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Le 10 Copertine Dell’Anno Nei Magazine

Gli editori americani di periodici della American Society of Magazine Editors hanno selezionato 10 copertine per il Best Cover of the Year contest, il premio per la miglior copertina dell’anno.

10 finalisti, ciascuno in rappresentanza di una differente categoria. 

Il vincitore sarà annunciato il 30 aprile.

Colpiscono 2 delle 10 copertine che vedete nel mio post. 

La prima è quella che mostra George Clooney per W Magazine: l’attore indossa un abito di Giorgio Armani interpretato da Yayoi Kusama, un’artista giapponese nota per la sua ossessione per i punti (in Italia ha esposto opere nel 2010 al Pac di Milano).

La seconda fa breccia, va da se, nel pubblico maschile: è il numero per i 100 anni di Vanity Fair con la modella Kate Upton, più sexy che mai.

Le 10 copertine per 10 categorie di periodici sono:

1) News, politica, business: Boston Magazine.

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I 7 Vizi Capitali Dei Giornali Su Tablet

Come si trasferisce su tablet un giornale di successo? Discussione su copie replica, copie arricchite, interattività, multimedialità, vecchie star del cinema che cantano su iPad. E il vero problema che gli editori di periodici devono affrontare

La domanda è stata fatta da uno studente a Mario Garcia, designer di centinaia di giornali: come si “trasporta” un giornale sul tablet? E lui, geniale giornalista che quest’anno insegna alla Columbia University di New York, ha risposto tirando fuori la versione per iPad di Vanity Fair.
Finisce sotto la lente di ingrandimento un numero del giornale molto, molto riuscito: quello dedicato alla Notte degli Oscar.
La copertina, con tutti gli attori, è stata un fenomeno virale su Twitter. E la copia cartacea è un successo in edicola: oltre 400 pagine per un numero monstre che squaderna bellissime foto e raccoglie pubblicità da fare invidia a qualsiasi concorrente. Sfogli le pagine e respiri la grandezza della carta stampata.
Ma la “traduzione” per tablet delude Mario Garcia. Nonostante Condé Nast sia uno degli apripista nel digitale per la stampa periodica. Le critiche benevole di Garcia, quindi, non colpiscono un soggetto che si muove nella retroguardia, ma qualcuno che sicuramente merita il plauso di tutti. Qualcuno molto coraggioso e innovativo (su quest’aggettivo, vedi più sotto).
Garcia, però, sfoglia il giornale su iPad e il suo “dito curioso”, alla ricerca di interazione sullo schermo, di multimedialità, di pagine da aprire, rimane deluso: un “dito frustrato”.
Il designer individua setti vizi capitali. Valgono anche per i giornali di altri editori.
Ecco una sintesi, con il rinvio a leggere il post.
1) Il giornale di carta viene trasferito di peso sull’iPad.
2) L’unica differenza, rispetto all’edizione cartacea, è che nel digitale c’è la possibilità di condividere gli articoli su Facebook e in Rete. Non basta, per Mario Garcia.
3) e 4) Il dito del lettore viene sollecitato troppo poco. Solo una piccola parte delle immagini, per esempio, è cliccabile. Un prodotto statico.
5) Ci sono pochi video.
6) Ci sono molte occasioni mancate: avresti voluto toccare le foto di vecchie star di Hollywood, Marilyn Monroe per dire, e vederle prender vita, magari nelle scene dei loro film. Niente.
7) Anche la pubblicità è ferma all’immagine fissa.
La morale? Secondo Garcia i lettori vogliono ritrovare su tablet lo stesso prodotto uscito in edicola. I magazine sono godibilissimi su iPad. Al tempo stesso, però, la domanda di interattività e multimedialità deve venir soddisfatta in una qualche misura. Nessuno pretende effetti speciali, prove creative spesso sterili (vogliamo parlare del sopravvalutato Snow Fall?). Ma il dito merita soddisfazione.
«Keep the finger happy».
In altre parole, come dice il nuovo senior vice president del digital a Time Inc., il problema per gli editori, in questo momento, è trovare un giusto equilibrio tra “the need of scale with the necessity of innovation“: tra prodotti che fanno fatturato e lavoro sull’innovazione.
Futuro dei Periodici
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La Copertina Che Fa impazzire Twitter

E’ la copertina dell’Hollywood Issue di Vanity Fair Us, marzo 2014. Va alla grande su Twitter.

 

Vanity su Twitter

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Come si Costruisce una Storia Multimediale

Cos’è il giornalismo multimediale, come si costruisce una storia nel digitale, come e perché assegnare a media diversi le varie parti del racconto. Lo spiega l’università di Berkeley

GIORNALISMO DIGITALE Oltre a The Russia Left Behind e ad altri esempi di multimedia storytelling di cui si è parlato in questo blog, penso alle storie di giocatori di football di un quotidiano australiano e al racconto della New York sotterranea di Vanity Fair: sono nel blog del designer Mario Garcia. Per la gioia dei nostri occhi. Mi è venuta voglia di capire più a fondo come si racconta una storia nel digitale. E mi sono imbattuto in uno strumento utilissimo, in lingua inglese.

COS’È MULTIMEDIALE Riprendo un tutorial della UC Berkeley Graduate School of Journalism. Consiglio a tutti di visitare il sito, ricco di strumenti pratici e teorici sul giornalismo digitale.

Una storia giornalistica multimediale non è solo un racconto a più dimensioni: testo, video, audio, foto, grafica, animazione, mappe, interattività.
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L’addio di Tina Brown – E dell’epoca d’oro dei magazine?

Tina Brown, 60 anni, inglese, una delle primedonne del giornalismo americano, storico direttore di New Yorker e Vanity, discussa (e odiata per il protagonismo. Ma anche a causa del maschilismo dell’ambiente giornalistico), lascia il Daily Beast. È lo spunto per riflettere sul destino dei periodici.

TINA BROWN, ADDIO Se ne parla su paidContent, lo fa Mathew Ingram, il quale trasforma la notizia dell’addio di Tina Brown a The Daily Beast (società e sito giornalistico digitale, che ha appena venduto Newsweek) in una riflessione sulla fine di un certo stile di direzione nei giornali. E sul declino di un certo mondo, quello dei periodici patinati.

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I numeri di Vanity Fair in Francia – Strategia del debutto

Il 26 giugno è uscito il primo numero di Vanity Fair in Francia, celebre rivista di Condé Nast, che avrà cadenza mensile, venduto a 3,95 euro, stampato in 85.000 copie ma con l’obiettivo di 100.000 per il 2016.

La testata, che festeggia i 100 anni nel 2013, mescola anche nella edizione transalpina glamour e informazione. In copertina compare l’attrice Scarlett Johansson, incarnazione di brillantezza e impertinenza, due qualità che Vanity rivendica come distintive.

Per la campagnia di lancio sono stati stampati 8.000 cartelloni, come per il debutto di un nuovo profumo, di gran lunga superiori ai consueti 500 di un lancio standard. Complessivamente sono stati investiti 5 milioni di euro in promozione e 15 milioni nel giornale fino al 2016, momento del possibile break even (pareggio di bilancio dopo il rosso dell’investimento iniziale).

Il modello economico prevede che il 70% dei ricavi provenga dalla pubblicità, che nel numero ora in edicola conta 93 pagine sul totale di 266 della pubblicazione.

Il digitale? 500.000 visitatori unici al mese per il sito gratuito. È l’aspettativa. L’edizione per iPad costa 3,59 euro.

Esce Vanity Fair France.

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Anche Condé Nast fa i conti con la crisi dei giornali

Per quanto abbia imparato che è meglio tacere quando si parla di editori che chiedono stati di crisi, perché fino all’ultimo non si sa che piega prenderanno gli eventi, non posso non riportare che, leggendo su Italia Oggi e qualche sito web, anche la prestigiosa Condé Nast Italia sta affrontando un momento difficile.

Se nei mesi scorsi si diceva che questo editore non avrebbe mai chiesto uno stato di crisi, per non danneggiare la propria immagine patinata, pare che invece adesso ci si prepari a trattare con i giornalisti per arrivare alla applicazione di un contratto di solidarietà.

Probabilmente non serve spiegare di cosa si tratta, visto che mezza Italia lo applica e l’altra parte è in cassa integrazione. In sostanza, ai dipendenti si chiede di lavorare meno ore al mese e anche la retribuzione viene ridotta (ma poi in parte colmata da fondi pubblici). Ma questa ipotesi sarà presa in considerazione dall’azienda, a leggere Italia Oggi, solo dopo aver valutato i risultati di una politica di incentivazione (tre anni di stipendio per chi se ne va volontariamente).

Tempi duri, dunque, anche per Vogue, Glamour, Vanity Fair, Myself. Ma si attendono interventi del Governo italiano per ridare ossigeno a tutto il settore dell’editoria, più che mai sotto pressione.

Italia Oggi: Condé Nast pensa alla solidarietà.

Pambianconews: anche Condé Nast in crisi.

Vanity

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Qualcosa sta cambiando in edicola? Dati sulle vendite di periodici

Riprendo le ultime tabelle con le copie vendute dei periodici, dunque i settimanali nell’aprile 2013 e i mensili nel marzo 2013. Sono stati rilasciati da Ads e pubblicati da Prima Comunicazione.

Tre rapide considerazioni.

Guardando ai dati dei settimanali, vedo ancora moltissimi segni “meno” sulle copie vendute. Ma per la prima volta, dopo molti mesi, si vede anche qualche risultato decisamente positivo. Come il +19,9% della rivista di gossip Chi. E l’incredibile +151,2% di Motosprint (probabilmente legato a qualche promozione o evento).

Nei mensili, la situazione è più mossa. Per un’Amica che fa -11,8% ci sono AD +18,6%, Dove +30%, Glamour +5,2%.

I dati sulle copie digitali dei nostri giornali vengono spesso guardati con scetticismo. Certo, i volumi sono bassi e probabilmente del tutto irrilevanti ai fini del buon andamento di una casa editrice. Ma anche qui noto qualche dato interessante nei mensili. Ci sono incrementi percentuali anche notevoli da febbraio a marzo, soprattuto tra i primi in classifica.

MENSILI DIGITALI MARZO 2013

Nei settimanali, dove le copie vendute sono davvero pochissime, se si escludono gli inserti dei quotidiani, sottolineo la performance di Vanity Fair, cresciuto del 27% in un mese, con 14.990 copie.

SETTIMANALI DIGITALI APRILE

Primaonline: settimanali, APRILE 2013.

Primaonline: mensili, MARZO 2013.

Primaonline

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I periodici sono superati o modernissimi?

Sollecitato da una persona che legge il mio blog, prendo in mano un’intervista pubblicata da Italia Oggi.

Parla Giacomo Moletto, amministratore di Hearst Magazines Italia, dirigente di grande concretezza.

L’intervista prende le mosse dal rilancio di Gioia, femminile storico, nato nel 1934. Detto per inciso, pochi si rendono conto che alcuni periodici italiani hanno una grande storia. Per dire, Rcs Mediagroup vuole sbarazzarsi di Novella 2000, nata nel 1919, e di A – Anna, femminile che continua la storia di Annabella, creata nel 1933.

Torno in carreggiata. Moletto, che chiaramente vuole sostenere una delle proprie riviste in un momento in cui Condé Nast ripensa la formula di Vanity Fair, Mondadori rilancia Grazia, Donna Moderna, Tu Style, e Rcs Mediagroup mette in vendita, oppure chiude, 10 titoli, fa alcune riflessioni sulla modernità dei periodici.

Sostiene che «i magazine sono modernissimi, poiché una rivista la fuisci da sempre in maniera non lineare, saltando di qua e di là, ai segmenti del giornale che più ti interessano, tornando indietro. I magazine soffrono sui tablet proprio per questo: perché lì, invece, sei obbligato alla successione delle pagine, modalità alla quale un lettore di periodici non è abituato».

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Provocazioni/ I quotidiani a lezione di scrittura dai blog e dai periodici

Bisogna cambiare e rinfrescare il modo di scrivere gli articoli dei nostri giornali se non si vuole apparire vecchi e superati nell’era digitale.

L’esempio potrebbe venire dai blog e dai periodici, per inaugurare una stagione che si ispiri al movimento del New Journalism degli anni Sessanta e Settanta, quello predicato dallo scrittore americano Tom Wolfe (autore del Falò delle vanità).
Ne parla il sito Lsdi (Libertà di stampa, diritto d’informazione) che ha tradotto articolo di Frederic Filloux pubblicato, tra gli altri, da The Guardian: potete leggere qui oppure qui, in originale. Riporto una sintesi della traduzione di Lsdi. Interessante soprattutto il passaggio sui periodici. Naturalmente l’autore (Filloux) ha in mente il giornalismo anglosassone quello, lo sappiamo, ossessionato dall’andamento oggettivo del racconto, dalla secchezza da agenzia stampa delle frasi, dalle citazioni esatte e un po’ noiose (non parlo del Sun, naturalmente). Da un punto di vista italiano, abituati come siamo al giornalismo narrato di La Repubblica, la lezione anglosassone conserva un certo fascino.

The Need for a Digital “New Journalism”
di Frederic Filloux

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Condé Nast annuncia investimento in e-commerce

Condé Nast annuncia oggi un accordo da 20 milioni di dollari con il sito di e-commerce Farfetch. Borse, abiti, gioielli, scarpe e tutti i prodotti esposti nelle vetrine del lusso entrano in rapporto diretto con uno dei più grandi editori di periodici. Appare questo per una media company l’unico modo per far soldi nel digitale. E sorgono le inevitabili discussioni sull’indipendenza di chi pubblica giornali.

Il digitale è il futuro dell’editoria, si dice. E subito si pensa a siti web e tablet.

Ma l’unico digitale buono, capace di generare nel breve periodo ricavi veri per gli editori, è legato all’e-commerce. Alla vendita di prodotti online. Questa sembra essere la regola per tutti gli editori che hanno successo in questo campo, sia che si parli di editori americani, i più entusiasti per tablet e contenuti giornalistici da diffondere nel digitale, sia tra gli editori tedeschi, quelli più attratti dalla possibilità di far soldi vendendo servizi e prodotti online. Tra i primi, Burda e Axel Springer.

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Calano dell’8,2% le vendite dei periodici americani

Le copie vendute in edicola calano dell’8,2%. Questo è l’indicatore più attendibile di come va il mercato, visto che gli abbonamenti possono essere proposti a prezzi stracciati, quando non vengono dati in omaggio. La crisi della carta stampata continua, seppur con minore asprezza rispetto all’Europa (e all’Italia).

Sono usciti i dati sulle diffusioni dei periodici americani nella seconda metà del 2012: negli Stati Uniti la misurazione non avviene mese per mese, come in Italia, ma ogni semestre. Li ha pubblicati l’Alliance for Audited Media (equivalente dell’Ads italiana).

Per le 402 testate sottoposte al monitoraggio, il numero di copie vendute complessivamente, in edicola e in abbonamento, è sceso dello 0,3%. Ma gli abbonamenti salgono dello 0,7%, mentre i giornali in edicola flettono dell’8,2%.

Allo stesso tempo sono usciti dati sulle copie digitali dei periodici vendute nel secondo semestre del 2012: potete leggerli in un altro  post di Futuro dei Periodici.

Nella prima tabella qui sotto potete vedere l’andamento in edicola dei 25 principali magazine americani. Testate conosciute anche in Italia hanno forti cali: Cosmopolitan, People, Glamour, Vanity Fair.

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Diffusioni/ Quanto vendono i settimanali italiani nel settembre 2012

Parlo sempre degli Stati Uniti. Ma ieri sono usciti i dati ads (accertamenti diffusione stampa) sulle diffusioni dei quotidiani e dei settimanali italiani. Sono rilevazioni che (lo dico ai non addetti ai lavori) spiegano quanto vendono in edicola e in abbonamento le testate.

Questo blog si occupa quasi esclusivamente di periodici. Ecco allora alcuni dati che balzano all’occhio. La variazione percentuale si riferisce alle copie vendute, somma delle vendite in edicola e in abbobamento, confrontate con il mese precedente. Dunque qui si fronteggiano settembre e agosto 2012. I dati sono stime e vengono forniti dagli editori.

A-Anna, -1,3; Chi, – 34,3; D la Repubblica delle Donne, -16,7; Di Più Tv, +6,6; Diva e Donna, -28,7; Donna Moderna, -28,8; Espresso, +1,7; Famiglia Cristiana, -2,3; Gente, -19,9; Gioia, – 8,5; Grazia, -3,5; Io Donna, -14,2; Milano Finanza, +16,1; Il Mondo +16,2; Novella 2000, -53,1; Di Più, -16,3; Oggi, -1,4; Panorama, -4; Sorrisi e Canzoni Tv, +16,3; Sport Week, -23,7; Vanity Fair, -28,3; Venerdì di Repubblica, -4,5; Visto, – 28; Vivere Sani e Belli, -40,9.

M’interessa perché: 1) dà la misura della pesantezza della crisi; 2) ci sono dati contrastanti, tutti da spiegare.

Primaonline: diffusioni settimanali settembre 2012

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Condé Nast annuncia il lancio di Vanity Fair in Francia

La domanda è quando, esattamente. E perché annunciarlo ora, molti mesi in anticipo rispetto all’estate, stagione prima della quale (un po’, molto…) dovrebbe avvenire, dunque, alfine, il lancio di Vanity Fair in Francia.

Ma sono domande che forse interessano meno di tutte le altre considerazioni fatte dal New York Times. Si riflette sull’andamento del mercato francese dei magazine (che quest’anno cresce lievemente, ma cresce, mentre i quotidiani perdono pesantemente), sul perché Condé Nast abbia atteso anni prima di pianificare il lancio di Vanity in Francia, su come è cambiato il rapporto dei politici con la stampa e come gli inserzionisti non ritirino più la pubblicità da quei giornali che frugano nella vita privata dei politici (un mutamento avvenuto sotto la presidenza di Nicolas Sarkozy e balzato all’occhio un anno fa, con lo scandalo di Dominique Strauss-Kahn), del perché ci sia preoccupazione nel settore editoriale del lusso sulla tenuta di una raccolta pubblicitaria finora non anticiclica ma quasi.

M’interessa perché: 1) permette un confronto indiretto con il mercato italiano, molto più in difficoltà di quello francese.

Il punto: anche nel mezzo di una crisi si può lanciare un prodotto editoriale forte?

(leggete qui l’articolo) The New York Times: Condé Nast lancerà la versione francese di Vanity

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