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L’Universal Publishing Del Financial Times

Universal Publishing: è il modo in cui il quotidiano Financial Times diffonde i propri contenuti nel digitale.

E’ la lezione tenuta in questi giorni alla Digital Media Europe conference da Lisa MacLeod, head of operations del brand giornalistico (consiglio di guardare le foto del post di Journalism.co.uk, da cui ho tratto questi contenuti).

Il sito web è funzionale, spiega MacLeod. «Entri, cerchi quel che vuoi sapere, esci». Ma molti lettori odiano leggere i giornali sul sito. Perché senti di avere a disposizione una quantità infinita d’informazione. Invece sul giornale di carta, tradizionalmente, hai un senso dei confini, della misura, del limite.

Di conseguenza c’è chi si sente più a proprio agio con l’app da scaricare, arricchita o meno. Perché ti restituisce l’esperienza della lettura su carta. Pur conservando l’aggiornamento continuo delle notizie.

Per tutte queste ragioni il Financial Times è presente su una serie di piattaforme digitali e vuole svilupparsi anche verso altre direzioni, incluse le console dei videogiochi.

Si è presenti su tutte le piattaforme e tutti i device, anche se la metà del traffico di Financial Times proviene da mobile. Signori ecco a voi la strategia dell’universal publishing‘.

 

Futuro dei Periodici

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Periodici E Banda Larga

L’arrivo della banda larga di ultima generazione. La diffusione del tablet. La ripresa economica. Ecco perché in Gran Bretagna c’è ottimismo sul futuro dei “customer magazines”

Un lettore di questo blog commentava ieri un post sullo sviluppo delle app di news per tablet. Osservava che a oggi le copie digitali dei nostri giornali equivalgono a non più del 5%. A che pro, dunque, parlare di digitale nei periodici?

L’emergenza del momento è sostenere i giornali di carta. Ma lo sguardo va spostato più avanti. Perché i cambiamenti sono iniziati e non c’è ritorno al passato.

Serve un po’ di prospettiva.

In un articolo come questo, sui customer magazine britannici, i giornali dei grandi brand non giornalistici (tipo Coca Cola e Tesco), c’è la capacità di guardare più lontano. Oltre la crisi, per dire.

Il  “Customer Magazines Market Report Plus 2014”aiuta ad avere un quadro di riferimento valido per tutte le riviste, incluse quelle vendute in edicola.

In sintesi, si dice che:

1) Anche in Gran Bretagna il digitale vale il 5, 15% del mercato.

2) Ma il digitale sta crescendo velocemente. Metà della popolazione ha uno smartphone, il possesso di tablet riguarda il 24% degli adulti.

3) Ma il salto definitivo avverrà tra poco. Entro il 2015, infatti, la maggioranza dei Britons sarà raggiunta dalla banda larga per mobile con tecnologia di quarta generazione (4G), con download più rapidi e accesso a maggiori contenuti online.

Non a caso (4) si prevede che gli editori di customer magazine vedranno crescere i loro ricavi di oltre il 10% tra 2015 e 2018. Una crescita dovuta in gran parte alla ripresa economica e all’aumento dei budget destinati dalle aziende alla pubblicità, al content marketing, alla comunicazione anche digitale.

Futuro dei Periodici

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Pubblicità: L’Italia Diventa Europa Periferica

3 anni che cambieranno la pubblicità (e i media, che di pubblicità vivono). Sono quelli che ci attendono. Con queste conseguenze: dopo 35 anni si ferma la crescita della televisione; la pubblicità su smartphone e tablet supera quella dei periodici; la carta stampata si gioca tutto nel digitale

Una volta le notizie sulla pubblicità non m’interessavano: pensavo le leggessero solo addetti ai lavori e giornalisti specializzati.

Ma da quando la carta stampata è in crisi, ho capito che la sopravvivenza delle testate è legata alla capacità di avere una parte nella comunicazione delle aziende (oltre che dal conservare lettori). La perdita di ruolo alimenta la crisi.

Al riguardo, ieri ho letto un importante rapporto di ZenithOptimedia, una delle società globali della pubblicità. Contiene previsioni che vengono lette da chi dirige i media, il marketing, le aziende. Ho scoperto che…

LA TV SI FERMA

La raccolta mondiale di pubblicità nella tv raggiungerà il prossimo anno il picco di crescita. Poi, entro il 2016, avverrà la prima flessione dopo 35 anni. La crescita passerà di mano, sarà del digitale.

È il segnale di una svolta.

E i periodici, e l’Italia?

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Tablet a Colazione, Giornale di Sera: Come Cambia la Lettura

Cambia così. Leggi articoli di giornale su tablet a colazione, notizie brevi su smartphone mentre vai a lavoro, aggiornamenti su Pc quando sei in ufficio. E il quotidiano di carta di sera, sul divano, quando hai voglia di interviste e inchieste. Ma solo se e quando hai tempo. Perché in questi mesi è successo qualcosa. Come spiega il designer di media Mario Garcia

DIETA MEDIATICA Pranzo, colazione, cena: quando gli esperti di comunicazione parlano di dieta mediatica, a me viene in mente il cibo che si mangia a tavola.

Invece con il digitale e le nuove tecnologie è cambiato il nostro modo di leggere i giornali.

ADDIO CARTA Riporto due immagini pubblicate nel blog del designer di giornali e media Mario Garcia. Tempo fa Garcia ha inventato il concetto di media quartet: oggi qualsiasi giornale è come una musica che esiste solo se suonata da quattro strumenti insieme, altrimenti non sta in piedi. Sono il giornale di carta, il tablet, lo smartphone, il pc. Ma fino a qualche mese fa il rapporto tra i quattro strumenti era di equilibrio: a seconda del momento della giornata uno di essi prevaleva. Come nel passaggio solistico di un concerto di Vivaldi. Il giornale arrivava tardi, di sera.

Media Quartet 1

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Il Profilo dei Giornalisti e degli Editori Digitali (Non Solo Corriere della Sera)

Come trasformare gli editori della carta stampata in editori digitali? Come cambiare mentalità, cultura, modo d’agire? E come cambiare mentalità, cultura, modi d’agire (e di lavorare) dei giornalisti? Sono domande d’attualità in tutto il mondo. Non solo al Corriere della Sera

FISCHIO D’INIZIO Curioso come in tutto il mondo ci si stia ponendo le stesse domande, nello stesso momento, su come devono cambiare i giornali. Lo penso leggendo le notizie sullo scambio di punti di vista al Corriere della Sera, un confronto avviato dal direttore del giornale. Paradigmatico. È come un programma in prima serata tv: lo seguono tutti.

Ma questo confronto sta avvenendo ovunque. E ne parla ampiamente anche il sito degli editori di quotidiani e news, quel Wan Ifra che ha appena tenuto a Berlino una serie di incontri su come cambia il lavoro di chi fa i giornali.

CHI È UN GIORNALISTA DIGITALE Giorni fa riportavo i consigli di Mario Garcia, geniale designer di media, su come accompagnare i giornalisti delle redazioni dal lavoro nel cartaceo a quello su più piattaforme. Ieri il prof della Columbia ha scritto un altro post che torna sull’argomento. Tutti sono alla ricerca di giornalisti digitali. Ma chi sono?Cosa sanno fare? Giornalista digitale, sostiene Garcia, è uno che sa cos’è il buon giornalismo, sa come le storie “girano” oggi (partono dagli smartphone), usa senza pregiudizi e con le dovute precauzioni quel che gli passano i lettori. E conclude così sui cambiamenti in arrivo:

I believe that the next five years are going to be transitional years in most newsrooms globally, a time in which traditional editors either embrace digital, or else.  It will be a good opportunity for newsroom managers to discover native digital talent among staffers already in the newsroom.
It will all begin with changing job descriptions, updating the profiles for storytellers and realizing that digital first begins long before a story is even conceived.

Credo che i prossimi cinque anni saranno anni di transizione nella maggior parte delle redazioni, un tempo in cui gli editori della tradizione abbracceranno il digitale. Sarà una buona occasione per scoprire i talenti digitali nativi presenti negli staff già al lavoro. Tutto inizierà cambiando i profili richiesti, aggiornandoli quando riguardano gli storyteller e comprendendo che l’approccio “digital first” inizia prima ancora che la storia sia concepita.

Ma ci sono altre considerazioni, riportate in un articolo di Wan Ifra (in link alla fine di questo post). Rivolte agli editori. Dicono come deve essere condotta la transizione al digitale. Parole d’ordine controverse, in qualche passaggio. Eccone alcune, in tutta la loro nettezza. (Traduzione frettolosa, so sorry).

  • Show don’t tell: show transformation by doing things, not talking about what you might do. Track projects’ success and show results (Dai l’esempio, non predicare: mostra come deve avvenire la transizione facendo cose, non sprecando tempo in spiegazioni su quel che bisognerebbe fare…).
  • Show quick results early: start change projects by picking easy issues that can be quickly solved instead of starting with a huge project (Metti in luce i piccoli passi avanti: anziché covare grandi progetti di cambiamento, mostra come si possono affrontare con successo alcuni aspetti).
  • Continua a leggere
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Giornalismo À La Carte – Periodici e Paywall

I siti dei periodici, a differenza dei quotidiani, non sono a pagamento (con eccezioni). Eppure la carta non basta. Si cercano modi alternativi per ricavare denaro nel digitale. Con singoli articoli in vendita, pezzi di copertina dati gratis in cambio di video pubblicitari da guardare, edizioni speciali. Perché i magazine non possono vivere solo di copie per tablet. Anche il web vuole la sua parte (smiley).

SE NASCE THE INTERNATIONAL NEW YORK TIMES Si torna a parlare con eccitazione dei siti giornalistici a pagamento. A smuovere le acque la notizia che il New York Times ha grandi progetti nel digitale. Ieri i vertici del quotidiano più famoso del pianeta hanno annunciato la chiusura della testata gemella, e di proprietà, The International Herald Tribune, fondata nel 1887 come giornale americano che parla al mondo intero. Sacrificata perché rischiava di fare ombra alla espansione globale della testata principale, quel NYT nato come giornale di New York City, diventato da non molto quotidiano nazionale. E ora lanciato nella dimensione internazionale e digitale con il nome di: The International New York Times (sulla logica del power brand, leggete qui). Attraverso la versione per tablet e un sito dove si possono leggere gratis solo un certo numero di articoli. Poi si paga.

PERIODICI SENZA PAYWALL Ma nei periodici c’è poco da far pagare. C’è poco da erigere paywall. Settimanali e mensili non hanno, per definizione, breaking news da vendere (sempre che non si tratti di testate specializzate come l’Economist). La specializzazione è riservata ad alcuni magazine, gli altri sono generalisti.

Come si possono aumentare i ricavi, visto che le edizioni per tablet e mobile faticano, per il momento, a decollare?

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The Turning Point/ Consigli per la Riconversione Digitale dei Giornalisti

Il punto di svolta. Dal Financial Times al Corriere della Sera, il mondo del giornalismo è al Turning Point. Ai redattori si chiede di diventare giornalisti digitali. Il compito principale è lavorare su articoli e racconti che possano essere diffusi su tutte le piattaforme, non solo sulla carta. Ma come convertire le redazioni ai nuovi media?

RICONVERSIONE POSSIBILE Consigli pratici e di metodo vengono dati nel blog di Mario Garcia, uno dei più noti esperti di grafica giornalistica e media. Sono elencati in un post in cui si riferiscono le novità emerse alla Expo dell’industria giornalistica a Berlino, evento organizzato da Wan Ifra (è l’associazione mondiale dei quotidiani e media), evento puntualmente coperto da Futuro dei Periodici.

A Garcia hanno chiesto come deve avvenire la riconversione digitale. Lui risponde che:

«È più facile imparare a usare le nuove tecnologie che cambiare gli abiti mentali. Ma si tratta di obiettivi che si possono raggiungere. Senza ombra di dubbio (“it’s definitely something that can be accomplished”)». Con buona pace di quella fazione radicale che nel giornalismo italiano ha teorizzato, chissà perché, che questa operazione è impossibile.
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«L’Huffington Post svaluta il giornalismo»? – Novità dal World Publishing Expo di Berlino

Il peso crescente del mobile nel giornalismo. I nuovi prodotti pubblicitari per rendere remunerativi i media digitali. La perdita di prestigio della carta stampata. La frustrazione di chi scrive. Le idee geniali nell’e-commerce. La fame di video degli utenti. Sono frasi, notizie, analisi, provocazioni dall’Expo di Wan Ifra

L’organizzazione degli editori di quotidiani e media tiene in questi giorni a Berlino una serie di incontri in cui i principali editori europei e del Nord America si scambiano idee, risultati, e offrono spunti per costruire il giornalismo dei prossimi anni. Ecco, nelle parole dei protagonisti, le frasi più stimolanti.

Mathias Döpfner, Ceo di Axel Springer, gigante dell’editoria tedesca ed europea.

CRITICA ALLO HUFFINGTON «Credo nel mobile come strumento essenziale per leggere le notizie. Ma c’è una divaricazione di interessi. I lettori preferiscono leggere le news sullo smartphone. Invece i pubblicitari amano il tablet, perché lo schermo più grande valorizza il messaggio pubblicitario».

L’Huffington Post che sbarca in Germania? Svaluta il giornalismo (“devalues journalism”). “Quando faranno pagare i lettori per i contenuti e daranno un compenso ai giornalisti che li scrivono, saremo in un mondo migliore». (Ma, almeno in Italia, Huffington Post non è niente male”).
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L’Anno in cui Abbiamo Rottamato il Computer – Il Boom del Mobile nel 2013

Nel 2013 c’è il boom della pubblicità sul mobile, cioè su tablet e smartphone. E per la fine dell’anno si venderanno più apparecchi di questo tipo che pc. La principale porta d’accesso a internet non è più il computer

PUBBLICITÁ NEL 2013 Riprendo le previsioni diffuse da ZenithOptimedia sulla pubblicità. Sono impressionanti. Dicono che nel mondo, quest’anno, c’è il boom della pubblicità sul mobile. Se guardiamo alle somme di denaro investite, sono decisamente inferiori che sulla tv e nei giornali. Ma il mobile è quello che cresce di più. E continuerà a farlo nei prossimi anni (per il 2015 la pubblicità su mobile sarà pari, a valore, al 25,2% di quella su internet e al 6% del totale).

Il mobile cresce 7 volte più velocemente della spesa pubblicitaria per l’internet da desktop: +77% nel 2013, +56% nel 2014, +48% nel 2015. Complessivamente la spesa su internet cresce invece di APPENA il 10% l’anno.

SMARTPHONE BATTE PC Non c’è da stupirsi, dice l’articolo riportato in link alla fine del post.

Per quest’anno, infatti, si prevede che negli Usa, e a maggior ragione negli altri Paesi, si venderanno più apparecchi mobili che personal computer. E lo smartphone sta diventando lo strumento più utilizzato per entrare in internet.

I GIORNALI C’è qualche parola di conforto per la carta stampata? Sì, nel 2012 la spesa in pubblicità su quotidiani e periodici americani ha comunque superato quella su internet. E nel 2015 sarà ancora così, se si somma la radio alla carta stampata.

Il punto: per il futuro, quotidiani e periodici devono guardare sempre di più al tablet. Lo si dice anche nell’articolo qui sotto: gli editori sono in ritardo nel fornire contenuti per il mobile.

Techcrunchla pubblicità nel 2013.

TechCrunch

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In Francia Aumentano i Lettori di Giornali

In Francia i giornali conservano il loro pubblico. Grazie a tablet e smartphone, che compensano il calo dei lettori della carta. A conferma che gli editori devono puntare su più canali. E alla difesa del brand

AUMENTANO I LETTORI Già, la Francia. Ma questa osservazione è stata fatta, su questo blog, a proposito del mercato americano e australiano. Si vendono meno copie dei giornali ma rimane stabile, o aumenta, il numero dei lettori. Insomma, il nome del giornale, il brand, rimane forte. Una buona premessa per il futuro. A differenza di quanto è avvenuto in Italia nei primi 6 mesi del 2013, quando abbiamo assistito a un forte calo delle copie e dei lettori (una tendenza che forse si sta invertendo).
Vediamo la notizia di questi giorni. E’ riportata da Le Monde. In un anno i lettori di giornali su mobile (tablet e smartphone, fondamentalmente) sono aumentati del 24% tra luglio 2012 e giugno 2013 (rispetto allo stesso periodo dell’anno prima). Lo dice Audipresse One (sondaggio su oltre 35 mila lettori). Di conseguenza i lettori dei giornali sono aumentati complessivamente dello 0,4%, sommando stampa e digitale.
MULTIREADING Il digitale ha tenuto stabile il lettorato. Anche se si assiste al fenomeno del multireading: il 54% di coloro che leggono su tablet, guardano anche i giornali di carta.
Si sottolinea la forza del mobile. Il numero di lettori su tavoletta è cresciuto in un anno di 2,5 volte. Circa 8,6 milioni di persone sono “attrezzate”: possiedono o si fanno prestare la tavoletta. Mentre i lettori su sito web sono cresciuti di appena il 3%.
DIFFUSIONI IN FRANCIA Bisogna però aggiungere che in Francia i periodici hanno perso in un anno solo lo 0,6% delle copie vendute. E dei lettori che pagano per leggere la copia in loro possesso (mentre i lettori di cui parlavamo sopra includono anche coloro che si fanno prestare il giornale o lo leggono gratis su internet).
lemonde
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The Media Quartet – Se ha Senso Parlare di Passaggio al Digitale

The Media Quartet. Il quartetto di media. Quattro media: carta stampata, sito web, tablet e smartphone.
Perché non c’è più quell’idea, che ci ha ossessionati a lungo, in base alla quale ci si deve immaginare l’immediato futuro (dei giornali) come un passaggio al digitale. Passaggio, l’attraversamento di un fiume, lasci un tutto alle spalle.
No. Fino a dove arriva lo sguardo, la carta c’è. E la cosa cui dobbiamo saggiamente pensare è la compresenza di quattro media in uno, il Media Quartet. Pensare al quattro, ideare, realizzare, distribuire, sostenere, tutto moltiplicato per quattro.
Questa espressione, “The Media Quartet”, l’ho trovata in questa recentissima intervista a Mario Garcia, famosissimo designer statunitense (ma di origini cubane) di giornali (molti anche italiani) e docente di giornalismo alla Columbia University di New York.
Dice che i media sono quattro. Esploriamo le potenzialità di ciascun mezzo. Sviluppiamo il racconto giornalistico secondo le regole di ciascuna piattaforma. Come fare? E quanto rapidamente? Sono queste le domande che ci devono ossessionare, secondo Garcia. Il Come, non il Se.
Eh, i Quartetti di Thomas Stearns Eliot:

In my beginning is my end. In succession Houses rise and fall, crumble, are extended, Are removed, destroyed, restored (…)

WAN IFRA
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Italiani sempre più digitali – Indagine di Deloitte

Dovrei chiamare questo post: l’altro post. Come fa l’Espresso, che a ogni numero presenta L’altra copertina; e fa vedere quale avrebbe potuto essere la copertina della settimana se un fatto più importante, o una diversa scelta della direzione, non avesse fatto cambiare idea.

Se avessi trovato maggiore consistenza nella notizia, oggi avrei pubblicato un post sul survey di Deloitte, società di consulenza presente in tutto il mondo, intitolato State of the Media Democracy.

PASSIONE DIGITALE Anticipato ieri da Corriere Economia, il rapporto dice, innanzitutto, che gli italiani sono onnivori di internet. La propensione a usare computer portatili, smartphone e tablet è tra le più alte registrate nei paesi avanzati. Questa è una notizia, perché conferma e rafforza quanto era stato messo in luce quasi un anno fa da una ricerca di Boston Consulting Group, altra grande società di consulenza, sull’entusiasmo degli italiani per i device usati per navigare su internet e il digitale. Forse possiamo dire senza sbagliare che il nostro mercato è promettente per quegli editori che sapranno giocare bene le carte della transizione al nuovo mondo della comunicazione.
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Riptide, il grande racconto dei cambiamenti del giornalismo dal 1980 a oggi – Opera multimediale di Nieman Lab

Uno straordinario racconto multimediale con 60 interviste raccolte dal Nieman Journalism Lab dell’università di Harvard. Si intitola Riptide: è l’epica delle grandi trasformazioni provocate dalla diffusione delle tecnologie digitali dal 1980 ai giorni nostri. Parlano i vertici di Google, Aol, Twitter, Wpp, Washington Post, New York Times, Forbes, Cnn.

CAMBIAMENTO EPOCALE Riptide in inglese significa vortice d’acqua, è il punto di scontro tra maree e correnti con direzioni diverse, un fenomeno della natura drammatico e terribile. È quello che sta accadendo al mondo dei media. Questo progetto di racconto corale e multimediale mette insieme le voci dei protagonisti, positivi e negativi, vittoriosi e forse sconfitti, di questa trasformazione epocale. Iniziata nel 1980 con la diffusione del computer nel mondo dei media. Questa straordinaria impresa narrativa, di cui tutti sentivamo il bisogno, magari non consapevole, è stata portata avanti dal Joan Shorenstein Center on The Press Politics And Public Policy e dal Nieman Journalism Lab dell’università di Harvard.

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Se il digitale inizia a (ri)pagare – Lo scenario dei media secondo l’Economist

Da più parti ripreso l’articolo dell’Economist «Counting the Change», «Misurando il cambiamento».

Descrive le trasformazioni subite dai media e dall’industria dell’intrattenimento nel passaggio al digitale. Riguarda i giornali, i libri, il cinema, la musica, la televisione.

Aiuta a comprendere che i cambiamenti della stampa s’inseriscono in un quadro più grande. E avere presente il contesto serve, come sempre, a dare un senso alle cose. A non smarrirci. A non subire a occhi chiusi gli eventi e, dunque, ad avere meno paura.

L’articolo è un fermo immagine, perché la trasformazione è così radicale che è difficile dire quale direzione, velocità, impeto prenderà anche solo tra pochi mesi.

Mi sembra un buon riferimento per la seconda metà del 2013. E il settimanale economico-finanziario britannico pone la questione che, giudicando dal mio piccolo punto di vista, può guidarmi negli avvenimenti, notizie, problemi dei prossimi mesi.

Ma per creare la cornice bisogna lavorare per sottrazione. Dobbiamo ridurre, sfrondare, eliminare, fare a meno di tanti, troppi numeri, dati, termini tecnici, gergo economico, manageriale, da esperti. (Esperti che in questo blog non sono presenti, non scrivono, non intervengono).

Dunque l’Economist prova a dirci dove siamo arrivati.

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11 notizie su come è cambiato il giornalismo

Ho letto a fondo il Digital News Report 2013 del Reuters Institute, importante rapporto su come cambia il consumo di notizie  nell’era del digitale. Computer, smartphone, tablet e carta stampata messi a confronto in un’indagine condotta in Europa, Stati Uniti, Brasile, Giappone. Viene fuori anche una descrizione dell’Italia come Paese votato alla dimensione social della comunicazione.

Non ho chiuso bottega, come temeva un amico che mi ha scritto ieri. Anzi, approfittando di qualche giorno di maggiore tranquillità estiva ho trovato utile rileggere uno degli studi sul giornalismo più interessanti e approfonditi della prima parte del 2013. Fare la sintesi di qualcosa che un lettore non ha il tempo di andarsi a vedere: ecco un compito del giornalista che non sarà mai superato. Vale anche per un blogger a tempo perso.

Il Rapporto sulle news digitali del Reuters Insitute risponde ad alcune domande che tutti i giornalisti si fanno.

1) Quando si pensa al modo in cui consumiamo informazione, dobbiamo ricordare che esistono ancora grandi differenze tra Paese e Paese: la cultura nazionale, il reddito, la composizione sociale, le infrastrutture della comunicazione, la politica e la legislazione creano paesaggi diversissimi. Se ne deve ricordare anche un blogger quando è tentato di vedere in una tendenza locale un fatto globale.

2) La carta stampata sta morendo e sarà sostituita dalla distribuzione digitale? La fruizione delle notizie giornalistiche è sempre più multipiattaforma: non c’è il lettore di carta stampata o del digitale. E il 33% dei lettori che legge news digitali utilizza 2 device (es. computer e smartphone), altri (il 9%) ne usano tre (il tablet si aggiunge ai primi due).

3) Il tablet è una novità dirompente nel mondo del giornalismo o solo uno dei tanti strumenti per leggere notizie? Il numero di coloro che usano il tablet per cercare e leggere notizie è raddoppiato nel giro di dieci mesi in molti dei Paesi europei passati al setaccio dal Reuters Institute. In Danimarca siamo al 25% dei lettori complessivi.

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La differenza tra edizione digitale, sito web e app nei giornali

Ho ancora le idee confuse sulla differenza tra sito web di un giornale, app per mobile ed edizione digitale dello stesso. Quali i vantaggi dell’uno o dell’altro per un editore, quando puntare su uno in particolare?

Posso dire che un breve articolo di Folio Mag mi ha aiutato a vederci più chiaro. Guardate anche voi.

Per dire, l’app (quel software del giornale che carichiamo sullo smartphone o il tablet e poi vediamo come un’icona) diventa conveniente, nonostante abbia un costo alto di creazione e manutenzione, perché presuppone un uso più frequente da parte del lettore. Solo i più fedeli la scaricano sul proprio smartphone o tablet. Ma garantiranno un maggiore coinvolgimento nell’esperienza di lettura, con più tempo passato sulle pagine del giornale e maggiore partecipazione alla condivisione dei contenuti e al commento.

L’edizione digitale è, anche negli Stati Uniti, una replica della testata di carta, ma non so se questo consolerà chi sogna prodotti arricchiti. Piace ai pubblicitari, che infatti sono disposti a pagare le inserzioni tanto quanto la pubblicità sull’edizione di carta (sappiamo che la carta spunta prezzi più alti, il sito molto meno, lo smartphone pochissimo). Insomma, sull’edizione digitale si può riproporre il modello di business della carta, e i lettori spendono circa 43 minuti per ogni sessione di lettura. Decisamente più di quanto avvenga sul sito e nelle app.

Interessante anche riflettere sull’equilibrio che l’editore deve trovare tra costi e benefici. Questo è un ragionamento maturo, non il volo della fantasia a immaginare edizioni per iPad che nessun lettore può ripagare.

Buona lettura!

Folio: differenza tra app, digital edition, sito web.

Folio

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Il futuro dei periodici fino al 2017 – Entertainment & Media Outlook di PwC

Una ricerca importante, l’Entertainment & Media Outlook di PricewaterhouseCoopers (PwC), descrive il futuro economico dei periodici americani da qui al 2017. Il calo dei ricavi da copie vendute, il calo della pubblicità, la crescita del digitale, non sufficiente. E qualche sorpresa.

La crisi continua. L’articolo di Adweek che sintetizza l’Outlook di PwC dice che non c’è alcuna ripresa dietro l’angolo per i periodici. Il mercato continuerà a scendere nei ricavi da copie vendute e nella raccolta pubblicitaria. Questa previsione vale per gli Stati Uniti, Paese che ha risposto meglio e più rapidamente dell’Italia alla crisi economica. Il declino dei periodici si conferma, dunque, strutturale. Non abbiamo ancora visto tutte le conseguenze. Viene confermata la “narrativa” corrente secondo cui i lettori e gli inserzionisti grandi e piccoli stanno migrando verso il digitale e verso altre modalità di accesso all’informazione.

Il mercato dei periodici consumer americani (le riviste come Time e Cosmopolitan) vale nel 2012 24 miliardi di dollari ma scende a 23 miliardi di dollari nel 2017. Dalla crisi del 2009 si è registrata una lieve ripresa, ma il mercato continuerà nel suo complesso a calare con l’abbandono della carta da parte di lettori e inserzionisti.

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Intervallo: 7 infografiche sui trend di Internet

7 infografiche. Riassumono le tendenze di Internet nel 2013. Fanno capire cosa sia il mondo digitale. Parlano di privacy, contenuti online, comportamenti. Su pc e smartphone.

Spudoratamente riprendo alcune chart sui trend di Internet pubblicate da The Atlantic, il newsmagazine mensile, messe a punto da Mary Meeker, general partner di Kpcb.

Mi hanno aiutato a capire, con un colpo d’occhio, cosa sia oggi il mondo digitale.

1) Il tempo speso sui media e la pubblicità raccolta su ciascuno.

Qui bisogna osservare che sulla carta stampata si spende relativamente poco tempo, il 6%, rispetto agli altri media. Ma la raccolta di pubblicità su questo mezzo è enormemente più elevata, il 23%. Riprendendo, in forma interrogativa, una frase del “boss” di WPP (colosso della pubblicità): la stampa è sopravvalutata come veicolo promozionale? Se così fosse, quali altri smottamenti avverranno nei prossimi anni a vantaggio di tv, Internet, mobile?

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Quanti italiani usano il tablet? 3 milioni 660 mila – Accesso ai contenuti digitali a marzo 2013

Insieme ai dati sull’audience online a marzo e ai trend dei primi tre mesi 2013, pubblicati da Audiweb, è uscita la tabella che vedete qui sotto: fa vedere come gli italiani accedono a Internet. Cliccate per ingrandire.

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Nel primo trimestre 2013 il 68,2% delle famiglie italiane (14,8 milioni) dichiara di disporre di un accesso a Internet da casa.

Il 71,6% delle famiglie connesse, 10,5 milioni, dichiara di avere una connessione veloce.

A me interessano gli altri dati.

37,8 milioni di italiani dicono di accedere a internet da qualsiasi luogo e device.

Al primo posto c’è il computer di casa. Poi lo smartphone. Poi il computer del lavoro. Segue il computer dal luogo dove si studia. Infine le connessioni con tablet.

Gli italiani che usano Internet attraverso uno smartphone sono 17,9 milioni. Quelli che usano i tablet sono quasi 3 milioni 660 mila.

Il Punto: quante persone possono accedere ai contenuti digitali dei giornali. E come.

Prima Comunicazione: dati Audiweb primi 3 mesi del 2013.

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Com’è la redazione giornalistica digitale (e il Feedback Loop)

Se siete giornalisti digitali, saltate questo post. Lo stesso se lavorate alla Stampa o al Sole24 Ore.

Lo schema che vedete qui sotto, infatti, per voi è vecchio.

Ma se siete dei comuni mortali, e il vostro tran tran si svolge in un qualsiasi periodico italiano, forse questo schema, tracciato prima del 2010 da Lewis DVorkin, mefistofelico e stimolante capo dei contenuti di Forbes, potrebbe farvi riflettere.

Come cambia il flusso del lavoro nelle redazioni, i processi, quali nuove figure devono affiancare i giornalisti, come viene valutato il nostro lavoro?

A tutte queste domande risponde Lewis DVorkin nell’articolo riportato in link.

Per ingrandire l’immagine basta cliccare sopra.

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È chiaro che il giornalista, oltre a scrivere in modo efficace e preciso, deve anche pagare grande attenzione alla scelta degli argomenti e all’interazione con il lettore. Per meglio centrare gli obiettivi di traffico nello staff giornalistico vengono inserite figure di specialisti di social media, analisti del traffico. A Forbes, anche figure del marketing.

E il giornalista, nel crescere come professionista, deve tenere conto del feed back di lettori e analisti. Ma, specifica DVorkin, la pioggia di dati, la visualizzazione dei risultati di traffico, aggiornati secondo per secondo, devono spingere a far meglio, non sono la legge del giornalista.

The data is to help inform their journalism, not rule it.

Forbes: come cambiano le redazioni dei giornali.

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I giornali hanno qualcosa da imparare dalla Apple?

Qualcosa da imparare da iTunes, l’applicazione lanciata dieci anni fa da Apple, ciambella di salvataggio dell’industria discografica presa d’assalto e saccheggiata da Napster e dalla pirateria online. Si era affermata l’idea che non ci fosse da pagare per scaricare dischi. Un atteggiamento simile a quello indotto nei lettori di giornali dalla informazione distribuita gratuitamente su internet.

«Il cielo stava cadendo a pezzi e iTunes fornì un luogo dove avremmo fatto soldi con la musica e, in teoria, fermato la marea della pirateria. Per quel momento, è stata la soluzione del problema» spiega un pezzo grosso dell’industria discografica al Denver Post, un articolo che riporto nel link alla fine di questo post.

Trovo delle somiglianze tra il passaggio al digitale della musica e i giornali.

Avrete letto…

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Negli Usa taglio netto alla pubblicità nella carta stampata

Dove vanno i soldi per la pubblicità? Secondo l’American Marketing Association and Aquent, la carta stampata subirà il taglio maggiore di investimenti da parte delle aziende nel 2013.

Il 28% per cento degli investitori intervistati per il sondaggio dice di voler ridurre il budget destinato ai periodici, un calo secondo solo a quello dei quotidiani, dove la discesa stimata sarà del 32%. Riduzioni, seppur minori, per la radio e la televisione.

L’articolo di Minonline fa vedere dove gli investimenti in comunicazione saranno indirizzati: il digitale. Questa l’opinione generale.

L’82% prevede di far crescere la propria presenza nel mobile, area molto promettente per i periodici (smartphone, tablet e un pizzico di smart tv, la televisione che si connette a internet), il 76% vuole essere più incisivo nei social media, di conseguenza ha aumentato il budget destinato a operazioni in questo ambito.

M’interessa perché: 1) il calo della pubblicità, un tempo principale voce di ricavo nella stampa, sembra destinato ad aumentare in quotidiani e periodici; 2) resistono alla disfatta o al rallentano solo i marchi forti, i power brand, gli editori che offrono prodotti di alta qualità; 3) nel quadro di incertezza generale, fioccano notizie a volte contraddittorie, sintomo di un mondo (della comunicazione aziendale e giornalistica) che non sa dove andare.

Minonline: le aziende riducono investimenti nella carta stampata

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Il sito di cucina e il ritardo dei giornali italiani nel digitale

Gli appassionati di cucina se ne sono accorti lo scorso ottobre: su internet è comparso un sito di cucina che è una potenza. Ma non è italiano. Si chiama Allrecipes.it e contiene video che vanno vedere, passo a passo, come si prepara un piatto. A differenza di Giallozafferano.it, il più noto sito italiano del genere, in Allrecipes.it non compare il volto di alcun cuoco, è tutto anonimo.
Si tratta del primo sito di ricette online al mondo con più di 1 miliardo di visite annuali. Proprietario del sito è un grande editore di periodici, Meredith, quello di Better Homes and Gardens e di Parents and More.
La storia di questo successo ha, a mio avviso, due insegnamenti.
Il primo chiama in causa gli editori italiani: il ritardo nello sviluppo digitale dei nostri giornali e brand è testimoniato dal fatto che il principale sito di cucina al mondo non sia italiano ma sia stato ideato e portato al successo in un Paese che non ha una tradizione culinaria paragonabile alla nostra. Che poi questo arrivi in Italia e s’imponga ha dell’incredibile. È come se una catena americana di punti ristoro soppiantasse le pizzerie napoletane.
Il secondo aspetto ha più a che fare con il business. Meredith sta perseguendo una strategia che aiuta a compensare il calo dei ricavi nella pubblicità. Per questo l’editore sta diversificando, investendo nel digitale, e spinge in modo aggressivo i propri brand su internet, tv, nel mercato delle app per tablet e smartphone.
Ci sta riuscendo: due mesi fa proprio Meredith si era candidata all’acquisto delle testate di Time Warner.

Il Punto: le strategie di un grande editore americano per rispondere alla crisi dei giornali di carta.

Meredith press office: espansione in Italia e Turchia

Zacks.com: Meredith investe in Italia e Turchia

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2) La pubblicità, vera incognita per il futuro dei giornali

Seconda puntata su giornali e pubblicità nel digitale. Si parla del mobile. I tablet e gli smartphone hanno creato uno spazio di sviluppo per i periodici. Ma la lentezza degli editori rischia di avvantaggiare le multinazionali tech. Google, Facebook, YouTube stanno investendo massicciamente nella pubblicità associata ai contenuti per questi apparecchi. La strada per le riviste è in salita.

Riprendo la riflessione iniziata lunedì con un post gemello. Lo spunto è offerto dal rapporto del Project for Excellence in Journalism del Pew Research Center di Washington DC intitolato: The State of the News Media 2013.

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E-commerce, salvagente dei giornali in difficoltà

E-commerce: è la parola d’ordine tra gli editori di quotidiani e periodici. Vendere prodotti di ogni tipo, dai vestiti di marca ai viaggi, per compensare i bilanci in affanno soprattutto a causa del calo della pubblicità. Ne ha parlato Maria Rodale, editrice di Men’s Health. E il Sole24 Ore, in un pezzo dedicato agli acquisti da tablet e smartphone.

Maria Rodale, terza generazione degli editori che pubblicano Men’s Health e riviste sulla salute e il benessere, uno dei maggiori gruppi americani, dove si pretende che i giornalisti consumino solo prodotti biologici tra le pareti delle redazioni e che partecipino a lezioni di yoga per i dipendenti, ha parlato di e-commerce mentre si trovava in Australia per incontrare i partner locali. Iniziando da una provocazione: c’è un nuovo trend, piuttosto radicale, che si sta diffondendo tra gli editori di periodici, il trend del ritorno alla carta.

Significa che la transizione al digitale non sarà rapida come si pronosticava fino a pochissimo tempo fa.

Lo consiglia anche la situazione della pubblicità. «Le agenzie pubblicitarie» ha spiegato Maria Rodale «si sono tutte buttate sul digitale ma i risultati sono stati deludenti rispetto alle attese. Gli user digiali non sembrano così interessati alla pubblicità come quando sono coinvolti in un’esperienza di lettura del giornale di carta».

Al tempo stesso, la signora Rodale ha indicato nell’e-commerce la strada per compensare nel digitale il calo dei ricavi pubblicitari. Un motivo che spinge in questa direzione è l’alto livello di fiducia che i lettori hanno verso i periodici di loro scelta e, di conseguenza, verso la pubblicità e le esperienze di acquisto proposte dalle riviste. I periodici sono uno dei pochi media in cui la pubblicità non viene percepita come una fastidiosa distrazione ma come un’esperienza positiva. E i quotidiani hanno dimostrato che si possono vendere ai lettori pacchetti vacanze, assicurazioni, vino, libri. Lo fanno con successo gli editori tedeschi Burda e Axel Springer oltre agli americani di Condé Nast con il recente investimento di 20 milioni di dollari nel sito di e-commerce Farfetch.

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I giornali italiani iniziano a guadagnare con i tablet e gli smartphone

Dove si parla di tablet, smartphone, Internet e della crisi dei media tradizionali. Delle prospettive di crescita per gli editori nel digitale. E delle potenzialità della smart tv, la televisione che si collega alla Rete.

«Gli algebristi, gente sempre utile al pubblico» scriveva Voltaire. Viene da pensarlo leggendo alcuni virgolettati sui dati presentati in questi giorni dall’Osservatorio New Media & New Internet del Politecnico di Milano. Ma dalla nuvola di numeri, percentuali e sigle in Inglese per definire come cambia il mondo della comunicazione, emergono notizie che s’inseriscono nel flusso di riflessione ad alta voce di questo blog.

Ho capito che:

1) Il mondo digitale, sia quello più consolidato dei siti web (Old Internet) sia quello nuovo legato agli smartphone, ai tablet e alle smart tv (le televisioni che si collegano alla rete: ne sono state vendute in Italia 2,5 milioni), il cosiddetto New Internet, il mondo digitale, si diceva, continua a crescere e a far soldi. Togliendo però spazio e risorse ai media consolidati: televisione, radio, carta stampata, calati in cinque anni del 25%.

Media tradizionali e New Media

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Il mobile blinder: vendere più giornali copiando la Coca Cola

Giornali, in venduti al supermercato, negli Stati Uniti, ma la gente, ferma alla cassa, dove vengono esposti quotidiani e riviste, non fa più acquisti d’impulso, a causa degli smartphone. Sì, i telefonini intelligenti, tutti ne hanno uno in tasca, distraggono, ti metti a scrivere messaggi, commentare su Facebook, navigare alla ricerca di qualcosa per scacciare la noia. E i periodici rimangono lì, in bella vista, ma invenduti. Per questo grandi editori, a partire da Hearst, provano qualcosa di nuovo. Seguendo l’esempio di Coca Cola.

L’articolo di Bloomber descrive il fenomeno, gli effetti e le possibili contromisure: parlo del mobile blinder, la “distrazione da cellulare”, di cui qualche tempo fa si è occupato questo blog.

Hearst, che vende il 15 per cento delle copie nei supermercati americani, sta programmando di aggiungere punti di esposizione e vendita delle testate in angoli dei negozi diversi dalla cassa. Come ha fatto Coca Cola, su consiglio della società di consulenza Leo Burnett/Arc Worldwide.

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Cosa ci insegna una ricerca sullo stato di salute dei giornali americani

Per il sesto anno consecutivo diminuisce la pubblicità sui magazine. Calano ancora le copie vendute in edicola. Tengono gli abbonamenti. Eppure negli Stati Uniti quasi nessun editore di periodici pensa di seguire la strada di Newsweek, lo storico magazine che dal 31 dicembre 2012 ha abbandonato la carta per vivere solo nella dimensione digitale.

Torno al Rapporto 2013 sullo Stato dei News Media Americani del Pew Research Center, Project for Excellence in Journalism.

Quotidiani, tv, web, periodici. A questi ultimi dedico, vista la natura del mio blog, un approfondimento.

L’analisi che riguarda i magazine nel loro insieme dice che:

1) Le copie vendute, sommando carta e digitale, sono stabili nel 2012. Merito anche, si scrive, della diffusione di tablet e smartphone su cui gli americani leggono articoli di magazine. Gli abbonamenti pagati corrispondono per quantità a quelli del 2011. Sono invece calate dell’8 per cento le copie delle riviste vendute in edicola.

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Esce importante studio sui giornali e media americani nel 2013

Qual è lo stato del giornalismo americano? Periodici, quotidiani, siti web, sviluppo digitale, radio, televisione. Lunedí 18 marzo l’autorevole Pew Research Center rilascerà un importante rapporto, messo a punto dal Project for Excellence in Journalism, intitolato State of The News Media 2013, relativo a quel che è accaduto nell’anno passato.

Qualcuno di voi sa di certo di cosa si tratta: è più completo e approfondito studio sui media degli Stati Uniti. In questo post trovate il link dove scaricare, da una certa ora di domani, il nuovo Rapporto. Ho inserito il link allo studio uscito un anno fa, riguardante il 2011.

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Teenager, smartphone e l’accesso a Internet

Per chi, come me, non conosce il pianeta dei propri figli, ecco i risultati di una nuova ricerca del Pew Research Center sui teenager, l’uso degli smartphone, l’accesso a internet e la diffusione del mobile negli Stati Uniti.
Questa una sintesi dei soli dati:

Quasi tutti gli adolescenti usano internet e il 93 per cento accede al computer da casa.

Il 74 per cento dei teenager accede a internet in modo occasionale con smartphone e tablet, e uno su quattro accede su internet principalmente attraverso apparecchio mobile.

Il78 per cento possiede un cellulare, il 47 per cento usa lo smartphone.

Il 23 per cento dei giovani ha un tablet, quasi quanto gli adulti americani.

Pew Research Center: teenager e smartphone

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Tablet e digitale secondo Mario Garcia, designer star di giornali

Un video che ha due punti di interesse. Il primo: si parla dei contenuti giornalistici pensati per i tablet e di come questi apparecchi vengano utilizzati dai lettori (la sera, sul divano, per rilassarsi). Il secondo motivo d’interesse è che parla Mario Garcia, Ceo e fondatore di Garcia Media, società e studio professionale di grafica e ideazione di giornali e siti che ha collaborato con 500 editori di tutto il mondo, e ha riconcepito giornali conosciuti da tutti, come The Wall Street Journal, The Miami Herald, Die Zeit, e quotidiani locali, tra cui, in Italia, Il Secolo XIX. Insomma, il più importante designer di giornali al mondo.

Parla anche Sara Quinn di Poynter. Le interviste sono state realizzate la scorsa settimana a una conferenza di Poynter Institute  che si è tenuta ad Austin, in Texas.

Dice Garcia: «Il tablet viene usato nei momenti della giornata in cui ci si vuole rilassare. Consente una lettura in profondità, concentrata. Lo smartphone viene utilizzato per letture più veloci, nei momenti da riempire».

«Con i tablet cambierà il modo di raccontare storie e fatti. E il modo di fare pubblicità».

«Assisteremo alla creazione di mini-quotidiani e mini-periodici da leggere sugli smartphone».


Il Punto: come cambia il consumo di notizie e di giornali con il passaggio al digitale.

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L’India, i periodici e 20 milioni di tablet venduti

Un Paese che guarda con ottimismo al futuro dei periodici? L’India. Riprendo alcune considerazioni uscite tre settimane fa dal Congresso dei Magazine del subcontinente.

Prima ragione di ottimismo. Ci son voluti 7 anni perché in India venissero venduti 20 milioni di smartphone. Lo stesso risultato con i tablet è stato raggiunto in 20 mesi.

Seconda ragione. I lettori indiani spendono in media 45 minuti alla settimana sulle riviste in versione cartacea. Per quelle in formato digitale, lette sul tablet, il tempo speso sale a 160 minuti.

Da questo nasce l’ottimismo verso l’immediato futuro dei periodici. Questo Paese è un gigante con Ganesh in una mano e il tablet nell’altra. E si dimostra che ci sono aree del mondo in cui lo sviluppo dell’industria dei media passa direttamente allo stadio del digitale.

Si fa un paragone con l’Italia. In India solo il 4 per cento della pubblicità trova spazio sui magazine. Negli Usa è il 17%, in Germania il 18%, in Francia il 15%, in Italia l’11%.

Anche da questo si arriva alla conclusione che l’editoria dei periodici non possa che far meglio in futuro.

Print Week: il futuro dei periodici in India

Print_Week-logo-FFF25D9671-seeklogo.com

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I tablet superano gli smartphone per traffico web

Una notizia, che riprendo da Forbes, gravida di conseguenze per gli editori. Guardate la tabella.

A inizio 2013 le page view su tablet hanno superato, a livello globale, quelle su smartphone. Vuol dire che si consumano più contenuti con le tavolette che con i telefonini intelligenti. Le conseguenze sono rilevanti per gli editori, perché i contenuti visti su tablet sono in media diversi da quelli per smartphone (sto semplificando). L’iPad, solo per citare l’apparecchio più famoso, è più indicato per la lettura di giornali e riviste. Sul cellulare, per quanto grande sia lo schermo, attività di questo tipo sono meno confortevoli.

Il Punto: notizie favorevoli alla sopravvivenza dei magazine.

Forbes: i tablet superano gli smartphone.

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Smartphone, pubblicità e i problemi di editori e Google

Serio e ampio articolo dell’Atlantic sulle incognite della pubblicità sugli smartphone: la nuova frontiera della pubblicità.

Un americano su due possiede uno smartphone, in Italia ne sono stati venduti oltre 20 milioni: insieme ai tablet, i cellulari intelligenti saranno il supporto su cui leggere e per cui ridisegnare contenuti informativi, news, giornali, periodici. Ma il passaggio digitale, come sappiamo, risulta problematico quando si parla di ricavi per le società, a partire dagli editori.

Perfino due giganti del digitale, Google e Facebook, temono impatti negativi e potenzialmente catastrofici per il loro business.

Il punto è questo: gli smartphone, insieme ai tablet, sono destinati a diventare il principale punto di accesso per informazione, news, servizi vari. Ma la raccolta di pubblicità sul mobile presenta problemi ancora irrisolti. Non piace alla gente perché è fastidiosa, invadente, poco leggibile. Le dimensioni dello schermo di un cellulare intelligente sono davvero ridotte e inserzioni e spot, per farsi notare, devono essere aggressivi. Ma proprio per questo la gente non li ama. E le aziende non sono disposte a pagare molto per la pubblicità via mobile. A questo si aggiunge la difficoltà di misurare il rendimento e il livello di interazione dell’utente, rilevazioni più complicate rispetto alla fruizione sul computer di casa.

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Il boom dei video nel digitale

Il boom dei video nei siti web dei giornali va di pari passo con l’esplosione dei clip pubblicitari. Sono due fenomeni trainati dal diffondersi di apparecchi che permettono di vedere filmati digitali: smartphone, tablet, smart tv (quelle collegate a Internet). Negli Stati Uniti la crescita dei video è superiore a qualsiasi altra forma pubblicitaria online.

Mi ha colpito la velocità con cui il principale quotidiano italiano, il Corriere della Sera, ha imbottito di video il suo sito. Quando non riesco a vedere il telegiornale, so che posso avere una sintesi delle notizie della giornata attraverso le news filmate del giornale di Via Solferino.

Si tratta di un’offerta di contenuti giornalistici che viene creata per soddisfare una domanda di informazione legata al diffondersi dei device mobili, ovvero smartphone e tablet.

Ma all’offerta di informazione corrisponde un’analoga offerta di video pubblicitari. I due prodotti vanno di pari passo. Proprio come a ogni pagina di contenuto editoriale corrisponde una pagina di pubblicità sui periodici.

Il sito statunitense eMarketer calcola che i video siano la forma pubblicitaria online a più forte crescita: l’incremento nel 2012 è stato del 46%. Complessivamente si sono investiti per i filmati pubblicitari 2,93 miliardi di dollari nel 2012, pari al 10% di tutta la pubblicità online. Si è però lontani dalla pubblicità sui canali televisivi (per la quale si sono spesi 68 miliardi di dollari nel 2011).

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Le sfide di Bauer, editore di periodici leader in UK

Bauer Media è il principale editore di periodici (consumer magazine) in Gran Bretagna. Un pezzo di The Guardian, che riporto in link alla fine di questo post, fa il ritratto della società. E aggiunge alcune annotazioni saporite anche per il lettore italiano. Si capisce sulla base di quali parametri deve essere giudicato oggi un editore di periodici.

Bauer, editore tedesco che gioca su una scacchiera mondiale, tanto da aver acquistato la scorsa estate il principale editore di periodici dell’Australia, brilla in Gram Bretagna per due titoli: Closer, lanciato nel 2002, fatturato 9 milioni di sterline; Grazia Uk, pubblicato dal 2005, settimanale che ha ricavi, si stima, per 4/5 milioni di steline.

Complessivamente la società, che ha il quartier generale ad Amburgo, edita 56 periodici e raggiunge 19 milioni di lettori ogni settimana.

Paul Keenan, chief executive di Bauer Media in inghilterra, ha dichiarato che la priorità per il Gruppo è lo sviluppo digitale per i brand  principali. A partire dalla app di Grazia.

«La carta stampata continuerà a essere un media che coinvolge la gente con degli interessi, delle passioni. Svilupperemo i nostri prodotti di carta ma li circonderemo con estensioni digitali che li rendano ancora più coinvolgenti e completi».

Invece Douglas McCabe, un analista dei media, ha commentato in questo modo, per The Guardian: «Il principale problema per Bauer è come intendono affrontare la partita del mobile in un mondo in cui la diffusione di smartphone, tablet ed e-reader, cresce proprio nel territorio in cui Bauer è più forte: il mass market».

Nell’articolo c’è una scheda con i principali dati di bilancio di Bauer.

Il punto: cosa deve fare un editore di periodici per restare a galla e prosperare nel mondo digitale.

The Guardian: Bauer, editore di Grazia Uk

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Con il tablet si fa più e-commerce

Non c’entra nulla con i periodici, ma uno studio americano di Adobe Systems pubblicato da Mediapost, dice che i possessori di tablet sono più propensi a fare acquistri on line con il loro device rispetto a chi ha uno smartphone (il cellulare intelligente che permette di navigare su internet). Dalla ricerca risulta che il 55% dei proprietari di tablet usa l’apparecchio per fare acquisti, contro il 28% degli smartphone.

Ma sappiamo che lo sviluppo digitale dei periodici permette di attingere a nuovi ricavi per gli editori attraverso l’e-commerce. Siamo proprio sicuri che i risultati di questa ricerca non abbiano niente a che fare con i giornali, visto il fiorire di versioni digitali delle testate da leggere su tablet?

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Mondadori France, Condé Nast e i periodici su tablet

In Francia cresce la vendita di tablet, che a Natale 2012 avrebbe superato per la prima volta quella degli smartphone. Le aspettative degli editori sono grandi, come dice Mondadori France: è alle porte una Rivoluzione copernicana dei periodici. C’è interesse per le edizioni dei giornali create appositamente per le tavolette, diverse dalle solite copie digitali che replicano il giornale di carta.

Alla luce di questi dati di vendita gli editori francesi sono in fermento. È noto infatti che i possessori di tablet cercano informazione con i loro apparecchi mobili: dopo la messaggistica e i giochi, le notizie sono la principale ragione d’uso dei tablet. Apparecchi che, si badi bene, vengono usati soprattutto a casa e da tutta la famiglia.

Inoltre le versioni dei giornali per tavoletta sono diverse dalle solite copie replica dei giornali, i pdf, o pidieffoni, come li chiamano i giornalisti tra simpatia e compatimento, e aprono spazio alla sperimentazione e alla vendita di pubblicità.

In Francia, si ricorda nell’articolo di Le Figaro (che potete leggere attraverso il link riportato alla fine di questo post), si prevede che per la fine del 2013 saranno in circolazione 4 milioni e mezzo di tablet, contro i 3 milioni venduti fino a questo momento.

Le Figaro

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Huffington Post/ Come immaginare il futuro dei periodici

I giornali del futuro assomiglieranno a quelli del presente. Ma bisognerà cambiare i formati per adattarli agli strumenti della lettura digitale. E i profitti saranno enormi. O è solo un sogno?

Non so se si tratta di sponsored content, contenuto sponsorizzato, ma questo intervento su The Huffington Post del boss di una piattaforma per l’editoria digitale, Yudu, ha elementi per me illuminanti sul futuro dei periodici.

Richard Stephenson, questo il nome del Ceo di Yudu, dà per scontato che i magazine continueranno a esistere, e vivranno in una dimensione digitale, come siti o app. Insomma viene messo a tacere lo psicodramma dell’Internet che manda in rovina i giornali di carta con la sua offerta di contenuti infinita (ma frammentati, disseminati, discordanti, faticosi da cercare e raggiungere).

Ma, dice Stephenson, i periodici del futuro dovranno affrontare alcuni nodi e tener conto di certe premesse.

1) Faranno guadagnare molto, perché eliminano le spese di stampa e distribuzione: i margini saranno del 60-85 %.

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Quanti tablet e smartphone sono stati venduti in Italia

AGGIORNAMENTO – L’8 maggio 2013 e’ uscito su questo blog un post con i dati aggiornati sui tablet venduti in Italia. Il post del 21 dicembre 2012 (quello che state vedendo) va dunque letto tenendo conto di questa precisazione.

Il boom di acquisti di smartphone e tablet in Italia può essere la base per uno sviluppo digitale delle riviste, una strada che gli editori di giornali dovranno percorrere per provare a frenare e compensare il crollo di vendite e ricavi in quotidiani, settimanali, mensili.

Per valutare quanto sia decisivo per gli editori di periodici puntare sull’offerta di contenuti su più piattaforme (nella carta e nel digitale, scritto e video) è utile conoscere quanti smartphone e tablet sono stati venduti in Italia e quanti ne entreranno nelle nostre case nei prossimi anni. Non voglio attribuire al digitale un potere salvifico per la carta stampata, sappiamo tutti che gli editori dovranno ancora per molti anni cercare di guadagnare dalle copie vendute in abbonamento e, soprattutto, in edicola. Ma la tendenza per il futuro è chiara, e bisogna investire in questa direzione. Ho cercato a lungo dati affidabili e gli unici che ho trovato sono quelli (autorevoli) della School of Management del Politecnico di Milano, diffusi lo scorso 10 ottobre.
Si calcola che nel nostro Paese saranno venduti, complessivamente, entro la fine del 2012 circa 32 milioni di cellulari intelligenti (quelli che consentono di connettersi a internet ovunque ci si trovi) e 2,9 milioni di tablet, le cosiddette tavolette, che offrono un’esperienza di fruizione (parola orribile 1) diversa dal telefonino, più adatta, penso, alla lettura di articoli lunghi e al consumo (parola orribile 2) di contenuti multimediali articolati (al riguardo vi invito a leggere il bellissimo post uscito oggi su Il Giornalaio).
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Rcs, presentato il piano industriale: ristrutturazione e sviluppo digitale

Rcs Mediagroup ha presentato il piano triennale per il rilancio della casa editrice. Al primo posto lo sviluppo digitale, la valorizzazione delle riviste forti (power brand), la chiusura o vendita delle testate che non sono leader, i contenuti editoriali digitali di alta qualità, un’organizzazione delle redazioni innovativa, flessibile, più produttiva.

Non è facile spiegare cos’è il piano triennale di una società. In sostanza, Rcs Mediagroup, il secondo editore italiano nell’area delle riviste (ma il primo se si considera il quotidiano di cui è proprietario: il Corriere della Sera), prova a disegnare un futuro di sviluppo, con riorganizzazione e investimenti, per reagire al declino che ha investito da quasi dieci anni la carta stampata.
Il piano mette al primo posto il digitale. Significa che, oltre alla difesa dei giornali di carta (e dei libri), Rcs concentrerà gli investimenti soprattutto sui contenuti e i servizi da consumare e fruire su computer, tablet, cellulari intelligenti (gli smartphone), e gli ebook. La società punta a ottenere dalle attività digitali il 25 % del fatturato nel 2015, contro il 14% attuale. Per arrivarci, pensa di investire circa 300 milioni di euro. Da spendere anche in acquisizioni, l’acquisto di società o attività nel settore.
Importantissima la pubblicità. Si prevede di avere una crescita nella raccolta digitale del 18% in tre anni, contro una media attesa per gli editori (il mercato) dell’11%.
Naturalmente questo blog è concentrato sulle riviste, i periodici, in cui Rcs (“la Rizzoli“), è una presenza importante in Italia, sia per la storia del Gruppo sia per i risultati attuali.
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Scenari 5/ Crescita lenta dei periodici nel digitale

Gli editori americani si interrogano su come fare profitti con il digitale e fanno previsioni: il 20 per cento crede che entro il 2014 riceverà da siti web, applicazioni per smartphone e contenuti per tablet ricavi pari al 25 % del fatturato pubblicitario complessivo della compagnia.

I dati sono tratti dal Digital Publishing Survey 2012 di The Alliance for Audited Media (Aam), l’organizzazione che si occupa di certificare le copie di giornali vendute negli Stati Uniti. Si viene a scoprire che:

1) La maggior parte degli editori americani offre contenuti per tablet e smartphone. Ma non sempre si chiede all’utente di pagare per questi prodotti.

Il 56 per cento degli editori fa pagare per i contenuti specificamente studiati per iPad, il 42 per cento per iPhone, il 38 per cento per i contenuti per il Kindle… (nel Rapporto trovate i dati completi).

2) Naturalmente i contenuti a pagamento non possono essere l’unica fonte di guadagno. Perché sul digitale vi sia un modello di business, confermano gli editori sentiti per questo studio, le fonti di ricavo devono essere due: contenuti e pubblicità.

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Scenari 3/ Differenze tra periodici e quotidiani nel digitale

In questo studio seminale di Aam (l’organizzazione che certifica quanto vendono i giornali negli Stati Uniti),  Digital Publishing Survey 2012, emergono differenze tra quotidiani e periodici nella transizione al digitale.

Anche se il mercato sta diventando più maturo, gli editori di giornali continuano a sperimentare, procedono per tentativo ed errore sulla strada verso il digitale. Cercano quel che meglio risponde alle loro esigenze. C’è una differenza tra chi predilige le applicazioni (le famose app che tutti noi scarichiamo con gli smartphone) native, specificamente pensate per fornire contenuti giornalistici su un certo device mobile (iPhone, iPad, altri tablet) e le applicazioni per web, che possono distribuire gli stessi contenuti su più device.

Qui emerge una differenza tra quotidiani e periodici che val la pena di sottolineare, mi sembra gravida di conseguenze, anche se non sono ancora in grado di valutarla nella sua pienezza.

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Scenari 2/ Nel 2013 tutti gli editori Usa presenti nel digitale

La maggior parte degli editori americani sentiti da The Alliance for Audited Media dichiara di produrre contenuti giornalistici per i canali e le piattaforme digitali. In altre parole, il digitale è oggi la regola, lo standard per gli editori di quotidiani e periodici. Senza non si può stare sul mercato.

Nella precedente edizione del Digital Publishing Survey di Aam (ex Audit Bureau of Circulations, l’Ads del Nord America, organizzazione che dice quanto vendono i quotidiani e i periodici) circa la metà delle case editrici di giornali dicevano di produrre contenuti per i device mobili (smartphone e tablet). Tre anni dopo, nel 2012, il 90 % degli editori interpellati dice di produrre contenuti per mobile. Per l’anno prossimo, tutti gli editori lo faranno. Lo si vede nella tabella qui sotto.

Editori che offrono contenuti per mobile

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I periodici e la filosofia della toilette

La gente passa sempre più tempo su internet. E quando è connessa, la gente va sui social media.

Lo dice The Social Media Report 2012 di Nielsen (il Rapporto sui social media 2012: lo potete leggere in inglese usando il link riportato in fondo a questo post, è tutto grafica), pubblicato poche ore fa.

La gente, leggo, passa più tempo online: il 21% per cento in più rispetto al 2011. E questa è una brutta notizia per quei giornali di carta che non ne vogliono sapere di avere una presenza significativa nel mondo digitale con: siti e versioni per tablet e smartphone.

Quando è connessa la gente va sui social network: Facebook (su tutti), Twitter, Pinterest, Worldpress… E questa è la seconda brutta notizia per i periodici. Perché i social network sono nuovi concorrenti della carta stampata (chi l’avrebbe mai previsto: fino a 10 anni fa i social media non esistevano e i concorrenti dei periodici erano tv, radio e quotidiani). Sono concorrenti perché: 1) tolgono tempo alla gente per la lettura dei magazine; 2) sottraggono pubblicità ai giornali di carta: gli inserzionisti vanno là dove si trova la gente e nessun obbligo di legge può imporre di fare inserzioni sui giornali.

Ma per connettersi al web la gente usa sempre meno il pc (-4%: guardate i dati del rapporto Nielsen) e sempre più i tablet e gli smartphone (il mobile, cioè i due insieme, fa +82%). E questa è una buona notizia, mio caro amico. Almeno così pensa l’autore di questo blog, che poco sa ma molto ascolta e legge.

Una volta si diceva che la gente non comprava più i giornali perché trovava le notizie gratis su internet. Ma sai che noia leggere articoli di giornale al desktop, al computer di lavoro o di casa, seduti alla scrivania, scomodi, con davanti uno schermo grande come un televisore? Lo si può fare per le news, non per aticoli di arredamento, moda, gossip, con le inchieste. E poi io sto seduto alla scrivania tutto il giorno e quando leggo il giornale che mi piace voglio stendermi su una chaise longue. I giornali si era abituati a consumarli con agio e relax. E i tablet lo consentono. Si legge a letto, si legge nel salotto (nel living, nel living, pardon). I nuovi device riproducono le condizioni di lettura dei periodici, restituiscono la stessa esperienza, e un editore può pensare di offrire copie digitali delle proprie riviste da scaricare (a pagamento e con la pubblicità) con tablet e smartphone. Promettente.

La controprova? E’ nel Rapporto di Nielsen. Un terzo dei giovani tra i 18 e i 24 anni si connette al web e usa i social media quando si accomoda in bagno. Proprio come noi facevamo con i nostri cari, vecchi giornali, a riconoscimento del massimo della intimità.

M’interessa perché: 1) spiega che i periodici se la devono vedere con nuovi competitor, assai disruptive; 2) i tablet possono essere un grande alleato dei periodici, la porta del futuro.

Nielsen: Report social media 2012

Rapporto Nielsen Soclai Media 2012

Rapporto Nielsen Soclai Media 2012

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I lettori di giornali su tablet non vogliono interattività

I lettori di giornali su tablet non vogliono l’interattività: video, animazioni, grafica innovativa. Lo ha detto ieri il presidente di Hearst, David Carey, al Media Summit di Mashable, a New York.

“Dovevamo capire se i lettori delle nostre testate volevano qualcosa di completamente nuovo e interattivo o se invece desideravano semplicemente leggere i giornali su smartphone e tablet” ha detto Carey. “L’industria, inizialmente, si è data da fare con l’interattività. Quel che abbiamo scoperto è che la maggior parte della gente vuole soltanto il prodotto in sé”.

L’articolo di Mashable ricorda che nel 2010 Hearst ha fatto uno sforzo speciale per dare ai lettori contenuti coinvolgenti e interattivi. Esquire e O: The Oprah Magazine erano usciti con video, grafiche animate che ruotavano di 360 gradi, illustrazioni che si animavano con un tocco, contenuti audio supplementari.

Ma c’è stato un passo indietro. I contenuti multimediali sono stati ridotti. Le app non funzionavano bene, erano instabili, i lettori scrivevano pessime recensioni.

Il presidente di Hearst è intervenuto su altri aspetti cruciali dell’editoria moderna.

Non è mancata la professione di fede sul futuro dei periodici. Fiducia dimostrata con i fatti. L’editore americano, presente in decine di paesi inclusa l’Italia, ha continuato in questi mesi nella politica dei lanci con l’uscita di Food Network Magazine, che vende 1 milione e mezzo di copie, e HGTV Magazine, con un milione di abbonati.

Infine un’osservazione sulla capacità dei giornali di vendere prodotti. Di fare e-commerce.

Ricorderete le vendite congiunte, i giornali accompagnati da dvd, cd, collane e borsette, le edicole trasformate in bancarelle sulla spiaggia. Il mondo digitale apre nuove strade per compensare questa fonte di ricavo ormai esaurita.

“E’ proprio quello su cui stiamo lavorando” conclude Carey. “Un’occasione da non perdere per i lettori. E per gli editori, che potranno aumentare i ricavi. Faremo in modo che voi possiate toccare quel che c’è sullo schermo e comprarlo. Deve avvenire in modo fluido: senza attrito”.

 

M’interessa perché: 1) come saranno i periodici del futuro, su tablet? 2) trovare un modello di business: come fare ricavi con i giornali sul digitale.

 

Chi lo dice: “Mashable, social Media news blog covering cool new websites and social networks: Facebook, Google, Twitter, MySpace and YouTube. The latest web technology news …”.

 

I lettori non vogliono interattività

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Sui periodici la pubblicità rende di più

Fare pubblicità sui periodici conviene. Il ritorno economico per le aziende, rispetto all’investimento, è superiore a tv, internet e quotidiani.

Lo dice una ricerca di Mindshare UK per conto della Professional Publishers Association, riguardante 77 investitori che hanno speso oltre 6 milioni di sterline in pubblicità.

I magazine garantiscono un ROI (ritorno economico in rapporto al capitale investito) superiore a qualsiasi altro canale di comunicazione, giornalistico e non.

Ne ho parlato alcuni giorni fa in un post sull’utilità dei periodici.

So di espormi alle critiche dei colleghi. «Ma perché non pensi ai lettori, alla qualità dell’offerta giornalistica, al tuo lavoro? Non alla pubblicità, agli inserzionisti».

Ma la sopravvivenza dei periodici dipende soprattutto dalla capacità di attrarre pubblicità. Se essa venisse meno, dovremmo vivere di copie vendute. Non lo facciamo da tempo. Forse non l’abbiamo fatto mai.

Con il passaggio al digitale c’è poi una nuova difficoltà: nel web (contenuti raggiungibili da siti, tablet, smartphone, app) la pubblicità non va a chi fa informazione ma a concorrenti che non hanno contenuti giornalistici  (su tutti, Google). E’ un limite che rischia di portare all’estinzione di moltissime testate. Scoprire che la pubblicità sui magazine rimane molto efficace è motivo di speranza per chi lavora in questo ramo dell’editoria.

 

M’interessa perché: 1) spiega qual è la specificità dei periodici rispetto alla pubblicità; 2) dà una speranza ai periodici.

Chi lo dice: «minonline is the definitive career resource for the publishing community, serving job seekers and employers in all media (magazines, etc).

minonline: fare pubblicità sui periodici conviene

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Le parole che non mi hai detto/ Media company

Tutti continuano a chiamarli: editori. Ma loro già si preparano a guidare una: «media company». Questa espressione sbuca in alcuni articoli postati in questo blog nelle ultime settimane.

Media company: questo è diventata negli Stati Uniti la famosa Condé Nast, secondo le parole dell’amministratore delegato Charles Townsend (Futuro dei Periodici: Condé Nast dopo la crisi).

Una media company è quel che dovrebbe diventare l’editore che vuole sopravvivere alla crisi e alla transizione digitale, secondo quanto raccomanda Clayton M. Christensen, professore alla Harvard Business University (Futuro dei Periodici: Nieman Reports).

E tutte le società e aziende della moda, delle auto, del lusso e di mille altre aree sono, stanno per o dovranno diventare delle «media company» secondo quel che prevedono gli esperti del settore, perché le piattaforme digitali (dai siti web agli smartphone) richiedono a qualsiasi imprenditore moderno di non limitarsi a fare pubblicità sui vari media ma di prendere in mano la comunicazione e lanciarsi in attività editoriali e di marketing ricco di contenuti (e non sfacciatamente promozionale).

Come ha fatto Ikea con i suoi cataloghi che tutti noi abbiamo sfogliato con lo stesso piacere con cui leggiamo una rivista di arredamento. O come stanno facendo i marchi dell’abbigliamento di alta gamma, primo tra tutti Burberry (Ikea e il brand journalism).

«Media company». Ma non era la casa editrice in cui lavoravo, sai, quella che pubblicava settimanali e mensili? No, mi rispondono. Ora è qualcosa di più. La chiameremo «media company» perché usa i media per veicolare contenuti giornalistici, contenuti editoriali, e-commerce (Futuro dei Periodici: Hearst lancia ShopBazaar), eventi, pubblicità “intelligente” degli inserzionisti. Sui giornali di carta, i giornali digitali, i social network, twitter, smartphone etc. etc. Con articoli, video, grafica, animazione etc. etc.

Giornalismo e giornalisti sono solo una parte della vecchia casa editrice, a volte una piccola parte, spesso sempre più piccola.

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Quanto guadagnano i periodici con gli smartphone

Gli editori iniziano a fare qualche soldo con i contenuti per gli smartphone, ma devono ancora imparare e sperimentare. Lo racconta Minonline, citando il rapporto annuale di un importante provider americano.

I dati, relativi al mese di settembre, riguardano la capacità degli editori di incrementare i ricavi con le edizioni digitali, le app per i periodici, i siti web.

Ecco la tabella che accompagna l’articolo.

  • 88% degli editori vende pubblicità sulle proprie piattaforme digitali
  • 77% genera ricavi pubblicitari ma molti sottoutilizzano gli strumenti per incrementarli ancor di più
  • Gli editori sentiti nel sondaggio riconoscono l’importanza dei dati degli utenti ma il 75% non li usa correttamente
  • 3 editori su 5 registrano una crescita delle diffusioni e nella raccolta pubblicitaria
  • 38% pianifica di ridisegnare i siti o di intervenire sul software di gestione dei contenuti (CMS) per incrementare i ricavi
  • I grandi investitori pubblicitari vorrebbero essere presenti sulle varie piattaforme tuttavia i budget attuali sono ancora focalizzati sulla stampa (la carta),

Godengo+Texterity, il provider che ha condotto la ricerca (certificata da BPA audit) ha constatato che, per quanto le principali testate monitorate siano già attive su più piattaforme, il canale che ha la crescita più rilevante è il mobile. Gli editori, dal canto loro, stanno ancora lavorando per trovare un equilibrio tra contenuti gratuiti (free, liberi) e contenuti premium, a pagamento. E nella speranza di capire qual è il giusto rapporto tra le varie piattaforme.

Chi lo dice: «Min is the industry’s trusted source on the consumer and b2b magazine business, reaching thousands of media executives through print, online and in-person events. For more than 60 years, Min has been serving the magazine and media community».

M’interessa perché: 1) gli smartphone sono un’area di sviluppo per i contenuti digitali dei periodici (in Italia, un anno fa, si erano già venduti 20 milioni di smartphone).

Il punto: cosa possono dare i periodici sulle piattaforme digitali.

Minonline: come guadagnare dalle edizioni digitali

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Condé Nast e gli editori dopo la crisi

E’ naive credere che la stampa stia morendo. Ma, dopo la crisi, è impensabile per un editore investire solo sul giornale, trascurando le piattaforme digitali: smartphone, siti, tablet, social network.

Questo il succo dell’intervento dell’amministratore delegato di Condé Nast Usa, Charles Townsend, a un convegno che si è svolto nei giorni scorsi al Paley Center for Media in New York City. C’è autopromozione della società editrice e dei magazine, sento nelle parole un esercizio di ottimismo. Ma alcune frasi aiutano a capire cosa pensano gli editori.

Riassumo qualche passaggio, ma vi consiglio di leggere il link a Folio Mag, da cui traggo il testo.

Ecco gli estratti.

«L’idea che la stampa stia morendo è naive. Non è vero che sta collassando. Nulla impedisce a questo business di crescere, ma questo non può avvenire senza una presenza digitale consistente. E’ la differenza tra gestire un brand e fare un giornale”.

«Prima della recessione la stampa andava benissimo. Società come Condé Nast avevano fatturati in crescita del 12, 15% nella carta. Ma il mercato ora costringe gli editori di giornali a cambiare il modo di fare business».

«Poi arriva la recessione. Una depressione profonda. Cosa accade? Perdiamo il 40 per cento del fatturato. Terribile. Ma al tempo stesso tagliamo costi per centinaia di milioni di dollari. Ora siamo usciti dalla recessione (negli Usa la considerano superata. Ndr) e ci ritroviamo in splendida forma. La ripresa ruota tutta intorno al digitale, ma non a spese della carta, come si pensava prima della recessione».

Nel 2010 e 2011, dopo la recessione, Condé Nast ha registrato negli Usa fatturati in crescita anche del 7%, l’area web cresce tra il 32 e il 33%.

«Il dopo recessione è caratterizzato dalla introduzione e dallo sviluppo delle piattaforme digitali, le quali, però, non sostituiscono il business della carta. I periodici continuano a crescere, anche se questo 2012 è un anno deludente. Colpa dell’anemica economia americana, non di Condé Nast».

«Da ora in avanti noi ci consideriamo non più come un editore di periodici ma come una media company».

«La nostra industria sta pagando per aver svenduto i suoi contenuti. Come ci è venuto in mente di offrire gli abbonamenti a un dollaro? Abbiamo crato un’abitudine che è quasi impossibile rovesciare: quella dei contenuti giornalistici gratuiti. Ma ora possiamo fornire contenuti digitali, archivi, e-books, accesso a eventi, contenuti per il mobile e per la stampa, e ce la possiamo giocare con il consumatore. Abbiamo trovato la strada, cosa che manca a qualsiasi altro segmento dell’industria dell’intrattenimento».

M’interessa perché: 1) al netto dell’aspetto autopromozionale, indica la strada su cui muoversi anche in Italia, dopo la recessione; 2) media company, media company; 3) il giornale e tutto il resto, non più SOLO il giornale.

Il punto: come gli editori vedono il medio periodo.

La fonte: «The Magazine Industry’s source for news, careers, suppliers, education, features, video, multimedia and more».

Folio Mag: per Condé Nast Usa il giornale è solo una parte

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