di fare pubblicità, capace di raggiungere il pubblico là dove si trova (il digitale) e non solo là dove il lettore si trova sempre di meno (carta stampata).

Italia Oggi: giornali per tablet di Condé Nast

Pubblicità Italia: giornali interattivi di Condé Nast

Gq interactive replica, copia interattiva

Gq interactive replica, copia interattiva

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I periodici e la filosofia della toilette

La gente passa sempre più tempo su internet. E quando è connessa, la gente va sui social media.

Lo dice The Social Media Report 2012 di Nielsen (il Rapporto sui social media 2012: lo potete leggere in inglese usando il link riportato in fondo a questo post, è tutto grafica), pubblicato poche ore fa.

La gente, leggo, passa più tempo online: il 21% per cento in più rispetto al 2011. E questa è una brutta notizia per quei giornali di carta che non ne vogliono sapere di avere una presenza significativa nel mondo digitale con: siti e versioni per tablet e smartphone.

Quando è connessa la gente va sui social network: Facebook (su tutti), Twitter, Pinterest, Worldpress… E questa è la seconda brutta notizia per i periodici. Perché i social network sono nuovi concorrenti della carta stampata (chi l’avrebbe mai previsto: fino a 10 anni fa i social media non esistevano e i concorrenti dei periodici erano tv, radio e quotidiani). Sono concorrenti perché: 1) tolgono tempo alla gente per la lettura dei magazine; 2) sottraggono pubblicità ai giornali di carta: gli inserzionisti vanno là dove si trova la gente e nessun obbligo di legge può imporre di fare inserzioni sui giornali.

Ma per connettersi al web la gente usa sempre meno il pc (-4%: guardate i dati del rapporto Nielsen) e sempre più i tablet e gli smartphone (il mobile, cioè i due insieme, fa +82%). E questa è una buona notizia, mio caro amico. Almeno così pensa l’autore di questo blog, che poco sa ma molto ascolta e legge.

Una volta si diceva che la gente non comprava più i giornali perché trovava le notizie gratis su internet. Ma sai che noia leggere articoli di giornale al desktop, al computer di lavoro o di casa, seduti alla scrivania, scomodi, con davanti uno schermo grande come un televisore? Lo si può fare per le news, non per aticoli di arredamento, moda, gossip, con le inchieste. E poi io sto seduto alla scrivania tutto il giorno e quando leggo il giornale che mi piace voglio stendermi su una chaise longue. I giornali si era abituati a consumarli con agio e relax. E i tablet lo consentono. Si legge a letto, si legge nel salotto (nel living, nel living, pardon). I nuovi device riproducono le condizioni di lettura dei periodici, restituiscono la stessa esperienza, e un editore può pensare di offrire copie digitali delle proprie riviste da scaricare (a pagamento e con la pubblicità) con tablet e smartphone. Promettente.

La controprova? E’ nel Rapporto di Nielsen. Un terzo dei giovani tra i 18 e i 24 anni si connette al web e usa i social media quando si accomoda in bagno. Proprio come noi facevamo con i nostri cari, vecchi giornali, a riconoscimento del massimo della intimità.

M’interessa perché: 1) spiega che i periodici se la devono vedere con nuovi competitor, assai disruptive; 2) i tablet possono essere un grande alleato dei periodici, la porta del futuro.

Nielsen: Report social media 2012

Rapporto Nielsen Soclai Media 2012

Rapporto Nielsen Soclai Media 2012

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Che tempo che fa/ Gruppo l’Espresso -19% di pubblicità

Per capire l’aria che tira nei giornali italiani, e nei periodici, basta leggere questi lanci usciti ieri.

Partecipando al convegno «Europa: il nostro futuro», l’ingegnere Carlo De Benedetti, presidente onorario del gruppo Cir, ha detto che la raccoltà pubblicitaria della sua “azienda”, l’Espresso, segna in novembre un -19%, dato che, sommato ai mesi precedenti, porta il calo pubblicitario complessivo nel 2012 a -15%.

Ha aggiunto di prevedere, per i prossimi mesi, ristrutturazioni nei principali gruppi editoriali italiani ed europei. Stanno per arrivare, conclude De Benedetti: «Tagli, tagli e tagli».

Tanto per dire che la crisi durerà ancora. Ecco l’aria che tira. Nell’editoria.

radiocor: gruppo espresso perde in novembre 19% di pubblicità

radiocor: tagli, tagli, tagli prevede De Benedetti

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Ricerca negli Usa/ Perché i periodici sono ancora necessari

Dicono che alla gente i settimanali e i mensili non interessano più. Dicono che la pubblicità se ne va su altri media, da internet alle televisioni digitali. E non lo sapete che i ragazzi, come mio figlio di 16 anni, non leggono più i giornali? Mentre i newsmagazine sono formule informative morte e defunte.

C’è del vero in tutto questo, come il mio blog ha chiarito (innanzitutto a me stesso) attraverso 100 e più post con notizie, studi, commenti sulla crisi della carta stampata.

Ma quando alle considerazioni delle persone preparate si somma il coro di quelli che la sanno sempre più lunga (ma non sanno niente e sono solo dei pappagalli), pronti a bastonare il corpo caduto a terra, viene voglia di reagire. Non si lincia chi è in difficoltà. E state attenti alla reazione fiera di qualcuno che ha dato molto.

Veniamo al dunque. I magazine possiedono ancora una forza di attrazione per i lettori e per i pubblicitari. La natura di questo medium è unica e non ancora eguagliata dal nuovo che avanza.

Lo ricorda e spiega uno studio pubblicato nella prima parte del 2012 dall’Association of Magazine Media (Mpa), associazione degli editori di periodici statunitensi (175 editori, 900 pubblicazioni): Magazine Media 2012/2013. C’è una componente autopromozionale nei dati e nei commenti che sto per riportare. Ma aiutano a capire che i periodici sono un prodotto che conserva caratteristiche utili a molti. Sia i giornali di carta sia i “pidieffoni” (le copie in pdf dei giornali scaricabili online) sia le versioni digitali più o meno originali.

Perché i magazine sono efficaci?

Perché il lettore spende in media 41 minuti su ciascun numero di una rivista: strabiliante. I contenuti e la pubblicità vengono “assorbiti” più in profondità che su altri mezzi.

I consumatori si fidano dei periodici e la pubblicità pubblicata su questi giornali è ritenuta più credibile di quella televisiva, radiofonica o di internet.

I magazine sono un medium universale: il 92% degli americani legge periodici, inclusi i millennials, i giovani nati negli anni Novanta o subito dopo.

Legge periodici il 92% degli adulti.

Legge periodici il 95% degli under 35.

E, udite udite, legge periodici il 96% dei giovani sotto i 25 anni. LEGGE PERIODICI.

L’età media dei lettori di periodici è vicina all’età media degli americani (45.8 anni).

Utenti di Internet: 41,4 anni.

Radio: 44,4 anni.

Periodici: 44,8 anni.

Televisione: 46,6 anni.

Quotidiani: 48,2 anni.

Ancora sui giovani. Sono coloro che consumano con maggior frequenza i periodi.

Ai pubblicitari interesserà sapere che (ma lo sanno già, anche se fanno finta di no, in questo periodo in cui si possono pretendere sconti incredibili sulle tariffe):

i 25 periodici più letti e diffusi degli Usa raggiungono più adulti e teenager della televisione; quando esce un numero del giornale, il numero di lettori che lo sfoglia continua a crescere per molti giorni (l’esperienza di lettura, e la ricezione della pubblicità, non si ferma nei primi giorni ma va avanti per almeno 10 giorni, e il messaggio produce effetti su un arco di tempo lungo); i lettori non vanno mai in vacanza e il numero rimane nei 12 mesi più costante che per la televisione, la radio, internet (i cali stagionali sono contenuti).

M’interessa perché: 1) i periodici conservano una ragione d’essere; 2) facile sparare su chi sta male, ma tante presunte verità sui periodici, entrate nei discorsi di tutti i giorni, sono forse luoghi comuni.

Il punto: capire se i periodici sopravviveranno, e conserveranno un interesse e un’utilità, dopo la crisi economica e con la transizione al digitale.

Mpa: factbook 2012/2013

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L’Espresso sciopera, l’Huffington avanza.

Leggo dello sciopero che oggi e domani, 20 e 21 novembre, fa incrociare le braccia ai redattori dell’Espresso, settimanale del gruppo editoriale De Benedetti.

I redattori protestano contro un piano anticrisi che prevederebbe, stando a quel che si legge, il ricorso al prepensionamento (e non al licenziamento, come scrive oggi un sito: è un grave errore) per alcuni giornalisti, leggo 12 su oltre 50 componenti della redazione.

Un taglio pesante.

12 su 50 significa ripensare la formula che ha fatto la storia e il successo dell’Espresso.

Avremo un giornale interamente scritto dai collaboratori, come avviene in molte testate americane? Nella redazione resteranno solo gli addetti al desk, giornalisti che commissionano i pezzi, decidono gli argomenti, titolano, correggono e mettono in pagina gli scritti? Una volta questi giornalisti venivano affettuosamente chiamati “culi di pietra” dai colleghi che scrivevano, e loro si consolavano pensando che rinunciavano a fare i giornalisti (così dicevano loro) in cambio di una vita più regolare e della carriera. In futuro, forse, saranno gli unici giornalisti sicuri dello stipendio.

Una riflessione che vale anche per altri giornali italiani. Redazioni interamente composte da “culi di pietra”? (lo dico anch’io con affetto, magari perché mi riguarda).

Ma c’è un altro aspetto dello sciopero all’Espresso che vorrei mettere in luce. Mentre i giornalisti dell’Espresso si astengono dal lavoro (richiamandosi al patto con il lettore: ma temo che il lettore non sia così sensibile alle difficoltà e alla funzione sociale dei giornalisti, visto quello che dice della stampa un Beppe Grillo alla ricerca di facili consensi elettorali), gli utenti unici dell’Huffington Post Italia crescono. E l’Huffington Post Italia nasce da una joint venture del Gruppo Espresso. In altre parole, l’editore de l’Espresso tiene in piedi anche l’Huffington Post Italia. Sarà stato un mezzo flop rispetto alle aspettative, la versione italiana dell’Huffington, ma il tempo dirà qual è la vera verità.

Abbiamo una rivista di carta che ha fatto la storia del giornalismo italiano. E una testata digitale (nativa digitale) che ne sta prendendo il posto, se è vero che il digitale è lo sbocco inevitabile del giornalismo scritto, parlato, per immagini.

Nell’attesa, sul sito del Gruppo Espresso vengono esaltati i risultati del primo mese dell’Huffington Post Italia, il mese di ottobre. Ecco alcuni passaggi.

«Huffington Post in ottobre ha registrato oltre 1.100.000 utenti e 7.000.000 di pagine al netto delle fotogallerie; comprendendo queste ultime si arriva a un totale complessivo di 11 milioni.

Il primo mese dell’edizione italiana di Huffington Post  si chiude pertanto con un risultato di audience che supera le stime di piano e colloca il sito diretto da Lucia Annunziata tra i protagonisti nel panorama dell’informazione online.

La joint venture tra Gruppo Editoriale L’Espresso e Huffington Post Media Group totalizza oltre 64mila utenti unici e 220mila pagine viste nel giorno medio (fonte Audiweb Nielsen SiteCensus).

Huffington Post Italia si va caratterizzando per le esclusive nei settori dell’economia e della politica, come le anticipazioni sugli esodati e sullo sviluppo delle primarie nel Pd, nonché per la capacità di affrontare i temi del giorno e lo spazio dei diritti civili con un taglio che rispecchia i valori delle nuove fasce di lettori, come i giovani e le donne, nel rispetto degli orientamenti sessuali, ideologici e di fede. (…). Continua inoltre a crescere il parterre dei blogger, oramai oltre 250 tra opinion leader, esperti e personalità della cultura  e dell’attualità».

Un mio sintetico post sull’Atlantic racconta di come la formula adottata dal mensile (10 numeri all’anno) statunitense per uscire dalle secche della crisi sia stata quella della propria cannibalizzazione. Il sito che cannibalizza un giornale che ormai non va più. L’Espresso ha ancora un vasto pubblico di acquirenti e, cosa spesso trascurata, un’alta readership. Invece Huffington Post Italia ha tutto l’aspetto di un cannibale con l’osso nel naso.

M’interessa perché: 1) la crisi avanza, fioccano gli stati di crisi nei giornali; 2) il digitale cannibalizza la carta?

Il punto: cosa accadrà ai giornali italiani più conosciuti? Sapranno costruire un futuro che combina carta e digitale, oppure emergeranno nuovi concorrente (interni o esterni alla casa editrice) che li sostituiranno?

Sito del Gruppo l’Espresso: i successi di Huffington Post Italia

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Il giornale più letto in Gran Bretagna? Quello del supermercato Tesco

Batte anche il quotidiano The Sun, popolare e scandalistico: Tesco Magazine (pubblicato due volte al mese) è il giornale con la più alta readership del Regno Unito. Significa che ogni numero della pubblicazione viene letto da un maggior numero di persone, sommando quelle che lo prendono con atto volontario e coloro che lo leggono perché lo trovano a portata di mano (esempio: la moglie lo prende al negozio, il marito lo legge a casa). Segnale di come perfino le catene dei supermercati (Tesco è il numero 1 in UK) siano diventate insidiosi concorrenti per il mondo della stampa, alle prese con crisi e declino.
Tesco Magazine, giornale gratuito, è cresciuto dell’8% in un anno e ha una readership di 7,2 milioni, superiore a quella di qualsiasi quotidiano e periodico britannico. The Sun si ferma a 7,1 milioni di lettori, arretrando di circa un quinto rispetto a dieci anni fa.
Il dato rimane sensazionale anche dopo aver ricordato che The Sun esce ogni giorno in edicola (e viene letto da 7,1 milioni di britannici), mentre la pubblicazione del supermercato è un quindicinale.
Tesco Magazine contiene interviste a personaggi famosi, pezzi pratici e consigli sul lifestyle e la cucina.
M’interessa perché: 1) gli editori hanno nuovi concorrenti (portano via copie e pubblicità: perché mai Tesco dovrebbe acquistare pagine di reclame se ha già un suo magazine, molto letto)? 2) si afferma e ha successo la comunicazione dei brand, non più percepita come pubblicità (ne ho scritto poco tempo fa).
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Time: direttore in uscita, licenziamenti in arrivo

Il potentissimo direttore periodici di Time Inc., John Huey, dovrebbe, stando a voci che trovano conferma nella società di periodici americana, lasciare a fine anno l’incarico.

La decisione cade nel momento in cui il principale rivale di Time, Newsweek, lascia l’edicola e sopravvive solo come  testata digitale (dal primo gennaio 2013). Ma anche Time Inc, principale editore statunitense di periodici, con 130 titoli in portafoglio, si trova in difficoltà: a conclusione dell’anno si prevede un risultato fortemente negativo nella raccolta pubblicitaria. I primi nove mesi del 2012 hanno segnato un -6,2% (un dramma negli Usa; nulla per l’Italia, dove quest’anno i cali dei ricavi pubblicitari sono a due cifre).

Tempi ancor più duri sono all’orizzonte e si teme un altro “giro” di licenziamenti, in numero rilevante, nei prossimi due mesi, sempre secondo una persona bene informata, sentita dal Wall Street Journal.

M’interessa perché: 1) anche negli Stati Uniti ci sono difficoltà; 2) anche negli Stati Uniti avviene un ricambio ai vertici.

Il punto: come saranno i periodici tra tre, cinque anni, dopo la crisi e con l’affermarsi del digitale.

wall street journal: in uscita direttore periodici di Time

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Francia, i ricchi preferiscono i giornali di carta

Anche in Francia i fedelissimi della carta stampata sono coloro che percepiscono un alto reddito: quadri, dirigenti, professionisti. Una buona notizia per l’editoria dell’Exagone, che deve comunque combattere con le difficoltà della crisi economica e i cambiamenti strutturali del mercato.

Se avete seguito questo blog forse ricorderete che ho già pubblicato un post su questo argomento, ma relativo agli Stati Uniti. Rileggendolo, mi sono accorto che l’istituto che ha condotto la ricerca in Francia è lo stesso che ha fatto l’indagine negli Usa. Ma procediamo con ordine.

Uno studio sull’audience della stampa intitolato Audipresse Premium, realizzato da TNS-Sofres e da Ipsos Media Ct (quello che ha fatto la ricerca in America), ha scoperto che seppur con qualche cedimento la stampa rimane il media di gran lunga preferito tra quadri, dirigenti e percettori di redditi alti, una fascia nella quale si fa rientrare il 7,7% della popolazione transalpina.

Questi ritengono che i giornali siano più affidabili (66%), credibili (63%) e più completi (62%) di televisione, radio e Internet. Sono la fonte d’informazione in cui più si riconoscono e si vedono rispecchiati (48%).

Questi lettori “premium” (termine che può provocare reazione allergica per la connotazione elitaria) sono i più interessanti da punto di vista economico e dunque particolarmente inseguiti dagli investitori pubblicitari.

Cresce anche l’apprezzamento per i tablet (+31,1% di lettori rispetto al 2011).

La ricerca condotta negli Stati Uniti da Ipsos Media aveva stabilito che tra i lettori con un reddito alto (più di 100 mila dollari all’anno) il numero di coloro che nel 2011 avevano acquistato giornali di carta era aumentato del 3,9% rispetto all’anno precedente.
M’interessa perché: 1) è un indizio del fatto che la carta si deve preparare a convivere per lungo tempo con il digitale; 2) la fascia ad alto reddito rimane la più interessante per gli editori, perché permette di raccogliere la pubblicità più “ricca” (ricordiamo che la prima causa della gravissima crisi in cui si dibatte la stampa è il crollo della pubblicità); 3) la diffusione dei tablet continua, continua…
Il punto: come sono cambiate le abitudini di lettura della gente.
Chi lo dice: «Fondé en 1908, Les Échos est un quotidien français d’information économique et financière, propriété du
Groupe Les Échos, pôle médias du groupe LVMH».

lesechos: i ricchi e la stampa

Futuro dei Periodici: i ricchi leggono carta

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Crisi dell’editoria/ Licenziamenti a Variety

Cinque settimane dopo essere stato acquistato a un prezzo scontatissimo da una media company rivale (Penske), Variety, un tempo il più autorevole e conosciuto settimanale sull’industria del cinema, fondato oltre un secolo fa, subisce una pesante ristrutturazione. Un numero tra i  20 e i 25 dipendenti, non giornalisti, circa il 20 per cento degli assunti, è stato licenziato. «I tagli» dice l’amministratore delegato, Jay Penske, «rientrano in un piano finalizzato a ulteriori, rilevanti investimenti editoriali e digitali». Ma si teme il licenziamento di giornalisti.

Come ho scritto in un vecchio post, la rivista è stata ceduta a un prezzo di 25 milioni di dollari, circa la metà della richiesta iniziale. Pochi anni fa il valore del settimanale era infinitamente superiore (era stata rifiutata una proposta d’acquisto di 300 milioni di dollari). Le difficoltà sono in gran parte dovute all’arrivo della tecnologia digitale. Da quando c’è internet, i lettori possono trovare nei siti delle case cinematografiche e sui blog degli attori tutte le informazioni e le notizie di loro interesse.

M’interessa perché: 1) anche negli Usa l’investimento nel futuro dei giornali passa attraverso tagli e ristrutturazioni; 2) le testate giornalistiche, anche quelle settoriali, seppur svalutate, sono ancora un prodotto su cui qualcuno ritiene di investire; 3) internet ha “tagliato” le gambe a molte pubblicazioni: anche il sito di una società (cinematografica, di arredamento, alimentare…) fa concorrenza ai giornali e può mandarli in crisi.

Chi lo dice: «The International Business Times is the leading provider of international online coverage of breaking news and current headlines from the US and around the world».

international business times: tagli a Variety

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Le parole che non mi hai detto/ Downsizing

Downsizing, ridimensionamento, dove ho già sentito questa parola?

Nei giorni scorsi è uscita la notizia che un editore americano di medie dimensioni, Martha Stewart Living Omnimedia Inc, ha deciso di procedere al downsizing (leggete l’articolo sotto). Per risparmiare dai 33 ai 35 milioni di dollari, la società si prepara a vendere o a rivedere la formula editoriale e la periodicità di alcune testate, a lasciare a casa una parte dei giornalisti, a riorientare la propria attività dalla carta stampata ai video online e ai contenuti digitali.

Dalla mia memoria zoppicante, che da tempo si era messa al lavoro sulla parola downsizing, probabilmente per averla captata da qualche parte, è riaffiorato (quando esattamente?) più che un ricordo preciso, uno stato d’animo, un senso d’angoscia che appartiene a un passato che non saprei dove collocare, ma che, chissà perché, mi sembra portare indietro di tanti anni, almeno 25, 30.

Adesso, quando pronuncio quella parola, mi viene in mente anche il nome di una città, Detroit, la capitale americana dell’auto. Ok, mi fermo qui con il gioco delle associazioni, visto che non è argomento su cui scherzare, è anzi drammatico.

Probabilmente ho vaghi ricordi del downsizing degli anni Settanta e Ottanta, le chiusure degli stabilimenti Ford a Detroit, i licenziamenti, il deserto sociale raccontato da tanti film.

La memoria impasta e rimpasta i fatti e le emozioni, gioca strani scherzi e fa apparire come un avvenimento lontano qualcosa che non c’è mai stato, accosta cose che non sono mai state collegate.

Ma questa parola, downsizing, ridimensionamento…

 

huffingtonpost.com: downsizing per i magazine Martha Stewart

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Pacchetto di 24 giorni di sciopero in Gruner und Jahr / Mondadori

I giornalisti di Gruner und Jahr / Mondadori, leggo su affaritaliani.it, hanno approvato un pacchetto di 24 giorni di sciopero, uno per ciascun giornalista considerato in esubero nel piano di crisi esaminato in questi giorni da azienda e sindacato.

Come molti di voi ricorderanno, Gruner ha annunciato a inizio ottobre di voler chiudere 8 delle 13 testate pubblicate in Italia e ha pertanto definito un certo numero di esuberi tra i dipendenti, suddivisi tra personale amministrativo e giornalisti. Per questi ultimi si dichiaravano 36 eccedenze. Un’enormità, se si considera che i giornalisti di Gruner / Mondadori sono in tutto 72.

Le trattative sono state avviate e ora Gruner è scesa a 24 giornalisti in esubero. Di questi, come si dice nella notizia riportata in link, una parte in realtà rientrerebbe al lavoro, ma in forme non ritenute soddisfacenti dall’assemblea dei giornalisti (cassa integrazione a rotazione: si rimane a casa a turno, subendo una riduzione proporzionale della retribuzione). Un’altra parte dei giornalisti verrebbe invece esclusa dal parziale recupero e finirebbe in cassa integrazione a zero ore (e zero stipendio, ma con un’indennità mensile per tutta la durata della cassa integrazione) se la trattativa non portasse a un diverso risultato. Anche la volontà dell’azienda di escludere dalla cassa integrazione a rotazione i giornalisti con qualifiche alte ha spinto l’assemblea dei giornalisti a respingere le offerte della controparte e affidare al sindacato il pacchetto di giorni di sciopero.

M’interessa perché: molti considerano questa vertenza come una prova generale di successivi stati di crisi che potrebbero riguardare grandi case editrici di periodici.

affaritaliani: 24 giorni di sciopero in gruner und jahr/mondadori

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Oi dialogoi/ Il digitale, la pubblicità, il New York Times (1)

A: «Bisogna fare le app dei nostri giornali. C’è la crisi dell’editoria, ma la situazione non sarebbe così preoccupante se ci fosse una crescita nel digitale e si vendessero più copie digitali dei giornali. Compenserebbero le copie perse in edicola. Guarda l’esempio del New York Times: in tre mesi sono stati sottoscritti 57 mila abbonamenti digitali. Oggi sono 566 mila i lettori del giornale nella versione per l’online, il tablet, il mobile in tutte le sue declinazioni».

B: «(Declinazioni…!) A sentire te sembra tutto facile…».

A: «Grazie alle copie digitali e a un ritocco del prezzo del giornale di carta, i ricavi diffusionali del New York Times sono aumentati del 7%».

B: «Prima mi hai interrotto. Stavo per farti notare che proprio nel giorno in cui sono usciti i dati che dici tu, il New York Times ha perso il 22% in Borsa. Un tonfo così non si vedeva dal 1980. I ricavi complessivi del giornale, copie più pubblicità, sono scesi, seppur di poco, ma sono scesi. Anche per questo c’è stato il tracollo a Wall Street».

A: «Ma l’aumento delle copie digitali è inarrestabile, stupefacente. Vedrai».

B: «Non è la soluzione a tutti i mali. Si vendono un sacco di copie digitali ma i ricavi diminuiscono. Quale futuro ci può essere?».

A: «E allora, tu che te ne intendi, come spieghi questa discrepanza?».

B: «Non me ne intendo per niente. Ma noto alcune cose. Se il New York Times arretra è per colpa, innanzitutto, della pubblicità. Il giornale perde il 9 %. Nella carta, il calo della raccolta pubblicitaria è addirittura dell’11 %».

A: «Ma il digitale sta crescendo, passata la crisi, il giornale tornerà a guadagnare».

B: «Speriamo! Il guaio è che al momento il NYT perde soldi anche nella raccolta pubblicitaria per le edizioni digitali. Il digitale va male! C’è una piccola flessione, del 2,2 %, che non fa presagire niente di buono. Vendere più copie, di carta o nel digitale, non è sufficiente».

A: «………».

B: «Non per fare il pessimista, ma questa cosa è stata studiata e misurata. Pare che per ogni dollaro guadagnato dai giornali nel digitale se ne perdano sette nel cartaceo. Ma il NYT perde anche nel digitale».

A: «Mi piacerebbe capire perché».

B: «Bisognerebbe interpellare un esperto. Come sai, io non me ne intendo, anche se cerco di tenermi informato. E su un giornale ho letto che il mondo della pubblicità sta subendo cambiamenti profondi».

Continua (1).

La Repubblica: il risiko mondiale degli spot

The Guardian: cosa sta succedendo al New York Times

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